Sono in fila in autostrada e scrivo mentre il navigatore indica 2,9 km all’ora di velocità. Mi addormento sul sedile passeggero, saltuariamente, uno di quei sonni in cui non ti accorgi di dormire perché i pensieri continuano a scorrere e si tramutano in immagini grottesche. Sogno di sposarmi tre volte, sempre con la stessa persona, poi mi ritrovo Emanuele Filiberto su una sedia vecchia e scassata che mi parla, dentro una casa antica, carta da parati verde pesante e legno scuro.

A 8.2 chilometri orari, passiamo di fianco ai lavori in corso. Ci sono riflettori e luci abbaglianti. Dei tizi infilati dentro gabbie con maschere e tute, sospesi a dieci metri di altezza, armeggiano con quello che sembra uno spruzzino gigante sotto il cavalcavia, quasi come se fosse un’operazione di pulizia di una vecchia balena grigia. Fumi e vapori rifraggono le luci e sembra tutto irreale, una specie di film fantascientifico di serie B al punto che forse anche questo è un sogno.

La trafila dei micro-sonni procede senza tosta e con le immagini sconnesse del mio IO a riproduzione continua. Monete che cadono, lei che mi parla e io che guido in una città lontana. Acqua che scorre, cartelli luminosi.

Ogni pensiero che formulo si trasforma appena il nero della palpebra cala e le luci rosse delle macchine diventano stelle e poi punti nebbiosi. Nei pochi momenti di lucidità invece, appena esco dal sonno, faccio quello che non si addormenta mai, quasi che sia un peccato mortale. Mi riprendo dal sogno, parlo, scrivo appunti, mi mostro la persona più sveglia e carica del globo.

Mha…

Ultima curva e ultimo sonno, incredibilmente. Nel film di questo ultimo viaggio, mia moglie, anche lei, chiede ad un tizio con la testa a forma di gomma per cancellare smangiucchiata e viola se per caso sia stato l’allenatore del suo nipotino, qualche anno prima.

Mi ridesto subito, preoccupato dal mio stato mentale.

Ma sono davvero sveglio?