Sei il ricalco di una pagina strappata, invisibile alla vista e irriconoscibile al ricordo. Non sei altro che le lettere confuse di parole illeggibili scritte senza inchiostro sopra alle righe di una pagina non loro. Parole che non hanno più senso, che evocano solo da lontano la forza che hanno avuto un tempo, parole bianche, trasparenti, innocue. Parole già dimenticate e di cui nessuno si curerà più: né io, né tu. Parole vuote, mancate, rinnegate perfino.
Succede però che, qualche volta, così, senza motivo apparente, quelle parole tornano chiare a ricordarmi che quella pagina è sempre lì, indelebile, anche se l’originale è stata strappata via molto tempo fa. Tornano a ricordarmi che se mi sforzassi la potrei ricostruire uguale, identica, parola per parola, quella pagina. Tra un boccone e l’altro, tra un discorso e l’altro, tra un sorriso e l’altro, ogni tanto il cuore perde un colpo, lo stomaco arriva alla gola e non so che altro succede.
Così mi ritrovo a passare il mio indice sui solchi di quelle parole, una dopo l’altra, da sinistra a destra e dall’alto verso il basso: col polpastrello sono capace di leggere ogni cosa fino a quando quel significato torna cristallino e limpido nella mia mente, come se non fosse mai passato un giorno. E il ricordo rinvigorisce come le fiamme di un fuoco scoppiettante, e il vuoto di quella pagina diventa il rimpianto inconsolabile per le parole che avremmo potuto scriverci, capitoli di una storia mai raccontata e mai nemmeno immaginata, capitoli che nessuno potrà scrivere al posto nostro.