Brava Giovanna, brava

Mese: Novembre 2013 Pagina 1 di 2

Pillola del 216° giorno – Quattro mezzi non fanno due interi

È tutto il giorno che controllo se ho in spalla lo zaino…e dire che non ne metto uno da un miliardo di anni eppure…sento che manca qualcosa, mentre aspetto il bus.

Giornata da mezzi pubblici, oggi mi odiano. L’ autobus è puzzolente, non accetta i miei soldi come se derivassero da affari sporchi quando in realtà non sono poi così sporchi. Sedile sghembo, densità di popolazione di otto persone a metro, accessibilità dei pulsanti per prenotazione fermata nulla. Ad ogni stop, famiglie con passeggini, borse della spesa e scatole, aria cosi viziata che quasi preferirei essere nella penultima fila, quella davanti al motore, rumore, biossido di carbonio, asfissia, perdita del gusto e della vista, può avere effetti collaterali anche gravi. Di fermata in fermata, snocciolo santi come alla Via Crucis ma riesco piano piano, lottando con gente in trasloco e fan dei supermercati, ad avvicinarmi all’uscita.

Quando scendo, vorrei ringraziare il Signore ma attendo…tocca alla stazione.

Fila di gente alla cassa che invece di chiedere biglietti si fa consegnare moduli da compilare…e vogliono la penna…e spiegazioni…e i fogli da sotto il vetro non passano comodi, si stropicciano e devi farli passare lentamente…uno per uno e il tempo passa…e i ringraziamenti di prima ora sono bestemmie. Una tizia prende i moduli e si mette sul fianco, turno del tipo davanti, basso e scuro. Sembra uno che punta al sodo…un tipo da andata-ritorno e via ed infatti “vorrei i moduli per l’abbonamento” e vabbè altri dieci minuti, manco si sposta a sinistra e quando finisce nemmeno usa la corsia d’uscita, deve per forza tornare indietro da dove è venuto, sbatterci contro, mostrarci uno scorcio di stupidità ad ogni costo.

Il viaggio fino a Milano lo passo isolandomi il più possibile da una scolaresca eccitata al piano di sotto, in piedi come uno scemo vicino all’unica presa di corrente funzionante del treno che il cell è già scarico e oggi si fa serata ma si sa…qualcosa la devo dimenticare sempre. Se mi siedo sul sedile di fronte, il filo si tende cosi tanto che sembro il PR di una gara di limbo e devo abbassare il cellulare a livello pavimento ogni volta che c’è uno stronzo che deve scendere o passare di lì e quindi “No grazie”, sto in piedi da scemo e guardo il soffitto e quel ciuffo di capelli incastrato sotto una bacchetta di metallo, disgustosi ma resi affascinanti dal mistero irrisolvibile e la domanda inevitabile che uno deve porsi:

“Come cazzo ci sono arrivati lì?”

In stazione dopo un’ora ma per poco visto che mi infilo in un carro bestiame sotterraneo più stipato del cugino ciccione dopo il pranzo di Natale, gente che combatte per un pezzo di cilindro sudicio a cui aggrapparsi o che lotta per uscire nella sua fermata sfigata…che colpa ne ha se ci vive solo lui e si trova incastrato tra turisti cinesi e l’ascella di un bodybuilder alto tre metri. Per fortuna tutto quel circo dura solo qualche minuto perché di nuovo in superficie, mi rilasso a fare lo scemo con un amica fino a che diventa quasi ora di cena…l’accompagno al tram, castello sullo sfondo, lei sopra vicino alla porta, io sotto che per una volta son serio e cerco di formulare discorsi con un senso, artistici e complessi…e quasi arrivo al dunque quando ecco che mi scorre davanti del vetro ricurvo, e plastica e luci riflesse e poi tutto silenzioso si muove inaspettato come il trucco della tovaglia strappata via dove sul tavolo restano immobili piatti e vasi con fiori…rimango li con il castello, il mio discorso a metà, un cappellino in mano, lei portata via e freddo…tanto freddo.

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Pillola del 215° giorno – L’uomo del monte

Ero lì che sentivo recitare poesie sul palchetto, bottiglia di sconosciuta acqua tonica sottomarca in mano, cannuccia nera che fa tanto sfigato…non so perché non hanno capito la parte ghiaccio-limone-limone sotto, cosi chiaro e semplice discorso che scandisco a parole slow-motion come quando si incontra uno straniero…parli nella tua lingua tre parole al minuto come se esprimersi lentamente lo aiutasse davvero a capire discorsi in un idioma non suo, anche se non è questo il caso…il barista è del mio circondario, medesima regione, stesso stato, probabili amicizie in comune, all’occhio coetanei, soffriamo entrambi di capelli con eccesso di attrazione gravitazionale verso il centro della terra e peluria facciale, due padiglioni uditivi per ricevere le mie onde sonore scandite con energia e cortesia ma nulla…guarda torvo, parvenza di simpatia ottimamente celata, mi fissa e mi allunga un cilindro…la bottiglia…etichetta old-style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ con su scritto Acqua Tonica e io accetto, malvolentieri ma accetto.

Accetto la sottomarca, la bottiglietta, la cannuccia, l’etichetta umidiccia old-style style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ ma la fiducia…la fiducia si, per la fetta di limone risicata al 5% di polpa e ghiaccio chimico in un bicchiere…limone sotto…la fiducia si…almeno in quello, c’era.

