Sono circa le 11:50 nel paese senza nome. Tra enormi casermoni di cemento grigio, in una casa singola di un pallido rosa corallo, una pentola sta riducendo in cenere il suo gustoso contenuto. La casa è piccola ma arredata con gusto, due piani ma quello sopra è piccolo. C’è il parquet per terra ma non è di quelli di lusso anzi, ha l’aria vagamente di plastica. Soprammobili kitch, centrini, fotografie incorniciate da placcature argentate, tipico armamentario della famiglia media, in questo caso della famiglia di Michele Parati, sfortunato protagonista di questo primo sogno lucido.
Un uomo, catapultato nel peggiore degli incubi. Una famiglia invitata a pranzo, il cibo che si cuoce gorgogliando in una pentola e sei persone chiuse fuori di casa per una dannata chiave dimenticata all’interno.

Michele, ha in mano un fil di ferro arrugginito, l’unica chance rimasta per riuscire a tirare su la maniglia da uno spiraglio di 2 micron. Impossibile, o quasi, ma è l’unico metodo per temporeggiare nell’attesa che un’idea migliore si faccia strada tra l’enorme incazzatura e la figura da idiota che sta facendo. Tutti attorno, un intera famiglia, composta in egual misura da gente piacevole (sua moglie e suo figlio) e gente antipatica (le tre sorelle della moglie, sua madre e sua zia). Michele non sopportava i parenti di sua moglie. Sgarbate, antipatiche, non gli era mai andato a genio che un tipo normale e un po’ debole come Michele avesse sposato una ragazza bella e intelligente come Marta. Per amore sopportava le umiliazioni, un lavoro che odiava e quel paese, grigio e triste come una prigione.
Ma adesso anche suo figlio Anselmo e sua moglie lo osservano tra la pena e lo scherno, per una dannata chiave lasciata nella toppa. Michele nemmeno se lo ricordava quando e come fosse successo.
Il destino oltre che beffardo è persino crudele e caso vuole che l’abitazione in cui Michele e la sua amata\odiata famiglia cercavano di entrare si trovasse subito nei pressi del muraglione del paese senza nome, guarda caso l’unico posto dove i vecchi anziani (sono anziani più vecchi) se ne stavano riuniti all’ombra ad oziare e ad osservare i passanti. Evidentemente in quel particolare giorno quello spettacolino da solo non bastava, volevano partecipare attivamente nonostante il caldo infernale, ed ecco i primi due cavalieri del fastidio alzarsi e avvicinarsi alla casa di Michele.
A quei vecchiacci (vecchi cattivi) non sarà sembrato vero di trovare qualcosa di divertente da fare durante l’ennesima giornata vuota di afa estiva.

“Caldo eh?” chiese il primo cavaliere, tale Guglielmo Rosi, ex-droghiere e recente alcolista fancazzista, con una prominente pancia e i capelli ancora biondi. La domanda, inutile e detta con un tono di forzata innocenza mandò in bestia Michele.

‘Fottiti’ pensò mentre sempre più sudato, cercava di far credere agli altri che stesse davvero facendo qualcosa di sensato.

“Mi sa che l’unica è sfondare la porta sa?” ecco il secondo cavaliere, il nano Roberto Cremisi, basso, pallido, con un papillon rosso a pois gialli, vecchio portiere dell’edificio comunale, cosi forzatamente cordiale da farti controllare ogni volta che il portafogli fosse ancora al suo posto.

“Ma che cazzo sfondo che costa 400 euro sta porta” disse acido Michele

“Allora deve spaccare la serratura, allargarla e infilare il cacciavite” rispose Rosi.

“Ma che dici, ci vuole il trapanino cosi fai scendere le sfere e la forzi” ribattè convinto Cremisi.

Ed ecco che arriva il terzo vecchietto, età dagli 80 ai 132 anni, ribattezzato “Jachet”, con evidenti storpiature italoinglesi, per la sua perfida abitudine di dimenticare la sua giacca in casa di altri per poter ritornare e scroccare un bicchiere. Già da una ventina di minuti stava osservando la scena dalla finestra di casa sua, subito di fronte alla “scena del crimine”. L’arrivo dei primi “due cavalieri” lo aveva spinto ad unirsi alla festa.

Subito urlò dal suo uscio: “Si…ma così crepi la punta del trapano!”

Il quarto immancabile cavaliere, il Sig. Trovati che guarda caso passava di là, ex rigattiere senza più un soldo ed ex latin lover aggiunse una piccola perla di sagacia e astuzia in quella discussione fra illuminati

“Ma non c’è qualche finestra aperta?”

“Ma pensate che se ci fosse una finestra aperta starei qua come un coglione con un fil di ferro in mano a fare il contorsionista?” rispose acido Michele

“Mica se la prenda, mica gliele abbiamo lasciate noi le chiavi dentro”, rispose indignato Jachet

“Peccato, avrei colto la palla al balzo per…” non finì la frase che venne interrotto da Anselmo, suo figlio

“Ehmm Papà” disse Anselmo

“Basta Anselmino basta, cosa vuoi, è un ora che mi stai stressando, cosa vuoi?”

“Eh…la finestra di camera…l’ho lasciata aperta…”

“Cosa?”

“S-Si papà…”

Vittoria.

Ridendo come un isterico e mandando al diavolo i quattro vecchiacci, Michele lanciò via il fil di ferro che aveva estirpato dopo trenta minuti di agonia dalla rete del vicino (a mani nude visto che gli attrezzi erano dentro casa), e si diresse verso la finestra del figlio, cominciando ad arrampicarsi. Rischiando di cadere due volte, prima per un davanzale in marmo ballerino che cadendo fracassò puntualmente il vaso di petunie della moglie, poi per la grondaia in rame troppo scivolosa riuscì a raggiungere la finestra, sudato fradicio ma vittorioso nel cuore. Allungò la mano destra verso la persiana mentre con la sinistra si teneva aggrappato alla grondaia. Di sotto, i commenti ironici sulle sue scarse doti atletiche delle donne e dei vecchi lo intrattenevano come martellate sulle gengive. Una serie successiva di “Ai miei tempi sì che…” e “…ma un vero uomo da sposare Marta no?” lo condusse su livelli allarmanti di rabbia. Doveva stare calmo si ripromise…ce l’aveva quasi fatta. Tirò verso di se la persiana con tutta la forza che aveva.

Era immobile.

Ci riprovò.

Nulla.

“Anselmo…ma non avevi detto che la finestra era aperta?” chiese acido Michele.

“Si…ma forse la persiana l’ha chiusa mamma…prima…”

Risate fragorose. Sembrava un complotto.

Michele si annotò mentalmente e sadicamente il numero e la tipologia di ceffoni da dare al figlio una volta rientrati a casa e ridiscese. Senza degnare di uno sguardo i loschi personaggi attorno si mise a pensare. Il fil di ferro, sua ultima speranza per prendere tempo era finito in un campo di roccia lavica chissà dove, in paese non c’era quasi nessuno e quei vecchi erano più inutili di lui.
Purtroppo Michele aveva solo due scelte…Filippo “il falegname oscuro” Riverbi e “Strozzino”, alias Pasquale Ferraciti. Decise di iniziare dal minore dei due mali.

Con uno scoraggiato ‘vado a cercare una cosa’ che non aveva molto senso, abbandonò gli “spettatori” incamminandosi sotto il sole cocente di quella giornata estiva.