“Cosi vicina…”

Andrew saltò, balzando sul terreno soffice del satellite. Era un bambino. Indossava dei pantaloncini rossi, una maglietta blu e delle Adidads nere completamente sfondate, vittime sacrificali di estenuanti partite a basket.

“Mare Smythii…Dorsum Cloos…e di là c’è il Babcok!”

Sapeva tutto della luna, collezionava mappe, modellini, foto. Aveva raccolto materiale dai 5 fino ai 13, attuali ed illusori anni. Stava sognando, sapeva benissimo che sulla luna non c’era aria per respirare, che faceva troppo freddo e lui non indossava una tuta spaziale. Era un sogno ma ad Andrew non importava, il realismo era grandissimo. Riconosceva i crateri, la consistenza del terreno, lo slancio inusuale della gravità ridotta…La luna, la sua vera casa; è una cosa che si sente. Quando sei nel tuo paese e la gente ti saluta, sai dare indicazioni ai passanti e conosci gli angoli sconosciuti ai forestieri, sei parte di quel posto e lo senti. Per Andrew quel posto era la luna.

Senza pensarci un secondo, destreggiandosi tra crateri che chiamava per nome, come se fossero vecchi zii, Andrew si diresse subito verso la sua zona preferita, il suo angolo sconosciuto. Saltando tra un gruppo di detriti, rocce e sabbia lo vide.

La faccia scura, la tenebrosa linea, il buio.

Un brivido di emozione e terrore salì fino al cervello. Doveva andarci, in quel momento, anche se era solo un mondo immaginario, un sogno. La linea d’ombra si spostava verso di lui velocemente ma l’idea che si potesse risvegliare da un momento all’altro lo scosse.
Saltando più che correndo, si ritrovò al cospetto del nulla. Andrew si guardò i piedi, i 2 metri che lo separavano da quel nero avvolgente diminuivano rapidamente finchè sotto di sè non vide altro che un nero profondissimo.

Felice.

Ma solo per un istante.

Un freddo intenso lo avvolse quasi soffocandolo. Un gelo non comprensibile, strano, quasi vivo, un cattivo presagio moltiplicato un milione di volte. Il terrore prese possesso dalla sua mente, che sentiva il pericolo di quella situazione.

“Ora mi sveglio…voglio svegliarmi….svegliati!” Andrew cominciò a ripeterlo con insistenza

L’oscurità lo avvolgeva, gli gelava il sangue nelle vene ma lui non si svegliava…

“Perchè non mi sveglio?”

I suoi movimenti erano più lenti, disperato cercò di ritornare nel lucente grigio della luna, la parte ‘buona’. Ma la linea d’ombra era già troppo veloce, troppo lontana. In un istante l’aveva superato e inghiottito.

“Voglio svegliarmi…perchè non mi sveglio?”

Sentiva le mani congelarsi sotto la terribile forza distruttiva dello zero assoluto. Come poteva un sogno essere cosi realistico? Le braccia erano oramai quasi completamente irrigidite, Andrew le guardò.

Non aveva più la sua maglietta, ma una tuta spaziale. Non era un bambino, ma un astronauta degli Stati Uniti d’America. Alzando lo sguardo, a più di 500 metri, un Lunar Rover, il suo, stava per essere inghiottito dall’ombra. Andrew si sentiva debole, il freddo lo stava paralizzando. Si lasciò cadere a terra, nel casco voci distorte e urla preoccupate gli si infiltravano nelle orecchie. In un istante la sua mente realizzò quale fosse il vero inganno.

Si sdraiò, sconfitto, in attesa dell’altra ombra, quella ancora più scura e fredda, quella davvero spaventosa. Non si sarebbe fatta attendere molto, lo sapeva fin troppo bene.

Disteso sulla superfice lunare, in un immenso anello nero Andrew guardò un ultima volta lo spazio e quella sfera luminosa blu che aveva di fronte, la Terra.

“Non mi sei mai piaciuta sai?” disse morendo.