“Chi conduce la serata” mi chiedo e subito mi rispondo…gothic girl ossigenata con dipendenze dall’alcol e odio per le parole pronunciate bene, meno comprensibile di Sandra Bullock, attrice classe 1964, Arlington, Virginia, vista poco prima e poco propensa a parlare in italiano corretto soprattutto in un film proiettato in lingua originale al piano di sopra, entrati dieci minuti dopo quindi in ritardo anche se dipende sempre da dove le cose si guardano perché dalla nostra, eravamo in anticipo si, su quel ‘noveemezzadaiandiamo’ pronunciato con troppa sicurezza. C’era l’inghippo, tutta colpa della mia generosità che se c’è scritto nove mi sento in dovere di regalare sempre qualcosa e quindi ‘noveemezzadaiandiamo’ e banchetto vuoto, sala buia e sei euro a testa con un film “iniziato da dieci minuti” ci dice un vecchio. Ma va bene lo stesso, che tanto noi siamo in anticipo, in anticipo sul ritardo.

Ero li dicevo, dopo la Sandra e i suoi detriti spaziali e ascoltavo strofe e pensavo. Pensavo che spesso suonano bene le parole incastrate l’una nell’altra e che formano frasi…come una distesa di rifiuti, ruderi, rottami, reperti, raschiature-di-barili che si aggrovigliano nel centro di un Maelstrom, mischiando fibre colorate di plastica a cadaveri di pesci, calzettoni e mutande di naufragi, assi di legno macchiate e spazzatura uniti assieme che quasi ci vedi un disegno del destino, un super tessuto divino cucito a maglia all’insegna del riciclo, arte vorticosa. Subisci tutto il fascino di vederli ruotare e finire in fondo agli abissi e i versi son lo stesso, cosi aggrovigliati, sembrano complessi e intelligenti.

“Trachiotomia-dell’anima-branchiale”

“Sinapsidi-ultraconnesse-dell’io-apocrifo”

“Semicoscienza-sinusoidale-del-mio-essere-umano-pittorico”

Ero li quindi, e tra i concetti poetici di qualche interesse, ritrovavo queste frasi oscure dal bel suono e nemmeno ti fermi a pensare…non hai scritte davanti…la poesia recitata va tutta a memoria e non ti fermi per capire quello che hai ascoltato, vai avanti, suona bene, basta cosi, non ti fare domande, basta arrivare alla fine come nelle canzoni in inglese che potrebbero dire tutto a volte…che tua madre lavora di notte negli angoli…che sia giusto sputare in faccia ai barboni…che forse è meglio idolatrare Satana come suoi adepti preferiti… ma tanto non ti importa, l’importante è che tutto suoni bene, che tutto fili, che tutto abbia una melodia di base, che il tuo ciuffo penda alla giusta inclinazione in gradi e che il montone sia vero montone, la macchina lucida, conto in banca a sei zeri, scarpe griffate come la maglietta con nomi in evidenza e brillantinati, scintillanti sotto i riflettori della disco nuova aperta in periferia, 30.000 chilometri quadrati underground, ricavata da una fabbrica che confezionava cibi per cani, laser, strobo-sfere, fumi tossici sparati sulle folle, azoto, cocktails e ombrellini, acqua tonica di marca, ghiaccio di marca, fette di limone di marca, serigrafie dell’uomo del monte che a nessuno importa più quello che dice ormai, che abbia detto si, che abbia detto no, non importa, ricorda…basta che suoni bene.

Pillola del 214° giorno – Hystéresis

C’è una cosa che mi hanno spiegato mentre si lavorava sul Pulser, un mostro ciucciaolio con ventole di un Cesna, che martella pezzi di plastica 50 volte al secondo. Una cosa che si chiama Isteresi.

Non ha nulla a che fare con la gente che si uccide dopo i crolli in borsa o che entra in panico negli ascensori o per lo scoppio di un incendio, é una cosa che in pratica c’è in ogni sistema dove spesso, la reazione arriva in ritardo rispetto all’input che uno gli dà e quel suo ritardo è anche in relazione con tutti gli stimoli che ha ricevuto prima della causa scatenante.

Tipo…siamo in un pub gonfi di Guinness e Fish&Chips…vieni verso di me…mi spingi.

Logica vuole che ti levi i denti a testate ma poi ci penso e faccio il conto delle volte che le ho prese in una rissa e le volte che sono finito a dover dare spiegazioni a gente in divisa quindi aspetto qualche secondo e valuto se partire con il destro.

Isteresi.

La cosa che mi affascina in questa magico incontro fra ‘fisica da ingegneri’ e ‘genere umano’, è che a ripensare al tempo perso, alla mancanza di reazioni di orgoglio, al non volerci provare memore dei fallimenti passati, al non voler rischiare per non perdere tutto e quindi svegliarsi dopo anni di sonnolenza… in ritardo, un vagabondo in stazione bhe…direi che si possa senz’altro concludere che dire isteresi e dire paura sia la stessa cosa, una specie di equazione dell’ansia.

Ora…immaginate il mio shock quando ho realizzato di soffrire di isteresi termodinamica come la mia caldaia…e pure senza controllo annuale che per quanto la ami…e in questo periodo la stra-adoro, mi ritengo un gradino sopra nella scala evolutiva, ho una testa per pensare alla mia vita quindi, mi metto li carta e penna cerebrale e inverto le formule della mia Isteresi termodin-anima scomponendo i fattori, dividendo i dividendi, sottraendo i sottraenti-ci-vi-si per scomporre gli elementi base.

“I ricordi sono una merda” è la conclusione.

Io mi immagino un sacco di gente che in questo momento chiude la pagina ma quando penso a tutte le volte che mi sono bloccato per paura a causa di “No grazie” e due di picche, incidenti in auto o magliette troppo sudate o ossa rotte e polsi doloranti cazzo, perdo il conto.

“Tutta esperienza!” urlano dal fondo

Bravi bravi….

