Brava Giovanna, brava

Mese: Marzo 2011

Pezzo N° 75 (lasciatevi rovinare la giornata da noi)

La maggior parte dei pezzi su questo blog parlano sempre delle stesse cose, due tizi insoddisfatti, talvolta sfigati, illusi, presi per il culo ma ancora abbastanza incazzati per scrivere stronzate. 75 pezzi in cui giriamo la frittata e cambiamo giusto i condimenti. Oh certo, qualche risata ve la fate ogni tanto, ce ne rendiamo conto anche noi che a volte serve staccare dalla realtà. In realtà avremmo anche un sacco di altra carne al fuoco, fantascienza, storie pulp, roba geniale e divertente, solo che uno è preso dal suo “masterpiece”, io sono preso e basta. A quelli con un po’ di fantasia finire il concetto. A quelli che mi conoscono…è fin troppo facile.

In teoria non avrebbe un gran senso festeggiare il 75° pezzo del blog, ci sono traguardi più altisonanti come il 100° o il 1000°, ma d’altronde il blog è mio (nostro) e faccio quel cavolo che mi pare, quindi vi cuccate questa celebrazione e cliccate pure su “mi piace”, ve lo ordino e poi, chissà se ci arriviamo davvero al 100, quindi meglio anticipare.

Inbox (10983)

Sono di fronte ad uno schermo, l’ennesimo giorno della mia vita.

Sono 10983 le mail nella mia casella di posta; 6 anni di archivio. Parto da quelle più vecchie, dando un’occhiata annoiata. Scappa qualche risata a leggere le mail che scambiavo con i miei compagni di università, cavolo…datate 2005. Richieste di software, appuntamenti, dispense, lezioni. Le mail personali sono circondate da catene di S.Antonio, pubblicità, newsletter assolutamente inutili che riempono paginate intere. Cancello, cancello, cancello, ne faccio fuori almeno 2000.

Radio Uomo Solo

Benvenuti a tutti, se c’è ancora qualcuno in questo mondo…

Trasmetto nell’ennesima mattina di vuoto. Una scatoletta di carne essiccata per colazione, il mais è ormai quasi finito. Chissà per quanto ancora potrò mangiare.

Il sole si infrange sulle onde, la scogliera marrone brilla per il sale incrostato lungo le sue pareti taglienti. Una bella giornata. Chissà perchè poi. Chissà per chi poi.
Mancano i gabbiani in volo…sono settimane che non ne vedo uno…chissà se anche loro sono spariti come il resto del mondo. Il binocolo mi restituisce l’ennesimo orizzonte piatto..non una nave, una barca, una zattera. Non una luce nelle lunghe notti, quando sul tetto di questo faro ascolto l’unica voce che mi rimane, il vento, cosi freddo, insistente. Forte.
Mi rimane il cielo, mi resta il verde della macchia intricata che cresce orgogliosa tra le fessure di questo scoglio nell’oceano dal blu profondo e triste, questo muro circolare e la sua scala di legno di quercia ormai macchiato dalla salsedine. Mi resta questa radio, questa voce, il fuoco del camino e la speranza che non sia davvero rimasto solo. Ma oggi quella speranza è più debole che mai.

21 ore

Controllo ancora una volta l’orologio: le 5:20.

Decido di camminare di nuovo verso casa, la luce comincia a farsi più insistente.

La serata è stata divertente, anche se è finita da circa 2 ore e ancora una volta, sono l’unico rimasto sveglio. Non ho sonno, non riesco a dormire. Succede cosi da almeno tre settimane per diversi motivi, salute, emotivi…anche voglia. Alla fine ho sempre considerato il dormire uno spreco di tempo e questa sveglia forzata mi sta portando a livelli di attività mai visti anche se ci sono dei lati negativi, soprattutto di pomeriggio.

I ricordi del verme di ferro.

Amo i treni, dovreste averlo capito ormai.

Ho preso treni tutta la mia vita, come ne ho persi. Reali e metaforici, dalle direzioni più disparate, viaggi brevi di tre minuti o eterni, anche di un giorno intero. Paesaggi grigi e colorati, sole e neve, freddo e caldo, da solo o in compagnia. Viaggi tristi e felici. Ho anche pianto, in treno, quando di sera ero l’unico passeggero rimasto. Tanti e troppi sono i ricordi ambientati in un treno…

Amsterdam battle

La pioggia bagna il cemento rendendolo lucido, le luci appese ad una stranissima tettoia, gigante e dalla forma di disco volante, si riflettono come luci strobo. Gradinate, una piazza, scalini, pieni di giovani. Bottiglie di birra rotte, coriandoli, gente di ogni tipo e io già rimpiango di non avere una macchina fotografica ragefinder nella tasca. Dannazione. Si respira la tipica aria del sobborgo malfamato di Milano insomma, non avevo dubbi.
L’interno del Barrio’s Cafe è cupo, non ci sono cameriere gentili, c’è solo un barista scontroso, vestito come un taglialegna,super impegnato che sbraita contro chiunque voglia aiutarlo. CI mette 10 minuti a servirmi una Vodka Lemon.

