Sono al telefono con un’amica. Le voglio bene, anche perchè spesso ci ritroviamo nelle stesse situazioni e ci diciamo le cose che vogliamo sentirci dire. Periodo difficile per lei, come per me. Sono risoluto, logico, pragmatico, forse anche duro quando le parlo, ma è quello che al momento le serve ed è anche quello che al momento MI servirebbe, ma con me stesso non riesco ad esserlo.

Non capisco perchè si riesca a volere bene a tutti, a fare favori ed aiutare gli altri e poi, non si riesce ad aiutare noi stessi, quelli davvero trascurati. Credo che la risposta sia che il desiderio che qualcun altro si occupi di noi sia davvero troppo grande. Forse risale all’infanzia o addirittura è scritto nel DNA di ogni singolo individuo prima della nascita; sapere di poter contare su qualcuno, di abbandonarsi ad uno sfogo o ad un pianto liberatorio con chi è li per te, è un bisogno necessario per riparare le crepe della nostra fragilità di esseri umani. Inutile fingere di essere grandi, forti, intoccabili. Siamo creature fragili, e fin dall’inizio abbiamo una sola stampella. Inutile anche girarci attorno, parlando di egoismo magari. Di stampelle ne servono due per poter camminare e con una sola, non starai mai bene.

Chiudo la chiamata e vado in ufficio, un lavoretto da poco conto. Solo nella stanza, la grande scrivania di finto legno color ciliegio, il ronzio del pc, le pareti arancio e il sole delle 16 che obliquo entra dalle veneziane. Caldo come al solito, e quella barra verde con la scritta 23 minuti al termine mi mette un gran sonno addosso.

“Cosa voglio?” mi chiedo

Non voglio andare avanti, perchè devi lasciarti indietro un sacco di cose.
Non voglio guardare indietro, perchè non tutto ti piace.
Non voglio il presente, vi assicuro che non è un granchè.

In questo momento, la verità, condensata ed estratta da mille lacrime, mille lettere e mille parole è che voglio un reset, un nuovo start. Impossibile, troppo facile, fantastico ma irrealizzabile. La mitica e agognata possibilità di ricominciare a vivere e a sbagliare, ma errando in maniera diversa perchè, diciamocela tutta, nella vita non contano le cose giuste che fai, ma solo gli errori.

Sono pensieri stupidi che durano giusto quei 23 minuti di installazione soporifera, perchè il sole delle 16:00 diventa quello delle 16:23, i colori cambiano, si modulano lungo i muri lisci e la stanza cambia, cambiano le voci che sentivi nell’altra stanza, e il computer ti avvisa che anche quel segmento di vita è concluso, che puoi pensare a quello dopo, e se non vuoi pensarci, vivilo. Ragionare troppo, tormentarsi troppo, pensare troppo per scoprire cosa vogliamo veramente, per scegliere una direzione da seguire, per avere le certezze di un corridoio in cui non si può sbagliare.

Questi sono i veri errori, perchè forse, alla fine, quello che voglio veramente, è non sapere cosa desidero ma scoprirlo quando mi arriverà tra le mani, senza annunci, senza attesa.

Anche se fosse poco prima del tramonto.