Banale. Pure l’esperienza è una merda, utile solo a rendere gente ingenua e spontanea…bella, in burattini grigi, impauriti, succubi e che non hanno la minima idea di quello che stanno perdendo, tormentati da lezioni imparate, come un bambino che si scotta con il fuoco.

“Ma ti hanno nutrito a latte e calci in testa? Ma si…buttiamo nel cesso millenni di storia…”

Ecco…vedete, per quanto sia il più grande fan della Storia e adori collezionare i carrarmatini della seconda guerra mondiale con le uscite DeAgostini, è roba che fa solo male al mondo…la Storia è ancora più merda…la merda delle merde.

Ricordo una discussione…tempo fa. Una tizia parlava dell’importanza del giorno della memoria, l’importanza di ricordare, come monito.
“Ma anche no” dissi.

Putiferio.

“Ma pensaci…un ebreo vede la cerimonia e pensa che uno sporco nazista del cazzo ha ammazzato suo nonno…dall’altra parte i cinesi odiano i giappo per lo stesso motivo e poi c’è quello che è negro…zingaro…polacco…armeno…juventino…quello è frocio…quello mi ha scopato la ragazza sul cofano del furgone…nessuno dimentica…tutti ricordano…tutti con i coglioni girati per qualche motivo invece di mettere corone di fiori in testa alla gente…”

Non capiscono.

Non capiscono che vorrei un’amnesia collettiva nel mondo, per re incontrare chi mi ha spezzato il cuore e ricominciare come se nulla fosse, svegliarmi in una città che non ho mai visto senza chiedermi che popolo mi stia attorno, non avere pregiudizi o freni mentali, come quelli che di colpo si riscoprono pianisti ma non sanno nemmeno il loro nome, non importa, l’importante è suonare il piano e vivere senza nessun rancore o lotta o follia di gruppo, vendette, resoconti, rabbia condensata tra i padiglioni auricolari, riassunti frettolosi delle tragedie di giornata dopo la sigla in 3d di un telegiornale, la bionda che sorride…”30 morti in un attentato” dice. Sorride.

Via tutto.

Liberi.

Pillola del 213° giorno – Controvento

Mi ritrovo tutto il giorno a smanettare su una macchina che mi sbuffa aria in faccia da un ventolozzo gigante, in totale noncuranza della mia influenza, tosse e starnuti.

Ne faccio tre di fila che quasi vomito i polmoni, sento la leggera febbre che galoppa mentre il lavoro rallenta…e rallenta ed ho sempre più freddo. Mi vado a sedere sulla mia poltrona monca…lo schienale è ormai scardinato, la mia morta già la dipingo…la testa aperta sullo spigolo del laser alle mie spalle, tutto quel ben di Dio, le idee e l’amore che avrei potuto dare, sparpagliato per terra.

Chissà poi chi ci verrebbe al funerale, se magari viene su anche qualche carovana, se il prete mi dipingerebbe al mondo come il classico giovane pieno di vita e ottimista verso il mondo, infarcendo il commiato di cazzate totalmente false cosi…per farmi fare bella figura. Dico che devo lasciare un appunto da qualche parte con l’epitaffio, qualcosa di intelligente, comico quasi dissacrante, senza prendersi troppo sul serio li, sotto tre metri di terriccio e ghiaia.

Io alla morte ci penso spesso…è come quando ti immagini l’infinito e non arrivi a nessuna conclusione. Vecchio a volte proprio non riesco a vedermi, a volte si. Incerto sulle gambe e sereno non mi sembra possibile…in un bar a Marrakech a settant’anni steso sul bancone magari…più che in un letto d’ospedale.
Sono pensieri incerti e costanti…mi dicono che è perché trasudo ansia e impazienza, mi perdo il presente temendo per il futuro, temendo la vecchiaia, la morte, la solitudine…sensazione figlia dell’insoddisfazione costante che stai li a pensare di non avere più tempo per provare e sbagliare, che le chance le puoi contare sulle dita di una mano monca e quando vedi gente sulla sessantina che sorride ti chiedi come sia possibile.

“Ma che cazzo ti ridi…”

So che è sbagliato, tutto sbagliato…faccio il doppio della fatica ad avere una vita normale cosi, solo perché non ci ho mai capito un cazzo. Mai saputo prendere le strade semplici.

Smetto di pensarci…forse è meglio che a stare seduto qua con il freddo nelle ossa…mi sento già mezzo morto…ma credo non sia ancora la mia fine…è solo che questa cazzo di stufetta messa al massimo non contrasta gli spifferi e il gelo dell’officina e poi son da solo…quasi le sette, i Robur che sbuffano aria sono spenti da un po’, metà delle luci sono in pausa…si sente solo il vento fuori che urla.

Metto la giacca…la macchinetta oblitera un’altra giornata da zero a zero. Fuori il mondo é nero e gli alberi sono irrequieti. Prima delle luci di casa mia, 340 metri di inverno, tutti controvento.

Pillola del 212° giorno – Il titolo

Ho un titolo in testa da giorni e vorrei usarlo…non ci riesco.

“È normale che dopo duecento giorni le idee scarseggino…ci sta…”
“Si lo so…”

Me lo dice il mio amico, quello delle ‘cose a caso’, quello di ‘che è da fuori che si vede’…un tipo pacato e saggio, mezzo scrittore come me e quindi le cose da scrittore come le crisi, il voler chiudere tutto, bruciare fogli…le vive pure lui. Mi chiama anche la mia sorella samurai, mi dice che è stanca, che si allontana dagli altri, che vuole imparare il Kung Fu. Io le dico che ultimamente la mia vita è come moltiplicare per uno, non cambia un cazzo e benedette le fiacche sulla lingua e i numeri alti sul termometro cosi…per cambiare i fattori dell’equazione. Le dico ‘Ciao’ e aspetto il suo ‘Ciao-cia-ciao’.

