Non immaginavo che morire impiccato sarebbe stata una cosa così lunga. Avevo sentito dire che si crepava per il collo spezzato ancora prima di soffocare, e invece no, forse ho sbagliato qualcosa, forse dovevo usare una corda più lunga, ma che ci posso fare se il mio appartamento è basso.
Ho tutto il tempo di fare questi ragionamenti mentre il mio corpo penzola come il cadavere che sarà. È un dolore atroce l’aria che ti manca, senti il tuo corpo come contorcersi su sé stesso a partire dalle dita dei piedi. Senti il sangue che ti pulsa nelle vene, sul collo, sulle tempie, da ogni parte. Immerso in tutto questo dolore sono ancora lucido però, e avrei tutto il tempo per tentare inutilmente di allentarmi la corda intorno al collo, reazioni istintive alla sopravvivenza, ma sono troppo stanco per farlo, troppo sconfitto per volerlo fare. Intanto che il dolore si fa sempre più intenso preferisco usare il tempo che mi rimane per pensare alle cose belle ho vissuto, cose che non dimenticherò mai, come quando da piccolo immaginavamo le avventure tra i rotoli di pelle accatastati nel garage che odorava di chimico, o le prime fughe in bicicletta lontano dal guinzaglio dei genitori, quella volta che cadendo a momenti finivo sotto una macchina, o quando mi regalarono il motorino. Il primo bacio, la prima ragazza e la seconda, nettamente meglio della prima, il gol su punizione alla finale del torneo di calcetto. Immagini che mi passano davanti come dei flash senza continuità e che saltano da un ricordo all’altro senza un collegamento. Immagini che mi fanno pensare a quanto ho amato la vita e alla rassegnazione della morte. Gliel’ho messa in culo, io, alla morte. Voleva consumarmi piano piano, giorno dopo giorno tra le sofferenze delle persone che mi amano, e invece no, non mi avrà come vuole lei, sono io che decido per me. Mi sto ripetendo questo mentre i ricordi mi affollano la testa e la corda mi soffoca, sono troppo codardo perfino per ammetterlo che non ho avuto il coraggio di lottare, che anche in questa occasione ho scelto la via più facile, la via più facile per me, ovvio.
Il dolore è diventato insopportabile, sto trattenendo il fiato per fare prima ma non ci riesco più, prima o poi dovrò respirare e quando lo farò guadagnerò altri strazianti secondi di sofferenza. A pensare che qualche istante fa guardavo il cappio che adesso ho intorno al collo m’è venuto in mente “Il Buono il Brutto e il Cattivo”, quando alla fine del film Tuco non se la vede bella.

Tuco: “Stai scherzando, vero Biondo… tu… mi vuoi fare uno scherzo, eh?”
Biondo: “Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco.”

Per un attimo rimpiango che poco lontano da qui non c’è nessun biondo pronto a tagliare la corda con una pallottola di fucile. Sento il cuore che pompa e rimbomba dentro di me con una forza disperata, come se tentasse di fare da solo il lavoro dei polmoni. La pressione del sangue è incontenibile, sembra che il collo sia pronto ad esplodere da un momento all’altro. Non sento più il fastidio della corda, forse ci siamo. In questi ultimi momenti penso a quello che ti sto facendo, al dolore che ti sto causando, ai rimorsi che proverai sentendoti responsabile della mia scelta, anche se non c’entri niente. I mie arti si contraggono involontariamente, le dita si rattrappiscono e non le riesco più a controllare. Sento i capillari che mi esplodono negli occhi, le orecchie che sanguinano e che fischiano in un sibilo sempre più lontano, e allora capisco che è finita, ma prima di lasciarti ti volevo dir…