Brava Giovanna, brava

Mese: Novembre 2010

Dicono che

Dicono che sono simpatico, sarà per questo che mi scambiano per un buffone.
Dicono che sono puntuale, ma c’è una volta che mi hanno aspettato?
Dicono che sono un buon amico, ma fanno presto a dimenticarsene se commetto un errore.
Dicono che se non ci fossi bisognerebbe inventarmi, dato che ci siete ditemi anche il motivo.
Dicono che sono una persona speciale, ecco perché faccio fatica tra persone normali.
Dicono che sono brillante, ho il dubbio di vivere in un mondo di ciechi.
Dicono che scrivo bene, c’è qualcuno che abbia mai veramente letto?
Dicono che sono unico…hai voglia a cercare.

C’est la vie

Un battito di ciglia che vale una vita, una fitta al petto che ne vale un’altra. Valgano quel che valgano, io, sono ancora qui a raccontarvele.

L’uomo invisibile

Il signor Samuelsson era amato da tutti. Non un singolo bambino, sacerdote, uomo in affari, teppista, casalinga o pappone del paese provava risentimeno o antipatia nei suoi confronti. Solo benevolenza. Un uomo fortunato si direbbe, anche se con una disgraziata maledizione che gli gravava sulla testa o meglio, sul corpo.

Il signor Samuelsson infatti era un uomo invisibile.

Il grande vantaggio di stare in mezzo.

La prima a cosa che insegnano a chi fà l’equilibrista è che sbilanciarsi è un rischio. Sapete no, quella gente che se ne va in giro in monociclo su di una corda tirata a venti metri di altezza o che saltellano come pazzi appoggiati a fogli di carta spessi un millimetro.
Ma poi sarà vera sta cosa? Sbilanciarsi è un rischio? Alla fine si tratta di una scelta. E le scelte sono bivi, out-out, destra-sinistra. Non rischi, scelte. E la gente dice che le scelte ti toccano.
Fanno schifo, le scelte. Ti imboccano su deviazioni e strade che alla fine, se tiri i fili della tua vita, lo schema diventa più incasinato di una siepe in primavera. “Tieni la destra”, “Avvisa gli altri che svolti…”, “Metti la freccia…”, tutti devono capire quello che fai e i motivi delle scelte, li devi informare. Pure questo ti tocca.
E perchè? Schierato da soldato provetto, allineato, parallelo con le spalle ai muri su cui è costruito il mondo. Controllabile, incanalato, schematico insomma, la gente ti vuole di un solo colore perchè gli arcobaleni sono pericolosi e poco gestibili.

Escursione. Termica?

Corro e sento freddo.
Va bene, posso capirlo i primi minuti…anzi che dico, secondi…ma dopo 28 minuti sentire freddo? No no, c’è qualcosa che non va. Attivo il mio sistema di biocontrollo, una specie di check up del sistema.
I polpacci? Sono ok.
Le gambe? Sono ok.
Le scarpe? Sono ok. Ho pure evitato tutte le pozzanghere, cosa rarissima per me.
La testa? No, ok pure quella, o almeno, dal punto di vista della temperatura, perchè dentro c’è un macello.
Alzo lo sguardo e osservo il cielo, nessuna goccia sul viso.
Stasera non piove e la felpa è asciutta. Ieri pioveva e la felpa era bagnata.
Avevo freddo? No.
Non è che il freddo è dentro? Controllo. Un po’ di malumore, un po’ di buonumore, un sano equilibrio che mi invidiano a naso circa 2-3 miliardi di persone. Quindi non è dentro. Quindi è ok.
Provo a correre più veloce, magari son troppo lento. Nulla, sempre quel freddo.
Faccio un giro diverso e imbocco il salitone, qua faccio fatica a questo ritmo, non posso avere freddo.
Invece ho freddo.
Mi giro, guardo se c’è un tizio in nero, con mano scheletrica e falce a meno di un metro da me.
No, non c’è nessuno.
Ma allora cos’è? Arrivo alla discesa, il passo si allunga e solo allora capisco.
“Cazzo…mi si sono strappati i pantaloni!”

