Mi guardo allo specchio del cesso e sono verde. Di solito quel vecchio cimelio è benevolo con me, ma non oggi, anch’io sono un cesso, ogni giorno che passo senza radermi capelli e barba sembro un anno più vecchio, e oggi ne dimostro almeno settanta. La cosa nemmeno mi da fastidio, e considerando che spesso mi faccio più problemi di una donna direi che è preoccupante. Ho un pile blu addosso, marchia sconosciuta, recuperato nel cassetto delle cose brutte e vecchie, di quando pesavo 30 chili in più. Mi sta enorme, troppi spazi, troppa aria che entra, troppi errori, ripensamenti, scelte sbagliate. Il “Sbagliando si impara” con me non ha mai funzionato; io sbagliando, sbaglio e basta.

Mi ha chiamato un amico prima, ho capito solo che mi passava a prendere ma nemmeno ricordo l’ora, chi cazzo ha voglia di stare ad ascoltare e mica perché son stronzo, ma proprio non ci riesco. Dico solo “si si” sperando che la risposta sia sempre giusta, usando un tono di voce che non sembri distante quanto Plutone.

Se ne accorgono?

Sono tirato, mangio anche poco per colpa di quel cazzo di animale che ho dentro lo stomaco. Ci metto dentro qualcosa e quello lo stritola, lo prende a pugni e lo lascia li, morente, un semi-cadavere, come quando prendi una vecchia lettera d’amore e la trasformi in palla, pressandola al limite di sanguinamento palmo. Quando lo stomaco si contorce poi è tutto il resto del corpo che si scuote dal nervoso, i neuroni cominciano a lampeggiare di pensieri negativi e cattivi, di mie versioni piromane o picchiatrici, che tanto, rimangono confinati dentro le ossa craniche.

Se fossi una persona peggiore forse mi sfogherei davvero cosi, e chissà come mi sentirei. Se fossi una persona peggiore, una persona di merda, un grandissimo stronzo però, non sarei nemmeno cosi incazzato, cosi verde, con quelle occhiaie da sonno mancante e la barba da disadattato sociale. Sarei vestito elegante, pronto a fare del male a qualcuno, una specie di hobby, una passione da tenere nascosta quando sorridi falsamente.

“Stai calmo, riprendi il controllo, sei tu che decidi, che te ne frega delle bugie, impegnati, lavoro, un passo alla volta, obiettivo per obiettivo, allenati, leggi, crea, esci, divertiti, riprendi il controllo, riprendi il controllo”

Una tiritera che ripeto davanti al mio IO specchiato, che a dirla tutta, non mi è mai piaciuto. A volte, anche senza specchio, riesco a vedermi all’esterno, in terza persona, come comandato da un joystick wireless, il divertimento preferito di un chicazzoneso che gode nel torturarmi.
Mi sciacquo la faccia, e siamo a venti volte, il cellulare vibra, ho da sfruttare i miei canonici 10 minuti di ritardo, con il mio amico che mi aspetta in macchina giù da basso; jeans, maglietta e giacca, che in questa città di merda comincia già a fare freddo e io non ho bisogno che di calore perché mi sono stancato del freddo, sia fuori che dentro, che il freddo fa schifo, perché ti fa tremare, e anche quando hai paura tremi, e anche quando sono arrabbiato tremo.

Scendo, chiudo la zip della giacca, e sulla testa sento una goccia di pioggia, avvertimento che la serata non potrà che peggiorare. Apro lo sportello e mi siedo. In sottofondo “Drain You” dei Nirvana esce dallo stereo,

“Ehy…” dico al mio amico, appena mi siedo

“Ciao…come va?”

“Bene direi…andiamo” rispondo sorridendo.

Ma sento la mano della bestia che dallo stomaco cerca di prendere le mie parole.