Slow Forward < >

Un’altra giornata di pioggia incessante, pesante, molesta, fredda e fastidiosa.

Sorpasso i momenti difficili, credo di ritrovare la via, la serenità, di poter ambire di nuovo ad un pezzo di felicità che credo di meritare e poi…di nuovo…basta un temporale, due gocce, un’immagine, due righe e tutto reinizia da zero, come se oggi fosse 2-3 mesi fa.

Ma quindi a che serve lo scorrere del tempo? Se quello che costruisci si distrugge con un soffio di vento dopo giorni, settimane e mesi che ci provi?

Sono un coglione

Mi considero fortunato, o almeno, abbastanza fortunato.
Ho i miei momenti no con i classici problemi della vita come succede a tutti ma ho una famiglia, persone che mi vogliono bene, una vita “agiata” e il lavoro. Su quest’ultimo aspetto soprattutto, mi considero davvero fortunato perché sono uno delle poche persone che non lo cerca no…è il lavoro che cerca me. Una settimana fa credevo di non averlo più ad esempio ma non ne ero minimamente preoccupato. Quattro giorni dopo ne avevo di nuovo due ed è sempre stato cosi dall’età di 22 anni.
La cosa bella del mio lavoro (che mi sono creato da zero, quindi qualche merito ce l’ho) è che mi occupa poche ore al giorno che oltretutto gestisco come voglio, mi lascia un sacco di tempo libero, mi diverte e soprattutto, mi rende bene. Stavo giusto cominciando a pensare a come occupare il resto del tempo quando sabato mattina arriva una chiamata inaspettata: un tizio aveva sentito da un tizio amico di una tizia che forse uno che si chiamava come me e con il mio numero di telefono sapeva fare in qualche modo un lavoro che a lui serviva.

Impossible blue

Meno di un cinquanta centimetri mi separano da lei…ed ho paura.

Paura che di nuovo quel triste grigio che adombra l’interno di quell’autobus venga nuovamente rischiarato dal colore perfetto dei suoi occhi…

“Continua a leggere…continua a leggere…” dico tra me e me, sperando che lei sia clemente.

Sapete…non ho mai distolto uno sguardo, a volte la prendo anche come una sfida per chi mi guarda e mi squadra. Fissarli negli occhi, finchè non li distolgano imbarazzati da quei secondi di incredibile difficoltà. Fissare negli occhi un estraneo per secondi che sembrano ore è snervante, ci vuole testa e volontà. E io non ho mai avuto un imbarazzo, credendo ciecamente nella forza del mio sguardo, ho sempre guardato negli occhi le persone, per fargli capire chi sono, cosa penso, per fargli capire che quando parlo io sono sincero e genuino.

Fino ad oggi…

Giudizio Universale

Sarà stato il mix di vodka e redbull ma non ho voglia di dormire nonostante stanotte abbia dormito poco, per cui scrivo quello che mi sta passando per la testa, anche se non ha né capo né coda o se può essere banale. Ho visto un film, si chiama “Il Ladro di Orchidee”, parla di uno scrittore disadattato che tenta di scrivere una sceneggiatura tratta da un libro fittizio e dal titolo omonimo. Kaufam è il protagonista, un quarantenne stanco, grasso, goffo e timoroso dei rapporti umani.

Quello che odio

Odio quelli che in superstrada mi stanno attaccati al culo. Ogni tanto gli faccio vedere la luce degli stop per fargli dispetto.
Odio quelli che prima rallentano e poi mettono la freccia.
Odio i semafori intelligenti: perché si chiamano così se fanno solo casino?
Odio gli intervalli al cinema.
Odio i cinepanettoni e quelli che vanno a vederli, specie quando ci portano pure me.
Odio anche i telegiornali che ne parlano.
Odio i calzini spaiati nei cassetti.
Odio l’arroganza, la prepotenza, ma soprattutto l’ipocrisia, anche se odio doverlo dire visto che già lo dicono tutti.

Il viaggio (fasten seat belts while seated)

Ho un’infinita distesa di asfalto davanti a me, la pista di atterraggio. Lucida di pioggia, un pallido sole che illumina le pozze d’acqua e i mezzi color arancione, fermi, inoperosi, disposti quasi senza cura su quell’enorme manto nero. Attorno a me, gente poco entusiasta attende l’apertura dell’imbarco D10, che in uno sforzo di fantasia spirituale leggo come “Dio” ma che in realtà, è solo un imbuto grigio e giallo che si innesta in una triste torre disseminata di oblò. Manca ancora un’ora alla partenza.

La playlist casuale è spietata anche oggi, sembra scelta apposta per farmi stare male anche quando dovrei essere contento di tornare a “casa”, da chi mi ama, mi ascolta, mi accoglie. Triste non per quello che lascio, ma solo per quello che non troverò, una volta tornato. Arriva altra gente, qualcuno è già all’entrata dell’imbarco, come ad un concerto, per prendere i posti migliori sull’aereo. Dovranno stare in piedi per un po’ ma soprattutto…ne vale davvero la pena? Un’ora in piedi per avere un’ora di finestrino, probabilmente addormentati e annoiati, con gente affianco che nemmeno conosci. No, non credo…

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