I castelli costruiti in aria sono crollati

Avere un castello è una cosa importante per un paese, soprattutto se non è un granchè, come il mio. Per vederla come una metafora di un amore adolescenziale, è come l’unico ragazzo della compagnia con il motorino o con il macchinone. Insomma, non maschera gli altri difetti ma ad un primo appuntamento sicuramente fa colpo.
La pioggia che bussava insistentemente sulla stoffa del mio ombrello come un venditore di enciclopedie, si è rassegnata, lasciando spazio ad una piacevole pioggerella. La salita che sto percorrendo, porta al castello dei Medici che domina il resto del paese da una collina. Non è una strada particolarmente lunga o difficile anche se tortuosa.

Ricordo che quando ero bambino, la gita verso il castello era un’avventura. Per le mie gambe corte, la salita durava un’eternità, con lo zainetto per la merenda, e la maestra che invitava tutti a stare sulla destra.
Era il periodo dei “che cosa farai da grande?” al quale tu rispondevi “L’astronauta” o “l’ingegnere” o ancora “il pilota di formula uno”. Incredibile come chi me lo chiedeva allora, ancora oggi ogni tanto mi rifà la stessa domanda, e io mi ritrovo molto più insicuro di quando ero un bambino. Spesso rispondo con un triste “non lo so”. Perchè?

Dislivelli

Vi odio.

Un odio da fastidio, di quelli che durano 3 minuti ma in cui ti incazzi a morte. Una serie di eventi, conseguenze di eventi ed altri eventi conseguenti che si trasformano in due semplici ma mortali parole.

Vi odio.

So che state già facendo nomi, ipotesi, congetture, magari anche confetture e in questo caso ricordate, adoro quella di arance amare ma nulla di tutto questo, non ci sono nomi, luoghi, torti subiti, amori mancati, nè multe ingiuste nè punizioni giuste. Io odio i dislivelli. Semplicemente.

Sono in una posizione comoda, sdraiato mollemente sul fianco sinistro, il mio profilo più comodo e guardo la TV. Di solito odio anche la TV ma stasera sono stanco, stanchissimo e decido che una chance di redenzione gliela dovrò pur dare. Ora…prima di sdraiarmi, come potete ben intuire ero in piedi. Entro in camera, accendo decoder di Sky e TV con il telecomando, spengo la luce e mi sdraio. Un lampo bianco e immagini confuse mi fanno capire che la televisione è pronta a mettersi all’opera. La luce del decoder si ravviva e da ambra diventa verde, anche lui è pronto a ballare.

L’occhiolino

Certo che siete proprio strane voi eh.

Arrivato davanti all’ingresso ti lascio come ogni giorno, ma prima di salutarti rimango colpito dal tuo riflesso sulla porta. Che sorpresa, non ti vedevo con quell’espressione da non so quanto tempo. Ne è passato così tanto che mi sono persino dimenticato dell’ultima volta che è successo. Che uno dopo così tanto tempo senza rivederla, quella smorfia, si abitua all’idea che non la rivedrà mai più, e invece quell’occhiolino che lascia tutto sottinteso è di nuovo lì, sul tuo bel musetto, e mi fa ripensare ad un milione di aneddoti.

Che palle…domani di nuovo dall’elettrauto a cambiare l’anabbagliante.

L’unico al mondo

Certe volte mi viene da pensare che il mondo è pieno di pazzi. Oppure sono io che non riesco a capire gli equilibri e le dinamiche sociali. Forse è colpa del sistema scolastico, ci insegnano a ragionare per schemi e per teoremi. Ci insegnano a fare i calcoli, e a scegliere quello che è più conveniente. Secondo me con le persone non funziona però, non ci sono tecniche, non ci sono scorciatoie, c’è solo da parlare. Che se poi non ti parli succede che A si risente di B per una cosa di cui B ignora persino l’esistenza. E dopo un po’ che A evita B,  B penserà di non stargli simpatico, e piano piano B diventa Z, e la distanza tra A e il fu B diventa tutto l’alfabeto. E questo perché? Perché ognuno è troppo preoccupato a calcolare i suoi pesi e a usare i suoi metri per accorgersi che sta anteponendo il suo orgoglio davanti a quella che considerava un’amicizia. Forse è semplicemente una di quelle che vale poco.

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