Mi considero fortunato, o almeno, abbastanza fortunato.
Ho i miei momenti no con i classici problemi della vita come succede a tutti ma ho una famiglia, persone che mi vogliono bene, una vita “agiata” e il lavoro. Su quest’ultimo aspetto soprattutto, mi considero davvero fortunato perché sono uno delle poche persone che non lo cerca no…è il lavoro che cerca me. Una settimana fa credevo di non averlo più ad esempio ma non ne ero minimamente preoccupato. Quattro giorni dopo ne avevo di nuovo due ed è sempre stato cosi dall’età di 22 anni.
La cosa bella del mio lavoro (che mi sono creato da zero, quindi qualche merito ce l’ho) è che mi occupa poche ore al giorno che oltretutto gestisco come voglio, mi lascia un sacco di tempo libero, mi diverte e soprattutto, mi rende bene. Stavo giusto cominciando a pensare a come occupare il resto del tempo quando sabato mattina arriva una chiamata inaspettata: un tizio aveva sentito da un tizio amico di una tizia che forse uno che si chiamava come me e con il mio numero di telefono sapeva fare in qualche modo un lavoro che a lui serviva.

Ci penso su un attimo. Il lavoro è un po’ diverso da quello che faccio di solito…in pratica non l’ho mai fatto ma alla fine non mi costa nulla provarci quindi accetto, appuntamento lunedì alle 15:00 in atelier per una chiacchierata amichevole. Passo i due giorni successivi a tirare fuori qualche idea, qualche immagine, una sorta di mini book per vedere se riesco a fare qualcosa che gli possa andare bene.

Sono teso.

No…non per il colloquio…mai avuto ansie per queste cose, ne per stare in mezzo alla gente o per parlare davanti alle folle, sono un attore nato io. Sono preoccupato per la fatidica domanda “Quanto vuoi?”
Vedete, io sono conosciuto dalla gente per essere fondamentalmente buono, gentile, generoso e un po’ ingenuo. Tutte cose che in dosi normali e con le dovute cautele dovrebbero essere delle doti anche in un mondo marcio come quello attuale, ma nella mia persona sono in proporzioni cosi sbagliate che alla fine mi faccio fregare e non mi so dare il giusto prezzo, il giusto valore. Sono un perfetto fesso.

Arriva il fatidico colloquio…il titolare è simpatico e alla mano, mi da del tu perché sono giovane.
Mi chiede di vedere qualcosa fatto da me, gli mostro il lavoro del week-end e salta fuori che è parecchio soddisfatto delle mie qualità. Non ne dubitavo. Cominciamo a parlare di un progetto che deve fare, mi fa vedere una piantina con alcuni schemi, indicazioni, tira fuori un migliaio di cataloghi, di campioni e stampe.

“Quanto ci vuole per rifarmi per bene questa parte?” mi chiede

Cervello: ‘Digli almeno 10 ore, almeno 10 ore…non fare il deficiente…’

Io:“Al massimo 2 ore…”

Fitta al cuore e al cervello. Prima cazzata fatta.

“Pensavo molto di più” mi risponde lui sorpreso. E ci credo, gli altri non sono scemi come me.

Mi fa vedere una scala complicatissima e una serie di particolari tutti da tirare fuori, rifare, riprogettare, reinserire.

“E questi?”

Cervello: ‘E’ bastata la prima stronzata, digli 12 ore…’

Io: “4-5 ore massimo…”

Cervello: ‘Ma allora sei davvero un cretino!’

Sono pure sconfortato mentre glielo dico. Mi dispiace troppo mentirgli per guadagnare due lire in più ma so di essere uno stupido e mi maledico ad ogni risposta data a caso.

Mi illustra il resto del progetto, dò altre risposte sbagliate, in realtà giuste e oneste e mi sento sempre di più un ritardato. Salta fuori che il progetto è per un tizio famosissimo e ricchissimo che non posso pronunciare invano a nessuno. Questo riccone ha semplicemente firmato l’assegno lasciando il compito di mettere gli zeri agli architetti, ingegneri e arredatori, magazzinieri, vagabondi o giardinieri coinvolti anche minimamente nel progetto di rendergli la vita schifosamente comoda.

No budget.

Fra poco ci siamo lo sento…eccola…arriva!

“Direi che il lavoro è tuo…per il lato economico…quanto vuoi…diciamo all’ora?”
Eccola alla fine.

Respiro profondamente…devo stare calmo e usare la testa, ascoltare la parte bastarda e cattiva della mia personalità.
Ci penso e ci ripenso, il mio cervello continua a strillarmi cifre assurde e a fare conti, a dirmi di non perdere l’occasione di mettermi in tasca un po’ di soldi.

Sparo una cifra. Chiedo pure se possa andare bene.

In risposta ricevo un sorriso a 44 denti in fila per 6 con il resto di 2. Cosi aperto e smagliante che riesco a vedere una carie sul dente del giudizio sinistro del titolare.

E capisco ancora una volta che sono un coglione.