“Ciao-cia-ciao…”

Sgranocchio cioccolato e nocciole…dovevo eliminarli da oggi i dolci, i grassi, le porcate…ma è tutto come quel titolo, bellissimo alla pari con i buoni propositi…ma quando c’è da prendere in mano la penna poi, non fai nulla.

Idiota.

Pillola del 211° giorno – L’esercito nero

Sto qua tra i parenti vestito con tuta e pail blu tre volte più grande di me. Ho freddo solo all’idea di spogliarmi per entrare in doccia, fra un’oretta, mettermi jeans e maglione, giacca e uscire senza cappuccio, stringere volante e pomello, disappannare, muovermi, camminare al freddo con la tosse, la testa pesante.

Ma devo uscire, altrimenti penso a lei e non fa bene pensare a lei…diventa un peso da trascinare per giorni e tutto si scatena con poco…due parole, un ricordo, una foto, frittata fatta…partono le congetture, le ipotesi e i perché e i percome…come prima, quando mezzo febbricitante mi addormento di fronte ad una partita in Tv e sogno uno scorcio del mio futuro. Quello che vedo non mi piace, che le ansie ormai si intromettono anche nelle fasi Rem.

Il freddo lo sento dal parcheggio fino al Twiggy. C’è un tavolo riservato per quattro enorme anche se poi siamo in due. Birra e patatine, la sirenetta rock texana si presenta sul palchetto un’ora in ritardo e inizia a strimpellare mentre un sosia di Johnny Depp tamburella con le bacchette tra i tavoli, sui muri e carapace di tartaruga, bonghi e maracas. Un’altra ragazza, chitarra e voce accompagna la sirenetta, poi si mette una testa di cavallo e balla. Sono bravi…molto, particolari, un mix di rock melodico acustico che va tanto di moda nelle pubblicità di macchine e compagnie di assicurazioni. Il playboy è il piu imbenzinato di tutti…ride e salta, tamburella su ogni superficie e quando non è sul palco di sicuro sta limonando qualcuna. Bella vita. La sirenetta e amica sorridono e sono decisamente più composte ma tutti e tre ci mettono voce ed energia…circa un’oretta…poi salutano tra gli applausi.

Usciamo, saluto Fede, torno alla macchina. Per un po’ il piacere della serata, passata senza pensieri, spina staccata, nessun fardello sulla schiena, mi terrà al sicuro…come quando in una notte polare senti il calore di una cioccolata nel petto. Durerà fino alla porta di casa. Chiuderò con due mandate la chiave sopra, quattro di sotto. Spazzolino e dentifricio Aquafresh, vestiti appoggiati sullo schienale della sedia, letto, coperte.

Poi da sotto il letto, dove da bambino c’era il mostro, arriverà un nero esercito di pensieri.

Combatterò tutta la notte.

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Pillola del 210° giorno – Meglio di ieri

Secondo giorno da mezzo influenzato…le cose migliorano, l’uovo di struzzo ‘sceso’ e digerito, bombardamento di farmaci che mi ha reso il mal di testa e il mal di gola sopportabile o forse sono le radiazioni dei film a catena continua che metto in TV che mi desensibilizzano il cranio mentre mi faccio del male tormentandomi la bollicina che sta sulla punta della lingua.

Mi sono sparato qualcosa come 4-5 film di fila e per concludere, per parlare di germi, ‘L’esercito delle 12 scimmie’ ora scorre nel suo genio e follia sul tubo catodico Philips anno 1998.

“I germi non esistono, sono soltanto un’invenzione creata apposta per vendere disinfettanti e saponi.”

Sarò breve, non ho voglia di scrivere fuori dal letto, in balia di spifferi provenienti dal cassone della tapparella, dimora di ragni e bestiacce e vento continuo, voglio solo sbomballarmi nel letto e davanti alla TV che oggi ho pure fallito con il tentativo di uscire fuori…c’erano sconti e grosso shopping da fare che per uno come me è motivo di giubilo e di grande carica ma nulla, collassato. Esco solo stamattina, c’era da andare in posta per forza…roba di lettere da inviare urgentemente…mi accompagnano in macchina, prendo freddo giusto qualche minuto e già mi basta per iniettarmi dolore nelle vene del cervello, fitte lancinanti. Poi subito il muro caldo della posta appena oltrepasso la porta a spinta, vecchi che si lamentano, un bambino che gioca con la cordicella di una penna, la tizia allo sportello che senza fare rumore dice e ridice “Non ce la faccio più”…lo leggo dal labiale. Io tossisco e spargo germi di questa nuova malattia nell’aria aspettando il mio turno. Dovranno sicuramente mandare qualcuno dal futuro per fermarmi prima che per il mondo sia troppo tardi, l’epidemia inizierà da qua. Pago 70 centesimi allungando una banconota che a proposito di germi e schifezze, sono la cosa più sporca che esista, sia come igiene che come morale. Mi allontano da vecchi, bambini e sportelli POSTAMAT elettronici, fuori freddo e subito nel Lupo con Sorella che mi aspetta sull’uscio sgasando.

A casa inizio con il pianeta delle scimmie…quello vecchio…dovrei radermi pure io a vedere tutti quei peli farlocchi. Poi continuo con Matrix e cosi via…non misuro la febbre ma credo di averla. Come arriva la sera si sa, sembra sempre peggiorare la situazione…la tosse si fa un po’ più forte, ricevo due chiamate e la mia voce pare uscita dall’oltretomba. Io tutto sommato mi sento anche bene non fosse per la testa pesante, diciamo che ne approfitto…nessuno mi fa domande…nessuno mi rompe il cazzo con lavori…posso starmene schiantato orizzontale una volta tanto…non me lo concedo spesso.

