Brava Giovanna, brava

Mese: Gennaio 2011

Sigh No More: una storia d’amore

I portici sono la rovina di Varese. Migliaia di persone che scorrono, fluiscono e vivono dentro quei confini fatti di negozi e colonne. Asettici come corridoi di ospedale, angusti come recinti di filo spinato.

Se solo la gente vedesse il vero volto di Varese, i tetti, le facciate dei palazzi…

Non vedrebbero lo squallido grigiore che solo immaginano ma i colori pastello, superfici diverse che si intrecciano, ricami, gargoyles di bronzo ossidato, balconi che si lanciano in motivi floreali, mattoni multicolore e alberi…sullo sfondo, lungo i viali, sui tetti stessi. Se fotografassi solo questi particolari, gente che vive in questa città da anni non la riconoscerebbe, perchè ormai non guarda più in alto ma solo per terra, sempre più concentrata sui problemi materiali, sul sopravvivere, sullo stare sotto i portici.

Non è uno scherzo, è una corda

Non immaginavo che morire impiccato sarebbe stata una cosa così lunga. Avevo sentito dire che si crepava per il collo spezzato ancora prima di soffocare, e invece no, forse ho sbagliato qualcosa, forse dovevo usare una corda più lunga, ma che ci posso fare se il mio appartamento è basso.
Ho tutto il tempo di fare questi ragionamenti mentre il mio corpo penzola come il cadavere che sarà. È un dolore atroce l’aria che ti manca, senti il tuo corpo come contorcersi su sé stesso a partire dalle dita dei piedi. Senti il sangue che ti pulsa nelle vene, sul collo, sulle tempie, da ogni parte. Immerso in tutto questo dolore sono ancora lucido però, e avrei tutto il tempo per tentare inutilmente di allentarmi la corda intorno al collo, reazioni istintive alla sopravvivenza, ma sono troppo stanco per farlo, troppo sconfitto per volerlo fare.

Già fatto?

Mirco si era rimesso in macchina dopo la visita all’ospedale. Gli avevano fatto una puntura sulla chiappa, un ago piccolissimo in mezzo a tutto quel grasso e a quei muscoli, eppure gli faceva male. Era passata un’ora e oltre da quando gli avevano bucato il culo, e ancora gli faceva male.
Nel frattempo si era fatto anche un’ecografia all’addome. Gliel’aveva fatta una dottoressa che avrà avuto la sua età, forse meno, 28 anni massimo. Mirco si sentiva inutile col suo lavoro presso un call-center di aspirapolvere, un lavoro part-time, un part-time a progetto, mentre lei era dottoressa.

Qualcosa non va

“Qualcosa non va…”

Sveglio, solita ora, ma qualcosa non va.

La colazione ha lo stesso sapore di ogni mattina ma è come stare a digiuno. Il tempo è ottimo ma non ti importa, perchè qualcosa non va.

“Non pensarci…fa che la routine ti inglobi, lasciati prendere dalle azioni di ogni giorno, concentrati e non pensare…”

Into the “Why?”

“No cosi sbagli…devi usare questa…”

Manu mi stava parlando, nella sua mano una spugna morbida. Sorride, nonostante il delitto che sto commettendo ai danni della pentola di alluminio.

“Cazzo scusa…non so dove ho la testa oggi”

Metto giù la paglietta metallica e con la spugna ricomincio a togliere le incrostazioni bruciate dalla padella.

“Non so come ho fatto a bruciare tutto…”

“…e a usare le cose sbagliate per ripulire” mi sorride Manu.

“Già…anche quello…”

“A cosa pensi?”

Nebbia, Illinois, scemo

3:17

Non sto bene. Emotivamente, fisicamente.

Emotivamente perchè a volte capisci che l’esperienza serve, perchè anche nel dare tutto si manovra con calma, come un autista di camion. Non si entra in quarta, si dosa, delicatamente, con il guanto in pelle di camoscio sul cambio. Serve esperienza quando si parla, serve quando devi capire…conoscere con chi parli, perchè per ognuno la strada per il cuore è diversa, e anche la corazza che lo precede è più o meno sensibile.
E io pecco di esperienza, credo di capire. Mi sbaglio. Credendo di capire, parlo. Sbaglio, due volte, una per aver creduto di capire, l’altra per aver parlato. Cazzo.

Lo strappo

Al mondo esistono due tipi di donna.
Qualche settimana fa ne ho conosciuta una, in un bar, ma non è come pensate voi. Al bar, io, non c’ero mica andato a prendere una birra o a fare l’aperitivo. Al bar io c’ero andato per aggiustare un cabinato. Ve li ricordate i cabinati? Erano quegli aggeggi scuri con dentro un monitor e tanti pulsanti sul davanti che andavano di moda una ventina di anni fa. Andavano di moda quando io ero piccolo, e io per giocarci ci mettevo 200 lire, i vostri figli ci mettono un euro. Se i cabinati stessero nel paniere ISTAT l’inflazione tenderebbe all’infinito.
Dicevo che ero lì per riparare un cabinato, c’era questa ragazza, giocava a Bubble Bobble. Ci aveva messo un euro, quando ci giocavo io ci mettevo 200 lire, e inserivo anche i cheat a quelli più grandi di me, e allora mi sentivo uno molto importante, uno che era piccolo ma sapeva fare le cose dei grandi, anche se non sapevo a cosa servivano. C’erano due codici da fare sullo schermo del titolo di Bubble Bobble, io li conoscevo tutti e due ma non sapevo quello che facevano, così quando me ne chiedevano uno, io dovevo metterli tutti e due. Però loro erano contenti lo stesso e io mi sentivo uno importante che faceva le cose da grandi, anche se per giocare dovevo salire sulla sgabello.

1/1/11

Addormentarmi con le luci dell’alba che filtrano dalla finestra non è mai stato facile per me. Tornando a casa ho fatto un po’ di strada con gli amici e il resto da solo. Meno male che gli occhi che mi si chiudevano dal lato passeggero sono stati più vigili passati al lato guida. Nonostante fossi esausto non mi sono addormentato immediatamente. Il sollievo di un letto era talmente intenso da non permettermi di abbandonarmi al sonno. Se ho pensato a qualcosa era qualcosa di effimero, pensieri senza consistenza. Pensieri senza pensieri. Ricordo solo una tachicardia improvvisa che d’un tratto mi pulsava sul petto e sulle orecchie, forse il vino di molte ore prima, forse qualcosa di più romantico.

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