Non so nemmeno quante volte ho provato ad iniziare questo pezzo. 10, 20, forse anche 100.

Pensando e ripensando, scrivendo 3 frasi per poi cancellare tutto. Mi dicevo, “non scrivere le solite cose, i soliti luoghi comuni, la solita roba metafisica sempre uguale con solo le parole cambiate”. Ho 100 inizi e nessun pezzo. Con 100 inizi si può fare un pezzo? Non lo so, fatto sta che sono giorni che scrivo stupidaggini appena mi risveglio da deliri notturni e quindi mi sa che riciclo quei fogli scritti male, al buio e senza nessun senso e ve li propino come il fantastico pezzo n°100 di Mal di Testo.

“A volte il cielo sembra quello del Truman Show” (25%)


Pioggia, sole, pioggia, sole, pioggia, sole. Accidenti, anche oggi il meteo sembra una dannata roulette in cui non sai mai se il prossimo numero è nero o rosso.

Scelgo di mettermi la felpa, tanto morirò comunque di caldo ma almeno ho un cappuccio per evitare di prendere acqua. Visto che il tempo cambia ogni 20 minuti e io corro un’ora abbondante mi beccherò tre-quattro cambiamenti metereologici come minimo.

Esco dal portone e noto che non piove più. Comincio a correre sopra questi 24° celsius di comfort instabile e comincio a reincontrare tutti quegli amici di corsa spariti nei mesi più freddi, in cui eravamo rimasti in 4, io, il ghiaccio, il buio e le turbe mentali, ad affrontare la corsa quotidiana. Malato mentale.

Corro corro corro e non arriva lo ‘switch’. Continuo a correre e non arriva lo ‘switch’, calpesto pozzanghere per provocare le divinità ma nulla, niente pioggia. Nessuno ‘switch’.

Rallento, mi fermo, comincio a camminare. Spengo la playlist da corsa e guardo il cielo. Non ci sono i nuvoloni, solo nuvolette candide e perfette, come dipinte, su di uno sfondo sferico perfettamente azzurro, come se la pioggia fosse solo un acquazzone elettromeccanicamente attivato tramite pulsante.

“Ma che cavolo sta succedendo?” mi chiedo

Ora non c’è neppure un rumore, una macchina, nemmeno un dannato uccellino che cinguetta contento. Solo io, in mezzo la strada e quel cielo finto come il Truman Show ed un pallido sole.

Torno a casa, sempre camminando, stufo di correre sotto quella scenografia palesemente finta e irreale, circondato dall’assenza delle comparse della mia vita. Sono quasi turbato. Apro la porta, butto l’ipod sul letto e vado alla finestra.

Quasi distratto guardo fuori.

Piove.

 

“Amore ermetico” (35%) 

“Che sei bella te l’ho già detto.

Che sei simpatica ed intelligente te l’ho già detto.

Che mi ricordi l’estate di quando ero piccolo te l’ho già detto.

Che non ti piace la mia polaroid me l’hai già detto. Ma ti perdono…

Ma non ti ho mai detto che la tua nuova acconciatura proprio non mi piace.

Forse questo però, lo tengo per me.

 

“Il lavoro brutto” (60%) 

Sto lavorando tantissimo. Che poi per me tantissimo significa fare 40-50 ore alla settimana che sono lo standard per tutti ma non per me, visto che adoro il tempo libero, da utilizzare spendendo tutto quello che guadagno. Anche se adesso risparmio per dei progetti che prima o poi andranno realizzati. Ma forse risparmiare è una parola grossa.

Comunque, parlo di lavoro perchè mi sto accorgendo che mi piace quello più brutto. Ne ho tre. E mi piace quello più brutto, si.

Immerso in codici, scadenze, gente che dice una cosa, ne pensa un’altra, cambia idea e nega di avermi mai detto davvero qualcosa. Tutti i lavori sono urgenti e andavano fatti ieri. Tutti i progetti nascono male e sono da sistemare e la colpa è di tutti e di nessuno.

Mi piace perchè ogni giorno nascono casini. A quel punto entra qualcuno, di solito il capo, tutto incazzato e si discute, ci si insulta, si litiga, si pianifica, si decide cosa fare e si va avanti fino al prossimo casino, di solito il giorno dopo, o un’ora dopo se è una giornata di quelle interessanti.