Ora basta…ho Bruce Willis sullo schermo e questa sedia mi ha stancato…devo anche prendere lo sciroppo per la tosse…mi irrita la gola.

Germi del cazzo…anche se non esistono.

Pillola del 209° giorno – Meglio ieri

Sono a letto da questo pomeriggio, non sono tornato a lavoro. Sentivo questa fitta sul fianco fastidiosa che non riuscivo a stare seduto…figurati concentrato a lavorare, non ho combinato un cazzo di niente, passava la Capa a dirmi cose…raccomandazioni e scadenze e di tutte quelle parole non ricordo nulla, non ho segnato nulla, troppo preso a ricercare la posizione meno scomoda per sopravvivere fino alle 13. A casa arriva la nausea, subito combattuta con un piatto di fusilli al sugo. Non funziona. Mi imbottisco di farmaci, mi sdraio e accendo la Tv dove trovo Stargate…il film…e io dico “Fico…lo guardo…è una vita che non lo vedo” ma poi quelli della Mediaset sentono l’esigenza di farsi insultare e non mettono mezzo sottotitolo in un film dove il 90% del tempo parlano in antico egizio inventato e questo Dio solo lo sa quanto mi fa incazzare.

Sto li svaccato che do tregua al fianco ed ecco che si formano delle fiacche sulla lingua non so perché…le torturo masochisticamente con i denti e non so perché…poi è il turno della gola. Deglutisco e fa male…linfonodi che sembrano uova di struzzo…non ho la febbre ma sarebbe il male minore visto che arriva pure mal di testa e mal di denti, premo il naso e mi fa male il dente che sta dopo i canini…non ricordo come diavolo si chiama…John…lo chiamerò John. Premo il naso e mi fa male John e non so perché.

Alle 16 ho già disdetto gli appuntamenti serali che so già come andrà a finire, quando parlo ormai sembro Barry White, tossisco come Clint Eastwood in Gran Torino, nella gola sento un Alien, la testa è ovatta calda fritta in padella, il dente pulsa. Unica nota positiva è che ho trovato inaspettatamente una via per far partire una mia idea fotografica che avevo in mente da tempo, arrivata cosi, dal cielo…come questa mezza influenza-infezione-cistite-checazzoneso presumo e via con un’altro disco effervescente nel bicchiere.

Qualcosa di positivo quindi…certo, non è la figa bella intelligente e simpatica e innamorata pazza di me che andavo chiedendo ultimamente ma in una giornata di merda come questa direi che posso anche accontentarmi.

A ecco…ho finito le tachipririne.

Pillola del 208° giorno – Camomilla

Sto li davanti alla tazza per quella che mi sembra una mezza eternità e so benissimo che iniziare con l’immagine di me stesso pisello all’aria che piscia andando avanti e indietro con il corpo solo per far cambiare il suono che fa non sia un granché, poco elegante, da sconsigliare alle persone decenti e per bene.

Visto che ci sono smanaccio anche la pancia, che doveva essere sparita a fine Ottobre ed invece, ora che arrivano Pandori e cioccolati assortiti, è sempre li. Per un motivo o per l’altro non riesco ad essere costante negli allenamenti e spesso sono io che dico “meglio domani” o “da lunedì” o “aspettiamo il 15 che è metà mese che è meglio”, con il tanto famigerato foglio degli allenamenti che devo sempre stampare e invece è li da mesi salvato in un file senza nome.

Devo recuperare spirito, un ipod con cronometro e cuffie nuove, un k-way antipioggia che ne ho le palle piene di sentire l’acqua addosso che scorre dentro felpe zuppe come stracci per lavare pavimenti di scuole elementari. Adesso le cose stanno cosi, che volete farci.

C’è che sto diventando vecchio mentre il mondo attorno mi sembra sempre giovane. Rimanere allenati, pronti, capelli ben rasati per non sembrare quarantenni, prendere la macchina ed uscire anche se ti devi alzare da comodi divani costa energie, che non assimili abbastanza perché mangi poco e di merda, dormi un cazzo, litighi con la gente, ti fermi in fissa davanti ad un parabrezza appannato con gocce e vapore in un parcheggio di notte e collassi su un divano chiedendoti che cazzo sai fare davvero…forse nulla…mille cose ma forse nessuna davvero bene o utile e quindi bo…chissà fra tre anni dove sarai.

Stasera sto a casa intanto, sono già uscito ieri…cinema…Thor…gente che si prende a pugni ripetutamente che esci sempre con la domanda “ma dove sono gli altri supereroi suoi amici…avranno visto il telegiornale no…qua il mondo sta finendo e non fanno un cazzo?” però soddisfatto da cazzotti sinceri e testosterone in sala. Vado di là e mi preparo una camomilla. Pentolino e acqua, metto a scaldare, bustina Bonomelli che strappo e polverina gialla che verso nella tazza. Metto l’acqua calda e cinque di zucchero poi, mi metto a lavare il pentolino…poltiglia verde densa odor limone, un filo sulla spugnetta verde pure quella, gratto e passo, movimento antiorario poi risciacquo.

Quando la appoggio sul lavandino mi viene in mente che alla fine ci ho solo bollito dell’acqua e che potevo evitare di lavarla…fanculo.

Sono sbagliato ecco…le piccole cose e i dettagli a cui non faccio caso e che diventano montagne di detriti.

Vabbè, metto un film e mi infilo a letto…bevo quella specie di zucchero liquido. Non mi alzerò più fino a domani…è deciso.

