Brava Giovanna, brava

“Come la vita appunto…”

Conscio delle mode che cambiano e che tornano, dei fusi orari, delle gambe nude d’estate, dei visi che non dimentichi, delle guerre, le scaramucce tra vicini, le parole dette dietro e davanti, pensate prima e dopo. Irrequieto, odio gli ambientalisti, odio chi sporca, insofferente con chi dice bugie, disprezzo totale per il buco dell’ozono, le lampadine a luce fredda, le sedie con servo-meccanismi elettrici per reclinare schienali scomodi. Agitato quando non devo, sereno saltuariamente circondato da problemi, amici, conoscenti ed inesistenti amanti con transgenici desideri di libertà ed indipendenza tra le comode e sicure mura di casa in un incredibile e soffice cuscino di ipocrisia e idiozia con stupidità accentuata da comportamenti infantili, cattiveria esagerata da scelte subdole, esco male in foto ma è una scusa, sono io quello e spesso non lo accetto causa sindrome di Peter Pan, sindrome di capitano uncino, Sacra sindrome. Pretenzioso sfoggia-talento in ogni scrittopittofotovideoitaralluccistannonellacorsiaotto-settore, dotato di ambiziosi desideri di semplicità nel senso che mi basterebbe una sola unica, complicata, irrealizzabile ed “èormaitroppotardi” cosa per essere apposto e quel vuoto quindi rimane, impossibile da colmare con le mille cose che mi obbligo a fare e che generano masochistici mulinelli mentali di insoddisfazione ed incertezza, ED E’ QUESTO il motivo per cui cambio un sacco di dentifrici; perché sono indeciso, non so capire qual è veramente il migliore e cosa voglio dal mio dentifricio, quale gusto mi piace, qual è il mio rapporto con i miei denti, il mio sorriso e quello degli altri. Quindi confuso mi dedico a spese folli dettate dal cuore, gesti folli dettati dalla noia, da amante del rischio, del cinema, delle giacche eleganti, dei vestiti brutti e di quelli belli che curo e conservo con morbosa follia collezionistica, sempre insofferente ai complimenti se non me li faccio da solo, sdoppiato, confuso, depravato, orientato verso soluzioni drastiche o irrealistiche sempre oltre il punto di non ritorno, arcaico nei termini che uso e nei concetti.

Conscio del fatto che mi piacciono i coccodrilli ma odio i panda e la loro stupidità genetica, amo tirare pugni ad un sacco e tirare un sacco di pugni in aria, vorticare nel nulla, prendere a calci una palla, annusare il grano, imparare trucchi di magia e le strade vicino a casa perché non le conosco, essere amato anche, come tutti e fidarmi poi, come tutti, volare infine, come Titti, anche se tifo il gatto Silvestro, alla fine, come tutti. Fuso orario dell’umore ogni cinque minuti, amante dello studio smodato di cose inutili e forse dannose, che sia astronomia o farmacologia o la formazione della nazionale di rugby del Sudan, o delle origini del cannibalismo come rito di iniziazione aborigeno non importa davvero, fidatevi. Contemplatore di nostalgici silenzi, di bellezze strane, della luce che rimbalza sui muri, di vecchi oggetti arrugginiti, di drammi altrui. Invidioso dei pianisti perché non gli servono parole, a loro basta stare zitti e l’avrei voluto imparare il piano ma mi sono sempre auto-convinto che ero troppo vecchio per iniziare a 14 anni, poi a 18, poi a 23. A 27 vorrei iniziare ancora, perché voglio occupare ogni minuto di vita e se ci penso ricordo che mi è piaciuto essere ribelle, nostalgico, vittimista, comico, dolce, sensibile. Ottimo attore forse, crisi di identità forse, carta d’identità falsa, ho avuto anche quella nel folle turbinio dei “nonsocosafare” che occupavano ogni angolo del cervello fino ad uscire dalle orecchie in liquidi color rosacervellosciolto.

Ma ora ho smesso con i periodi, le analisi grammaticali con correzione di congiuntivi, le polo in tinta unita, l’odio per i cappelli, il fare finta per compiacere, l’annullarsi per farsi andare bene, il riempire il bicchiere fino all’orlo. Io lo ammetto, adoro i sorsi pieni e completi che svuotano i bicchieri, alzarsi dal tavolo per allungarsi e prendere la bottiglia cento volte, versare un goccio e berlo tutto d’un fiato quindi riversare, riappoggiare la bottiglia riallungandosi fino al centro-tavola disturbando proprio tutti quanti con quelli che si stufano e mi chiedono perché non lo riempo tutto il bicchiere ed io che mi alzo rovesciando il tavolo gridando che io sono per i sorsi piccoli ED E’ PER QUESTO che non mi piacciono i cocktailSSS e i loro nomi esotici, colori sgargianti, ombrellini e schiumette vaporose come le onde dei Caraibi che fanno tanto “evasione dalla noia domestica” ma alla fine siete sempre nel solito peggior bar della vostra anonima e schifosa città.

Io sto con lo ‘shot’ di Rum monocromatico, duro ed aspro come la vita.

Quello che all’inizio è amaro e forte ma dopo un po’ ne apprezzi la sfumature nel gusto e alla fine ti piace.

Come la vita, appunto.

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  1. Wishky…caffè senza zucchero. E concordo: fanculo ai cocktails (che se si scrivesse cocktales sarebbe più giusto per il significato che gli attribuisco) perché ricordano troppo la vita che ci inducono a fare, quella vita da poveri fighetti col maglione sulle spalle a prendere un sano liquorino tra vicolo stretto e vicolo corto. Ma soprattutto viva Tittì (tifando Silvestro) solo perché ha la possibilità di volare via.

  2. Dane

    Sottoscrivo di nuovo, nel 2017. Fine marzo. Gran pezzo.

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