Testo che è tardi

‎2.618 vs 1

Io odio la competizione. Non sono affatto un tipo da competizione. Mi piace stare fermo lì, in un angolo, in attesa che qualcosa o qualcuno mi smuova. Sono da aggregazione, piuttosto. Il massimo agonismo che sono disposto a mettere in campo è quello che ci serve per strappare all’asta Parco della Vittoria, oppure quello staterello di merda che sono quattro turni di Risiko che si difende dai tuoi attacchi con quel solo fottutissimo carro armato che lancia solo 6 e ti rende impossibile una cosa che dovrebbe essere naturale. Come l’acqua in un ruscello, che mica trova intoppi. Che poi il tuo obiettivo non c’entra nulla con quello staterello, ma oramai c’hai speso metà partita e decidi di spendere l’altra metà, o il tempo che ti resta, per invaderlo con i 15 carri armati che prima o poi conti di scambiare con le carte, così, solo per dimostrare a te e al mondo che ti sta intorno che sei uno che le cose le porta fino in fondo.

Invece adesso sono in competizione. In gara. Di quelle che non ti lasciano margine di speranza e invece tu come uno stronzo ci speri lo stesso, come quando giochi la schedina del superenalotto e razionalmente sai che è impossibile da centrare eppure un po’ ci speri sempre. Persino io che non sono scaramantico e tantomeno credo alla fortuna, ci spero sempre. Qualche volta mi sono domandato perché nonostante lo scetticismo che mi circonda ci spero lo stesso, e la risposta che mi sono dato è “perché mi sembra giusto”. Sarebbe giustissimo che io beccassi quel dannato sei e passassi il resto della vita su un lettino gonfiabile in mezzo ad una piscina immersa in una prato che circonda una villa che manco a Beverly Hills s’è vista mai. Me lo merito. Più di chiunque altro stronzo che giochi la schedina insieme, anzi, contro, di me.

Uno che pare vada pazzo per la merda ancora canta che uno si mille ce la fa. Io sono uno su duemilaseicentodiciotto , 0.038% per dirla in altri termini. Percentuali da default, da declassamento del rating, tanto per stare in attualità. E non ho neanche banche solide a garantirmi.

Non lo so chi vincerà, me ne frega anche poco, egoisticamente parlando. C’è solo una cosa di cui dovrei essere certo. Tutti tranne me. Eppure…

Precedente

“Come la vita appunto…”

Successivo

Le parole sono importanti #2

  1. Ci speri non perché ti sembra giusto, ma perché ci giochi. E ci giochi perché ti sembra giusto. Un po’ come facciamo tutti, leghiamo a quel gioco il sogno invadente di una vita perfetta, e per consolidare il sodalizio del gioco ai sogni ci buttiamo dentro anche il significato ai numeri che segniamo, che siano dato o “carrozzelle”,”omm emmmerd…” “le tette” e così via…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén

%d