Per una volta lascerò i miei denti in balia dell’attacco degli acidi…

Pillola del 207° giorno – Nuovo documento.docx

Decido da prima di scrivere un bel pezzo. Ci penso la mattina quando esco nel freddo e anche davanti allo schermo in 8 ore di meritato quasi-far nulla.

Non riesco a scrivere niente, nemmeno il titolo, nemmeno il numero del giorno, duecentosettesimo che qualche augurio per aver superato il duecento mi è pure arrivato per quanto serva al mio attuale morale ovvero, nulla…non fa quasi differenza.

Eppure di solito la cosa funziona…ma è evidente che anch’io sia soggetto ai periodi e ai fogli bianchi di word che salvi come ‘Nuovo documento.docx’ che nemmeno un nome per il file ti viene in mente…quando sono giorni che non fai altro che dirti di alzare l’asticella, che ogni pezzo dev’essere di qualità anche se lo scrivi alle tre di notte con il sonno e il primo degl’incubi notturni che già bussa da dietro le palpebre. Mi credevo un genio. Mi sveglio che sento di esserlo, la sera mi ritrovo nel cesso della mediocrità. Devo arrendermi al fatto che in molti giorni i pensieri attraversano la gelatina e arrivano deboli e molli e c’è da arrampicarsi sugli specchi. Quando rileggo il mio creato ben impaginato su libro digitale butterei via metà delle parole. Gli altri scrivono immensamente meglio, gli altri hanno le storie e mondi, vanno a parare da qualche parte. Io parlo di fogli bianchi e di qualche macchia di sporco che ci butto sopra quando scrivo seduto sulla tazza del bagno.

“Io mi levo dal cazzo…”
“Mi sa che vengo pure io” rispondo a Teo.

Ci vado. Costeggio il muro della ditta per andare sul retro, sorpasso il Caterpillar giallo parcheggiato come un’utilitaria e mi infilo in macchina…meno strada da fare con le scarpe umide e il vento contro, meno freddo sullo stomaco, meno stress articolare e consumo di asfalto e suole, strofinamento di pieghe di stoffa per andamento cinetico degli arti.

Voglio tornare a casa prima.

Cado sul letto, blu scuro fuori, tic-tac dei tasti del cellulare, traccia melodica-elettronica indefinibile nei padiglioni acustici…chiedo ad una rossa riccia per la terza o quarta volta, non ricordo, di uscire…è una fissa, una cosa che voglio ma stavolta non mi risponde e non mi risponderà…quindi mi metto al pc e riprendo a trasformare i ricordi in 4:3 di Berlino con fare stanco mentre sticomitie iperveloci di Gilmore Girls si intromettono a frequenze ultrasoniche oltrepassando la barriera del fastidio. Odio quella serie, i dialoghi in cui tutti sembrano dannatamente brillanti e simpatici rispecchiando un mondo teatrale e falso. Odio la cuoca cicciona e la sua farlocca stizza e modi di fare da procione con ghianda in mano. Odio la ragazza giovane e la sua madre vacca più vecchia. Odio la madre-nonna e i suoi vestiti-armatura di seta e la casa…con mobili antichi pitturati crema e tessuto alle pareti. Sopporto il locandiere perché sembra Stallone, il nonno da quando ha i baffi, il pazzo squilibrato che somiglia ad Edward Norton ma con l’insegnante di sostegno…ho sempre tifato per gli sfigati e gli scorbutici, i brutti. Io sono brutto, sfigato e scorbutico e ho sempre desiderato qualcuno che facesse il tifo per me.

Non riesco a vederne più di otto minuti con l’audio attivo ma pare faccia bene al recupero di salute di Sorella, messa a letto da influenza e mal di pancia e curata a pasta bianca, Busco Pan pastiglie, tachipirine da sciogliere, Oki e Tv…Masterchef Usa, Italia, Uk, Algeria e tutto il resto dei paesi e Gilmore Girls appunto. Purtroppo.

Visto che sono già in postazione chiedo a qualcuno che ne sa…Wikipedia, e vado a leggere il finale. La giovane delle ‘girls’ finisce con il biondino e va a fare la giornalista mentre la madre se ne gira trecento o cento volte i soliti tre e dimostra che un po’ troia lo era davvero alla fine.

Mai avuto dubbi.

 

Pillola del 206° giorno – Metronomo

Salto con la corda, occhi fissi davanti e la quasi ipnosi con quei lampioni lontani che fanno su e giù.

Ha smesso di piovere, riprendo a fare qualcosa dopo due settimane di lavoro intenso, schermi, radiazione, tredici ore seduto. La gente litigava, aveva fretta e parlava troppo.

Le gambe fanno male dopo dieci minuti ma è bello tornare ad allenarsi. Mi sporco anche le mani nel cemento spaccato e bagnato dell’entrata dei garage…niente piazza, niente tempo, niente lista da seguire.

Dopo due settimane di scalette, scadenze, orari lascio che il rumore della corda sul cemento mi faccia da metronomo.

Basta lancette, basta secondi, non ascolto nemmeno la musica. Almeno fino a domani.

Pillola del 205° giorno – L’importanza di sapersi togliere un maglione in pubblico

C’è una voce al telefono…dice qualcosa del tipo “disattivare il servizio di disabilitazione per poter effettuare la chiamata” senza aggiungere nulla, non un sito o un numero da chiamare che comunque non potrei contattare non avendo disattivato il servizio di disabilitazione.

Forse devo urlare qualcosa verso il cielo, forse è uno scherzo, forse devo implorare l’aiuto di Super Telecom con mantello rosso, forse non so cosa sto facendo, forse posso convincere i miei che il telefono non serve e che piccioni e fumo e pony express sono meglio ma sotto sotto, prego Dio che la regola inglese della doppia negazione venga applicata anche al resto della vita e che ‘disattivare’ e ‘disabilitare’ si annullino…magari già da domani si, appena sveglio.

