La casa è stata denudata di ogni presenza umana e sembra pronta da affittare con armadi vuoti, comodini sgombri, materassi nudi. C’è un gran silenzio al posto dei miei oggetti, di Sorella, di mia madre, mio padre. Un silenzio che sgranocchia i mobili e fa cadere l’intonaco dai muri, corrode i fili elettrici, scrosta le persiane mentre della mia presenza rimane solo un terzetto di magliette da stirare, due pantaloni e uno spazzolino con dentifricio affianco, sapete no, per prevenire l’attacco degli acidi, entro trenta minuti dai pasti.

Luci tutte spente, anche quando mi faccio la doccia, bollente come al solito, ma soprattutto oggi che fuori piove e anche un po’dentro di me. Saluto la tendina trasparente opaca a pois colorati, lo specchio troppo poco generoso con le mie sconfitte estive, la porticina pieghevole. Saluto i salotti immacolati e il frigorifero, la scala e la vetrata gialla e le stampe sui muri, i miei “Topolino” i giornali d’auto di milioni di anni fa. Saluto casa mia.

Stupida la vita. Credo che sia un diritto dell’uomo vivere e iniziare a morire dove vuole il cuore ed invece non mi è possibile solo perché devo inseguire banconote stampate, persone più infelici di me e vivere all’ombra di palazzi e ciminiere, immerso nelle cento nuove malattie della grande città.

Ma perché “Sopravvivere” deve venire prima di “Amare” ?

Non funziona così l’alfabeto…