Oggi invece di girare a sinistra, per andare a lavoro, sarei dovuto andare dritto. Poco più avanti, una strada ripida, in discesa, porta al fiume. Pericoloso quel sentiero, l’aria è pesante e umida, cosi sovrastato da archi di piante che si abbracciano che quasi non filtra luce. Radici e sassi cercano di farti cadere ma alla fine, arriva il ponte rotto insieme al bagliore della luce; come uscire da un tunnel. Le rovine in cemento di quel vecchio passaggio non permetterebbero di passare oltre ma con un po’ di astuzia ce la faccio. Vado verso la città, ma passando sotto quelle strade, quei viadotti, quei ponti ferroviari del secolo precedente, nell’erba alta, e non importa se piove, io continuo passo dopo passo, ora dopo ora, con il fiume sulla sinistra, sorpassando vecchi edifici, industrie abbandonate ai rampicanti, ormai padroni del territorio. La città è quasi alle spalle ormai, anche se sento ancora qualche rumore di vita meccanica, un brusio di fondo quasi piacevole.

Il lago, con il sole ormai tramontato, è oscuro e increspato da gocce di pioggia e una leggera nebbia cala tra cigni silenziosi, canne di fiume che oscillano, detriti sulla spiaggia grigia e le onnipresenti rovine, un paesaggio quasi apocalittico in quella totale assenza di umani.

Ma il rumore dell’acqua è sempre bello.