Ne sono convinto, dico a Madre che risolverò tutto domani, che ho un piano il che è quasi una cosa vera e che consiste nello schiantarmi sul letto, dormire e sperare che una qualche sorta di magia operi nei cavi o un folletto operoso che lavora di notte si accorga di anomalie e che sistemi tutto smanettando su tastiere a velocità Jessica Fletcher su macchina da scrivere…ricordate no? Nella sigla della Signora in Giallo dico…all’inizio credo, con la canzoncina che faceva “Dan-Dan-Dan-Dan-Dan…Dan-Dan-Dan…Dan-Daaa..” che poi, quando penso alla Jessica, più che la sfiga che si porta dietro…a volte mi pare di vedere uno scheletro con la falce dietro di lei…mi vengono in mente le vecchie con i capelli cotonati. Da dietro sembrano tutte uguali e tutte sistemate dallo stesso parrucchiere che a sto punto dev’essere milionario visto che le fa in serie peggio degli scaffali IKEA. Hanno questi boccoli e forme cespugliose con colori da mezzo piccione sporco che io mi dico che sarebbero meglio come quelli di mia nonna a sto punto, bianchissimi e pure mezzi-punk. Quello si che era stile.
Ora, io dal giro del parrucchiere mi sono tolto da un po’ e la cosa che mi stupisce, e qua le cose si incastrano in maniera meravigliosa, è che l’altro giorno mio padre mi fa…

“Figlio…orsù prendimi un appuntamento per metà ora dopo la terza di meriggio dal tosatore di chiome”

…e io subito, sul telefono di casa, ancora lontano dal dramma della disattivazione di disabilitazione, con memoria e velocità digito il numero “20-22-64” che forse è l’unico numero fisso che sono riuscito a ricordarmi ed ecco il vecchio parrucchiere dell’ormai infanzia, Massimo, lì che mi parla al telefono e mi chiede cosa faccio, cosa combino e no…non ce l’ho la ragazza..eh in paese non ci sono quasi mai…si la fotografia qualche soddisfazione la tira fuori finalmente.

Lo saluto che alla fin fine lo conosco da vent’anni abbondanti e fa sempre piacere, mi passo una mano sulla testa rasata in memoria dei giorni dei capelli sugli occhi o del gonfiore post-phon o del che bello era tirarseli indietro. Ormai essere pelato non è più un problema, ormai non mi importa ed è incredibile invece, quanti altri mille altri problemi del cazzo mi sono creato per sostituire l’ansia del pelato con mille altre micro ansie da minorato mentale che mi rendono insicuro come un tavolo a due gambe.
Tipo, ieri ero in un locale gonfio di gente e ragazze e drink e simpatia e ipocrisia e vedo un mio amico che si toglie con disinvoltura un maglione.
Ma tu sai quanto volte penso ai vari passaggi quando mi devo togliere un maglione…assicurarmi che la maglietta sia dentro i pantaloni che altrimenti tiri su tutto, mi incastro e mi innervosisco e sudo e porto via tutti quegli elementi di cui mi arredo il corpo tipo catenine-bracciali-orologi e magari hai sotto la camicia e sembro un babbeo del cazzo con una specie di tenda incastrata sul cranio se me lo tiro via e…

…continua cosi a ritmo continuo mentre soffro il caldo e subisco il disagio e il maglione rimane appiccicato sul busto per il resto della serata…e dire che non mi posso neppure spettinare i capelli.

Il mio amico invece…che è pure uno che con gente uomini e donne ci sa fare mica ci pensa, mentre io si…che cazzata.

Cioè, perché stare a pensare due ore come fare quando fare e perché fare certe cose? Se hai problemi a toglierti un maglione in pubblico tanto vale che stai a casa a piangere in un angolo dico,figurati che succede con le cose serie.

A meno che non sia quello il trucco di chi ci sa fare davvero…togliersi il maglione in pubblico è la prova definitiva…non il modo di fare o le parole o i sorrisi, passa tutto dal maglione da sfilare che diventa una specie di interruttore di superpersonalità stile cappellino di Sylvester Stallone in ‘Over the Top’…diceva che quando si girava il cappellino gli si accendeva una specie di interruttore e diventava una macchina da braccio di ferro.

Vabbhè basta.

Che pensieri del cazzo.

Mi spoglio e vado a letto.

Pillola del 204° giorno – La preghiera

“A messa venite con noi oggi…che c’è la messa per vostro zio…”
“Ma in realtà noi avr..”
“No! Non inventatevi una delle vostre storie…preparatevi”

La chiesa sta dai nostri vicini di casa…tutta gente che vive appena dopo il cartello che identifica la fine del nostro paese del cazzo e l’inizio della città del cazzo, Varese.

Molliamo Madre davanti alla chiesa, che già sbraitava per il ritardo di un minuto sull’inizio mentre io e Sorella speravamo di ricavare almeno un quarto d’ora ma ci procuriamo subito una seconda chance visto che c’è da trovare parcheggio in una zona piena di vecchi rottami, moto e pullman in ogni angolo di marciapiede. Dentro il parcheggio sul retro…terraccia rossa da parigi Dakar, macchine parcheggiate da dementi e sento che ci sarà già da incazzarsi. Due vecchie al volante di due macchinacce coreane entrambe rosse cercano di fare manovra andando semplicemente dritte…pare di vedere una partita a pong…vanno avanti e indietro cercando di girarsi senza nemmeno tentare di ruotare il volante…avanti e indietro…avanti e indietro…avanti indietro.

Ma fanculo.

