Due giorni di fila che esco da lavoro con gli occhi stanchi e un mal di testa mi rimbomba tra le orecchie nonostante oggi sia stato uno dei giorni più silenziosi della storia in ditta, calma placida, solo qualche risata sguaiata di un cliente che sembrava imitasse un macaco.

Controllo il cellulare ogni 21 secondi. Sempre in attesa di risposte a domande e in attesa di darne a mia volta e mi chiedo perchè invece di comportarmi con un nevrotico o una spia con qualcosa da nascondere, non imposti segnali silenziosi che mi avvisino dell’arrivo di qualche messaggio invece di massacrare il pulsante ON già abbondantemente in difficoltà, praticamente mezzo affondato nella scocca. Invece no, il mio cellulare è un sordomuto ormai, non parla, non ascolta, l’ho torturato e seviziato, aspetta solo la morte.

Guardo lo schermo, 3 messaggi. Leggo e rispondo ma subito me ne arrivano altri 4. A volte sembra una sfida ad ‘Uno’. Quando pensi di aver concluso e lo gridi, “UNO!” tutto fiero e soddisfatto, ecco le carte ‘+2′ e ‘+4′ come se piovesse, cambi giro e bastardate che non ti fanno vincere la partita.

Metto in tasca il telefono appena entro nel settore di strada scorticato e perennemente in “lavori in corso”. Mi sento svuotato di energia sotto il sole ancora alto che oggi si raggiungono i venti anche se nuvole lontane sull’orizzonte puzzano di sorpresa fin da qua giù e già mi immagino mentalmente l’odore di asfalto bagnato ma non questo, quello del sud, bombardato di radiazioni solari per mesi e mesi, crepato dal calore, grigio per l’usura, finchè non arriva una rinfrescata spurgatrice, che riempe l’aria di catrame olio e pioggia sporca. Mi piace quell’odore anche se lo so che fa schifo.

La mano va quasi per istinto verso la tasca. “No”

Mentalmente conto fino a “21″ resistendo all’istinto. Ci arrivo e vado avanti, “40… 41″ avanti “56…57″ vado avanti “83…”
Arrivo fino a 144, come avevo deciso fin dall’inzio e parto a scrivere il pezzo di oggi.

Parla di un tizio stanco che cammina su un asfalto sconnesso sotto il sole, fa giochetti strani con la mente, ha la testa stipata di Piani A e B sempre tra l’impossibile e il pazzoide, ha sempre in mano il cellulare, vestito da barbone con barba da fare e che odora l’asfalto d’estate. Davanti al cancello di casa tira fuori le chiavi e, nel gesto, anche il cellulare, involontariamente. Quello cade per terra. L’ennesima volta nella sua breve vita che vola senza colpe e senza scelta, assaggiando l’asfalto scrostato con vetro e plastica, girandosi trentaquattro volte su se stesso. Si china e lo guarda, cosi malconcio e malriparato, “chissà se si accende” pensa. Preme sul tasto di accensione, si accende. Toglie il blocco tastiera…nessun messaggio.

“UNO!” grida al cielo.