“Qualcosa non va…”

Sveglio, solita ora, ma qualcosa non va.

La colazione ha lo stesso sapore di ogni mattina ma è come stare a digiuno. Il tempo è ottimo ma non ti importa, perchè qualcosa non va.

“Non pensarci…fa che la routine ti inglobi, lasciati prendere dalle azioni di ogni giorno, concentrati e non pensare…”


Ma non funziona. Il lavoro è meccanico, esegui più efficiente del solito, senza pensarci. Prendi, attacchi e sposti, come un computer che gioca a scacchi, inizio e fine, senza nulla in mezzo. Il pranzo è come la colazione, “sa” di pranzo, ma non “sa” di nulla, e quel buco non è fame, è una ferita che ti ricorda sempre la stessa frase: “qualcosa non va”
Ritorni al lavoro e non vedi l’ora di una corsa, di un bagno, e trascorri altre quattro ore con quel pensiero che non trovi e le mani che lavorano da sole, come se un oscuro personaggio comandasse un burattino senz’anima. Esegui, confermi, sposti, chiudi. Metti la giacca ed esci, anche se non senti nemmeno il freddo del vento.
Il tragitto fino a casa è teleguidato come una macchinina su una pista Polistil, basta che ci sia la corrente e che non vai troppo forte e potresti andare in giro ad occhi chiusi. Ora sono aperti, ma non sai nemmeno cosa stai guardando, persi in quel qualcosa, in quel qualcosa che non c’è, in quel qualcosa che non va.

Ora corri ma ti stanchi subito, non duri nemmeno venti minuti, annoiato oltre misura. Speravi piovesse ma nulla, speravi facesse freddo ma nulla.

Speravi. Ma nulla.

A casa l’acqua calda del bagno “scotta” e basta, lì disteso da un minuto e già vuoi uscire perchè senti che non serve a nulla. Acqua calda, sapone, i muscoli fermi e rigidi e lo stomaco piegato su se stesso come una camicia. Sbuffi di vapore coprono superfici grigie, colorate, cromate. Quella leggera patina di condensa che diventa un foglio di carta.
Ti alzi, e sullo specchio ormai completamente appannato scrivi “Perchè fa cosi male?”
Non basta non pensarci, e uno specchio non ti darà mai risposte, solo ossessioni e paranoie.

Lo specchio non “risponde”. Non ha mai aiutato nessuno uno specchio.

Ennesimo pasto inutile, le facce degli altri sorridono. Parlano ma nemmeno li ascolti, ti immergi nella vista di quel brodo che hai davanti, leggendo tra le bollicine, tra i segmenti di pasta bianca, tra le microparticelle immerse nel liquido caldo arancione ma anche lì, nessuna risposta. Giri con il cucchiaio, mangi, deglutisci. Un’intera giornata, forse una vita, basata su meno di cinque azioni, quattro fluidi, tre pasti, due mani, un cuore e nessun cervello.

Lo schermo ti restituisce una speranza, ma riesci solo a seguire un paio di dialoghi del film. Occhiate sfuggenti al blocco nero che ti sta affianco, per vedere se stasera interessi a qualcuno ma niente. Qualcosa non va anche negli altri, in me, in lui, in lei; e spesso è colpa tua.

Ti trascini sempre con lo stesso pensiero da cui non ti riesci ad allontanare. Chiudi gli occhi e vedi una distesa bianca in cui ti perdi. Chiami ma nessuno risponde. Li riapri e sono le quattro di mattina, ti infili nel letto e speri di dormire ma niente, non ci riesci e sono già le otto e si deve ricominciare.

E anche stamattina “qualcosa non va”.