Mi piace discutere, scoprire che questo non va, che quello è un deficiente, che tutto il lavoro fatto finora andrebbe ottimizzato, rivisto, che quel sistema di codifica è stupido, che quel disegno è sbagliato, che è tutto da rifare, che “io credevo fosse giusto” ed invece avevo torto. Mi piace perché c’è da litigare ogni giorno, combattere, accantonare un lavoro perché te ne arrivano altri 10 che non c’entrano nulla e che sono più importanti per poi scoprire che quello davvero urgente era il primo e sono già le 18:30, perchè un cliente si è messo in testa di rompere le palle per un ordine, o perchè un’università vuole roba fantascientifica entro due settimane. Mi piace perchè in questa ditta ci lavorano 15 persone , e tutti e 15 sono convinte di aver ragione. Sono tutti incazzati, tutti si mandano al diavolo, tutti utilizzano la sacra tecnica dello scaricabarile, tutti che si reputano “‘unico essere intelligente sulla faccia della terra”. Si fa un sorriso di circostanza, si va da un altro e gli si spiega come ‘quello lì’ non sa fare il suo lavoro. Riunioni tecniche infinite, pause caffè infinite, violazione della privacy, dei diritti umani e animali. Torni a casa che provi odio per la specie umana, ma basta un pomeriggio che passo a farmi gli affari miei che già comincio a pensare a quanto in realtà voglio bene ad ognuno di quei 15 animali.

Negli altri due lavori invece, sono sempre in orario, mi dicono continuamente “bravo, ottimo lavoro”, mi danno pure molti più soldi e nessuno ha mai da dirmi qualcosa. Gli va sempre bene. Sempre!

Di qua invece, nessuno mai ti da una pacca sulle spalle, nemmeno se ti stai strozzando.

E mi piace.

 

“Prove di razzismo” (85%) 

No aspettate, ma perchè sono qui? Sono seduto su questa panchina e mi sa che sto aspettando qualcosa o qualcuno, ma nell’ultima mezz’ora ero cosi assorto a pensare a “cose” che sinceramente devo rifocalizzare tutto quanto. Ho una panchina di fronte a me, una destra ed una a sinistra. Tutte occupate da una sola persona.

Curioso.

A destra ho un terrorista islamico. Vestito con una tuta finta-Adidas, che si riconosce perchè è assolutamente uguale a quella originale ma con una riga in più. Visibilmente spettinato e visibilmente in contrasto con me che non ho capelli e nonostante l’abbronzatura non ho il suo colorito. Ha degli occhi abbastanza inquietanti e tende a parlare da solo mentre batte con il piede manco fosse un ripetente di un corso di tip-tap. Non credo veramente che voglia far esplodere qualcosa, sto solo lavorando mentalmente su divertenti eccessi di percezione, giusto per evitare di pensare al fatto che non so perchè sto seduto in un parchetto di Milano alle sette di sera. Certo che se si facesse esplodere qua farebbe solo un favore al comune. Questo parchetto è orribile.

A sinistra ho un messicano. Che poi non sarà davvero un messicano però chissenefrega. Vestito da rapper, felpa bianca degli New York Yankees, cappellino da baseball all’indietro, occhiali da sole, pizzetto e tendaggi da teatro da 35 metri ripiegati in modo da sembrare dei jeans. Sta seduto occupando 5/3 della panchina allargandosi con tutti i suoi arti. Credo che se fosse nato come Shiva sarebbe l’uomo più felice del mondo. Ogni tanto alza la sua mano pesantemente martoriata da gioielli di materiale giallo (oro?) e abbassa gli occhiali da sole per darci un occhiata mentre la sua bocca si deforma in un ghigno sinistro (ma anche un po’ destro). Per me gestisce il mercato della prostituzione della zona. Vuole vedere se siamo dei clienti, o dei poliziotti in borghese, pronto a fuggire e a dire alle ragazze che “Stasera non si lavora!”.

