Brava Giovanna, brava

Mese: Settembre 2011

Scoperte Insolite #5

Qualcuno si è mai domandato a che cazzo serva il tasto AM sulle radio?

Confuso in genere

È da qualche giorno che ci penso e adesso sento di dover condividere questa riflessione con voi.
Perché ci sono alcune parole che nell’altro genere significano tutt’altro? Tipo “cavalletto” che diventa “cavalletta” e passa da tre gambe a sei zampe. O porto che diventa porta, o caso che diventa casa.
“Eh ma che discorsi sono – direte voi – sono sostantivi, mica aggettivi che gli dai il genere.”
No, non sono sostantivi, sono errori, complicazioni. La lingua italiana non ne ha bisogno.
Prendete la parola “strada”. Ecco, strada è un bella parola. Non c’è lo strado, non c’è il macchino, non c’è il ruoto. Queste sono parole che sanno quello che sono.
Non questi nomi transessuali che non sono quello che sembrano.
Non sono né carno né pescia. Provate a vestirvi voi con un maglio, per dire, o a portare il grano in banca. Che poi, pure banca, vedete quante diavolo ne sono?

A volte…

A inizio anno frequentavo una ragazza. Non è andata per mille motivi diversi o forse solo uno. Mesi che non la sento e non la vedo. Lei ormai ha una nuova vita, un nuovo lavoro, nuovi amici, nuovi amori…e a volte mi manca.

Avevo un lavoro che amavo. La gente, lo stress, gli orari impossibili, gli odiosi clienti, la pausa caffè, le battute tra colleghi. Ma qualcosa non quadrava e me ne sono andato, iniziando a lavorare a nuovi progetti. Cavolo, a volte mi manca.

Giocavo a Basket. Ogni momento libero, che fosse mattina, pomeriggio o sera, avevo un pallone in mano. Poi, in uno dei giorni più brutti che io ricordi, era Maggio, mi sono stufato. Non tocco una palla d’allora. Ho cambiato sport, mi diverto di nuovo ma a volte, quando guardo la mia vecchia borsa, lì, in un angolo, mi manca.

C’era un locale, dove con i miei amici ci sentivamo a casa. Sangria, proprietari simpatici, arredamento spagnolo. Era il ‘nostro’ posto. Ora ha cambiato nome. Dentro fanno panini buonissimi, proprietari giovani e ambiziosi, arredamento moderno. Noi adesso andiamo da altre parti. Non dovrebbe essere importante il posto, ma solo la compagnia. Però a volte mi manca.

Come alle elementari

Nel bagno dell’ufficio hanno messo WC Net. Del tipo in capsule, che vanno infilate nella cassetta dello sciacquone, che tu vai in bagno e invece dell’acqua chiara trovi l’acqua blu. Sembra che un pezzo di adriatico, quello più pulito, sia finito nel water. E mentre sei lì che pensi a tutto quello che ancora devi fare, ai clienti che ancora devi chiamare, e al modo di trovare la voglia, guardi in basso e torni col pensiero ai tempi delle elementari. Ma voi ve lo ricordavate che blu e giallo insieme fanno verde?

Crampi di concentramento…

Devo concentrarmi e dare un senso a queste giornate che sto buttando, lavorare lavorare lavorare.
Perchè il tempo stringe, domani mi tocca andare in ufficio, e in un attimo BUM!, ti ritrovi che sei a qualche ora dalla consegna e avevi giusto trovato la voglia necessaria per metterti sotto. Quindi “Peccato sarà per un altra volta, vi farò sapere, sono nei guai”. Mi sento come Don Draper nel ‘pilot’ di Mad Men.

No!

La cosa fastidiosa è che l’ispirazione, la voglia di fare e la serenità tipica di chi sa che tutto va bene, la trovo soltanto quando sono in giro a fare foto, con gli amici, a pittoreschi appuntamenti, a lezione di Nippon Kenpo, al mare; ovvero quando non ho neppure un pezzo di carta su cui scrivere ne un computer per lavorare. Seduto qua davanti invece, non riesco a concludere nulla. Trovo interessante ogni cosa mi capiti sotto’occhio. Esempio, sono stato fermo a fissare i rami della mia betulla e lo sfondo azzurro del cielo per 20 minuti buoni. Per deformazione schizo-professionale spostavo lo sguardo , giravo la testa a diverse angolature per vedere come la finestra incorniciava meglio quella ‘foto real-3d’ che avevo di fronte.

Cioè…venti minuti. Venti. E la foto farebbe pure schifo.

Out of focus

Stamattina lavavo i piatti ignaro della presenza di un bicchiere rotto. Passo tra ceramiche, posate, teglie, finchè non arrivo al bicchiere. Quasi senza guardare, meccanicamente,  passo la spugna carica di schiuma lungo la sua superficie di vetro liscia made in france by Ikea, mano ben inserita nella concavità mentre ‘giro, giro e giro’. Arrivo alla parte scheggiata e il vetro mi entra nella mano e subito, una leggera, istintiva pressione da sorpresa con il bicchiere che si frantuma in mille schegge impazzite nelle mie mani, in un insolito lavandino panna e fragole con schiuma Nelson piatti e sangue a sostituirli. Non l’ho notato perchè sempre più spesso vivo senza nemmeno accorgermene, come una foto di gruppo in cui tutte le persone sono sfocate mentre le crepe del muro alle loro spalle sono chiare, limpide, perfettamente delineate nei loro fastidiosi chiaroscuri di incertezza.

Che adesso mi sono ricordato…

…perché non sono un tipo competitivo. Perché poi perdo.
Ma oggi non ho perso, la mia lampadina è sempre lì pronta ad accendersi. Ho solo trovato un modo per non vincere.

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