Un mio grande amico mi ha regalato una foto di qualche anno fa. Ritrae un ciccione seduto su una panchina, la faccia tonda e sofferente, dietro una grata, un gusto nel vestire decisamente poco raffinato con maglione grigio e canotta in bella vista. La foto si chiama “prigioniero di se stesso” e il ciccione sono io. Un estraneo, vedendomi adesso, potrebbe pensare che tutto sia cambiato ma in realtà non è proprio così. Credo di essere ancora dentro la prigione della mia mente, una stupida penitenza auto-imposta che non mi fa rischiare, non mi fa sfidare il mondo e mi costringe a provare mille paure diverse, a parlare sottovoce. Ho paura di troppe cose anche se la battuta pronta e gli atteggiamenti mascherano tutto in qualche modo, fa sembrare come se ogni cosa mi scivolasse addosso mentre in realtà si incastrano nelle mille crepe della mia finta corazza.

Sempre più spesso però, sento una vocina che parla salendo da un punto dietro lo stomaco.
“So cosa hai fatto l’estate scorsa” mi dice tipo, con la voce da killer, accusatoria.
“Ero al mare, come ogni anno” gli rispondo facendo finta di nulla, ma so di cosa parla.

Intende tutti quegli anni sprecati ad attendere che fosse il mondo ad adattarsi.

No, non è mica così che vanno le cose, il mondo non si adatta a chi lo abita ma TU, se non vuoi essere quello che cambia, devi essere forte abbastanza da plasmarlo a martellate. Come lo vuoi te.

Sono in grado? Sono forte abbastanza? Devo darmi una risposta, devo uscire dalla cella il prima possibile.

E scoprirlo.