Di fronte ho lo stereotipo del ragazzo trentenne, faccia vagamente da dromedario, dentoni, stempiatura mezza nascosta da ciuffi di capelli stanchi dai tentativi di riporto. Dissimula la tenuta da geek evidenziata dalla camicia a scacchi con una borsa in pelle sportiveggiante e occhiali da sole dalla montatura bianca davvero orribili. Però essere un ragazzo quasi normale non è abbastanza razzista in questo mio retropensiero assurdo, quindi per me diventa un importatore illegale di carne da macello, orgine slava-croata con base nei bassifondi della periferia. E’ ovvio che sta controllando il camion parcheggiato dietro di me, che ha tentato 4 volte di far manovra per poi desistere temporaneamente. Deve rifornire le macellerie del quartiere, tutte gestite dalla gang del ragazzotto che ha fatto affari e strada in fretta nonostante sia cosi giovane.

Passano i minuti, la situazione è tesa come se ci conoscessimo. Occhiate di studio e di attesa, basta un cenno perchè scoppi la rissa. Poi il terrorista si rasserena, scoppia in un sorriso mentre una donna con una busta della spesa gli si avvicina. Si alza, le prende la borsa e se ne vanno via assieme. Anche il croato dopo 2-3 minuti pare un’altra persona. Arriva una bella ragazza con una cartellina e vestita in modo buffo. Gli si siede affianco, si scambiano un paio di baci chiaccherano e se ne vanno. Rimaniamo solo io e il messicano ma è una situazione che dura poco. Una ragazza con magliettina arancione ed un sacco di volantini si avvicini al gangsta-rapper, gli tende una mano mentre stringe al petto il pacco di volantini. Il messicano sorride, la abbraccia e si allontanano.

Rimango solo io, forse il più strano di tutti, chissà cosa hanno pensato di me ma forse nemmeno mi importa…

Io sto ancora cercando di capire che ci faccio qui.

Epilogo (99%)

Quindi eccovi il n° 100 di Mal di testo. Dovrebbe essere una cosa importante. Che poi il ‘100’ è solo un numero e solitamente i numeri non emozionano. Sembra speciale perchè arrivare a 100 anni è dura, perché Mike Buongiorno ci ha inculcato nel cervello la teoria che cercare il 100 sulla ruota era la cosa giusta da fare, perché è il primo numero a tre cifre e lui si sente superiore agli altri, perché ci vuole il 1000 per farlo sentire leggermente meno importante, un po’ come il figlio che ingrandisce la ditta del padre ma quello, sempre superbo e arrogante continua a ribadire “Ma io l’ho creata!”

100 sono i giorni che passano senza che tu te ne accorga. Se ripenso a 100 giorni fa la mia vita era molto diversa anche se oggi è una giornata di quelle strane, e ti capita di pensare che forse non è cambiato nulla davvero, che forse quello che eri ieri lo sei ancora oppure, in pieno nichilismo, che in realtà tu non sei mai stato. Dannati pensieri profondi senza senso! 100 i secondi che ci metti a ragionarci su e a realizzare che invece di essere profondo sei solo uno dei 99 stupidi che circondano l’unico intelligente.

Anche per pettinarmi ci mettevo 100 secondi, quando avevo qualcosa da nascondere mentre ora non tocco un pettine da mesi anche perché c’è sempre meno da pettinare e quei secondi li spreco in altro modo, non investo, non costruisco un qualcosa, sono solo persi e a volte ripenso a questo fatto, come ripenso ogni giorno, alle strade prese. Anche quelle forse, sono 100 “traguardi”, “futuro” mentre io spesso mi sento spaventato da tutto questo perché significa pensare, razionalizzare, de-emozionare, concretizzare e nella mia vita questo mi è sempre un po’ mancato. Punto spesso a fare centro, che nelle freccette sono solo 50 punti e non 100 come in molti credono, ma forse mi servono ancora convinzioni, basi solide, certezze, buttarsi in rischi anche se non calcolati e non cercare solo la comodità, le scelte facili, la prudenza. Se vuoi il massimo non puoi essere prudente.

Non è insoddisfazione però, è solo un retro-pensiero di una giornata parzialmente nuvolosa, parzialmente malinconica, parzialmente triste.

Una giornata non al 100%.

 

Illustrazione per “A volte il cielo sembra quello del Truman Show”, di Sari Morimoto