Brava Giovanna, brava

Mese: Luglio 2011

Che non era il vino

Mi sono sempre considerato astemio. E ne avevo motivo. Poi ieri sera a cena, per rallegrare un po’ la serata, (che poi non ho mai capito cosa ci sia di divertente nel vino, ma vabbè, conformiamoci,) abbiamo iniziato a cantare cori e a bere come spugne (ammesso che le spugne bevano).

Ho bevuto. Tanto. Troppo, probabilmente. Secondo me no, ma se avessi incrociato la paletta dei carabinieri mi sa tanto che non sarebbe stata della stessa idea.

Però ho notato che sì, un po’ l’aria era frizzante, che sì, un po’ la testa era ebbra, che sì, l’equilibrio era andato in pausa sigaretta, ma, nonostante tutto, non ero così devastato come avrei dovuto essere. Non m’aveva preso quella cosa che mi prende di solito quando bevo e che mi incolla le chiappe alla sedia e mi fa assumere una posa simile a quella di un pupazzo di neve disciolto al sole.

E allora ho capito: no che non è il vino a ridurmi in quella maniera; no che non è la birra doppio malto; no che non sono i mojito, le caipirinha e i sex on the beach vari. No. Quello che mi stende su ogni superficie vagamente confortevole sono quei cazzo di tortellini alla boscaiola che di solito mi mangio prima.

Chissà se l’hanno inventato il Boscaiola Test.

“Viva i Led Zeppelin!”

Non ho dormito un granchè questa notte. Sapete, morta Amy Winehouse, sembrava destino che dovessi entrare anch’io nei “club dei 27”, anche se fino ad allora ci avevo solo scherzato sopra in macabro modo. Il viaggio verso Veglio, dove si trova il nostro gigantesco spauracchio, all’inizio è divertente, ottima compagnia, due chiacchere, due battute, macabre, ancora una volta; ma dopo inizia la tensione più saliamo in alto, tra boschi, industrie dismesse e rocce a strapiombo, lo stomaco si attorciglia perchè sai che ormai non si torna più indietro. Quando vedo le prime macchina parcheggiate capisco di essere arrivato. Si va alla reception e Vanessa e Mirko hanno facce cadaveriche e sono sicuro che la mia non ha un aspetto migliore. Gli unici tranquilli sono i quattro sadici spettatori che ci seguono. Presi i biglietti, non ci resta che affrontare il Colossus, altezza 152 metri, che se non li si vede dal vivo a stento si percepiscono. Ci incamminiamo verso la piattaforma di lancio, con doveroso rispetto e con qualche fugace occhiata al ruscello che si trova in basso che da questa altezza sembrano tre gocce di rugiada. Abbiamo sei saltatori davanti a noi, ci imbragano e spiegano ogni volta le manovre da fare.

“Farete due rimbalzi e…”

Alzo la mano.

“Si?”

“Quale di questi rimbalzi lo facciamo a terra?”

Numeri

Diciannove i giorni che non scrivo qualcosa. In questi diciannove giorni, venticinque sono i posti nuovi che ho visitato tra negozi, locali, case e città. Zero le lacrime versate, ma due volte ci sono andato vicino, una per un dolore dentro, una per un dolore fuori. Tre le bugie che ho raccontato, due le verità che ho scoperto e che non volevo sapere; una mi ha fatto male anche se zero è ormai la sua importanza. Tre persone nuove conosciute, una forse è davvero importante. Dieci i brindisi, venti gli abbracci, trenta i baci. Ottocento i chilometri, in macchina a piedi e in treno. Quattro le ore ad ascoltare la pioggia, questa notte; dieci le lettere in malinconia. Duemilatrecento gli euro spesi tra mille cazzate, mille spese, mille uscite. Seicento le belle foto da poter scattare, duecento gli attimi persi in cui non sono stato veloce abbastanza, sicuro abbastanza, coraggioso abbastanza, quattrocento quelle scattate. Solo venti ne ho tenute. Mille i ‘ciao’, mille gli sguardi a sconosciuti a cui vorresti rivolgere una parola, mille gli insulti a chi non vorresti rivedere mai più, anche se dopo un solo secondo ti calmi. Cinquanta le canzoni nuove ascoltate di cui quaranta non ricordo già più il titolo, otto film visti di cui due al cinema, cento chiamate, trecento messaggi, centoventi lunghi minuti in attesa, trenta groppi in gola.

Duecentoventidue le parole finora. Sinceramente non so perché ho scritto tutto questo, vi dirò la verità, volevo parlare della crisi di ispirazione qualche giorno fa in cui non sentivo di poter dire davvero qualcosa, cosi ‘preso’, impegnato, stressato. Poi, in un momento di riflessione volevo parlare della solitudine.  Il giorno dopo ho scritto un racconto divertente, per poi scrivere dell’amore e di un momento felice. Ma stamattina, quando mi sono svegliato, la pioggia aveva lasciato spazio ad un bellissimo sole e ho cominciato a pensare a come quello che per noi è un caldo abbraccio mattutino, una luce che rischiara e che ci fa sentire bene, per gli scienziati è solo una massa sferica di gas bollente gettata nel freddo buio cosmico. Tutto è riducibile ad un ammasso di numeri in questa vita.

Ma sono convinto che anche un numero può essere raccontato con emozione.

Simpatia, mal di testa\o, elettroni e Mussolini

Ho la testa che mi esplode.

Vento, sole, aria, discorsi. Tutto contribuisce. Anche fissare lo schermo 3 ore per una mattinata, cercando di concludere qualcosa per una presentazione.

Slides. 15. Non un gran numero, ma sono riuscito solamente a scegliere il colore dello sfondo, il font, il colore del font e scrivere ‘Analisi’. Fa pure schifo a vedersi. In 3 ore non sono nemmeno riuscito a scegliere i colori giusti.

Sono le 11 e fra poco mi vedo con un amico, pranziamo assieme prima che lui parta per l’agognata Provenza. Ha una cognata in Provenza, al mare. Che poi oggi mi sono svegliato alle 9 circa, ma sono andato a dormire alle 6 quasi inconsciamente. Facevo cose da qualche parte e quando sono tornato erano le 6. Ormai gli orologi non li guardo nemmeno più, per me esiste solo luce e non-luce. Tanto, troppo tempo libero, sono due settimane che sono in braccio di ferro forzato con i datori di lavoro ed è una cosa che non mi fa bene per niente. Più tempo libero ho, meno concludo. Ieri ad esempio, pensavo agli elettroni. Quindi ho passato 8 ore a studiare fisica. Dovevo\potevo fare quella presentazione ma no. Volevo studiare gli elettroni, come si muovono, chi gli ha dato un nome cosi stupido, se rimbalzano come le palline da tennis se colpiti da racchette elettriche, visto che siamo in pieno Wimbledon. Quando mi sono accorto che ne sapevo abbastanza, era già ora di uscire. Come adesso.

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