Ci mettiamo dieci minuti solo per riuscire a fare manovra per levarci da quel destruction derby visto che la nostra presenza sembrava chiaramente non notata dalle due pilotesse in pensione che invece di starsene ferme e lasciarci uscire proseguivano con la partita.

9 a 4.

Entriamo in chiesa alle dieci e venti, ci posizioniamo subito sul fondo cosi da osservare meglio lo zoo. Strano…stranissimo come abitudini di rito viste in altre chiese sembrano gesti di follia, quasi demoniaci.

“No cioè….spiegami sta storia delle campanelle prima della comunione…cazzo vuol dire…”
“…e cantare Santo il Signore dopo il vangelo? Ma qua son pazzi…”
“È strana sta gente cazzo…non mi piace…”
“Siamo in chiesa…basta dire ‘cazzo’…”

Poi arriva un vecchio di fianco a Sorella, prende due foglietti delle letture e per dividerli ci alita sopra…un po’ di fiato sulla carta, il 90% sul collo di Sorella.

“Ma che cazzo…” dice.

La tizia dell’organo tiene la testa giù a novanta che pare addormentata sui tasti…le file in fondo sono occupati interamente da un distaccamento di Harlem gemellato con narcotrafficanti portoricani…in generale sembrano tutti più deformi delle persone normali e poi…ho una bacheca sulla destra dove ci sono boccette di acqua santa a 4 euro, rosari a 2 e tutta una serie di merchandising griffata Chiesa Cattolica. L’omino delle offerte è dotato di cestino di vimini alto mezzo metro senza copertura, non c’è verso di nascondere la propria indigenza ed infatti tutti buttano manciate d’oro, atti di proprietà e buste gonfie.

“Hai qualcosa vero?” faccio a Sorella
“Nulla…”
“Merda…”

Frugo nelle tasche ma nulla, quindi propongo il piano B.

“Appena si avvicina noi prendiamo e ci spostiamo…ci sediamo li dove ci sono quei due tutti storti…”
“Quei due?”
“Si…”
“Sono la zia e suo marito…”
“Cazzo…”

Rimango li. Passa l’omino, io capo chino. Mi mimetizzo sullo sfondo e prego, per la prima volta da quando sono li dentro.

Prego finisca in fretta.

Pillola del 203° giorno – Frega sacco

Faccio un macello mangiando un’arancia comportandomi contro tutte le regole di bon-ton e decenza ma frega sacco, che è un modo di dire che mi sono inventato io e quando ero piccolo e felice, giù nel mio paese in Sardegna, avevo inventato anche l’azzerata, che consisteva nel rispondere tono su tono, battuta su battuta ad una provocazione…e se avevi la meglio, avevi “azzerato” l’avversario. Anni dopo, ancora si usa l’azzerata ma nessuno sembra sapere del mio copyright.

Non che mi importi ora, a trent’anni che mangio un’arancia vestito da emarginato da banlieue parisienne di sabato sera.

“Frega sacco” mi viene da dire.

Sto a casa, dopo un pomeriggio tra scaffali di roba trash dal sapore anni ’80 e cartoleria. Sto a casa perché non c’è nessuno stasera, che due se ne stanno a parlare controvoglia di bambini futuri e da spupazzare e giuggy giuggy gne gne gne bla bla bla. L’altro gioca a calcio e ci si vede ogni mille anni. Due li abbiamo persi per strada tra essere troppo grandi e questioni di priorità. Poi gente malata, gente impegnata, gente lontana.

Non che avessi particolari voglie o interesse nel vedere qualcuno oltre al mio amico-canarino Microchippy, che sgranocchia insalata e mi guarda curioso, non sapendo che lui è l’essere vivente che più mi assomiglia nel mondo intero…che siamo in gabbia e non riusciamo a spiccare il volo, anche se lui le sbarre le vede…passiamo gran parte del tempo a mangiare, dormire e saltare su sbarre e pezzi di metallo, anche se lui fa pure il mortale indietro quando qualcuno lo osserva da vicino…siamo soli entrambi, anche se per lui le cose cambieranno. Spero.

Destino ha voluto che lo salvassimo e ora…non si può più liberare senza che diventi merenda per cornacchie in tre minuti e a me sta cosa spiace…di vederlo in gabbietta come un matto dico…quindi, ho pensato di comprargli quanto meno voliera e canarina per innamorarsi un po’, che lui farebbe lo stesso per me se conoscesse fighe single umane.

Ho proposto la cosa in famiglia…soliti discorsi “costa troppo” e “serve spazio” e “non è momento di spendere soldi in robe cosi…”

“Niente regali fra di noi…e con quei soldi…voliera e pollastra a Chippy” dico

Frega sacco a me dei regali.

Pillola del 202° giorno – Duecentodue Fahrenheit

Infilato nella vasca gelida di ceramica che si attacca alla schiena e amplifica il freddo nelle ossa, arrivato di gran carriera in questo mezzo-novembre con vento che spazza tetti, labbra screpolate e di nuovo tosse…ma quella non se ne va da settembre. Ore prima, nel buio, le maniche strette della giacca verde scombussolano la geometria della felpa che si accartoccia da qualche parte sul gomito e altro freddo sulle braccia e a lavoro, con i piedi zuppi…forse ho un buco li sotto. Quando entro a casa, all’una, sembra sera e la sera sembra notte e il freddo si è impossessato dei muri e dell’aria.

Non c’è nessuno e le luci non le accendo, vasca e la schiena sulla ceramica, l’acqua che lentamente sale…spingo la leva verso sinistra, sempre più caldo che come molte altre cose anche questa è cambiata…il freddo mi stanca, non mi piace più…preferisco il sole…l’acqua calda…sempre più calda fino alle bolle e al fumo, a duecentodue gradi fahrenheit.

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