In tanti anni di blog, questa cosa non l’avevo mai fatta, e va a finire che mi ci abituo. Sarà che il telefono precedente era una condanna, sarà che anche la piattaforma aveva meno possibilità, ma scrivere seduto su uno scoglio, in spiaggia, non lo avevo mai fatto.

Qua c’è una specie di festival dei fiori in concomitanza con il 25 aprile, c’è un sacco di gente e fino a venti minuti fa stavo camminando tra la folla. Quando sono circondato da persone chiassose mi sento una specie di Superman, o come un’ape in un campo immenso di fiori.

Capto ogni discussione, ogni parola, ogni stranezza. Il ragazzetto figo uscito con la tipa che si sta organizzando per telefono per un incontro con l’amico più sfortunato, l’anziana fastidiosa, la signora raffinata che si scusa per non aver risposto prima a un messaggio, il bambino terrificante che darà un sacco di dispiaceri ai genitori. Il businessman che racconta come ha messo in riga qualcuno, il culo di qualcuna (OK questo l’ho visto, non sentito), lo straniero che chiama la bambina, l’autista che non si capisce che dialetto parla, ma mi sorprendo che un lavoro ce l’abbia, genitori che ammoniscono figli, e un vociare lontano e indistinto tutto intorno. Ancora oggi quando sono al ristorante per qualche cerimonia, mi incanto ad ascoltare quella somma di parole e di toni e di voci e di discorsi che forse non significano niente presi da soli e che di sicuro non hanno più senso così amalgamati. Cento gusti di gelato mescolati insieme. Tutto lo spettro dei colori che dà la luce bianca.
Chissà la mia voce se si distingue tra tutte le altre, se mai qualcuno camminando intorno a me mi ha sentito e si è sentito il mio Superman o sono solo il brusio di fondo.
Chissà se i miei discorsi persi tra tutti gli altri hanno ancora significato.

Forse dovrei solo turarmi le orecchie e aprire gli occhi. Ascoltare di meno e guardare di più. Che se invece di ascoltare le voci intorno mi concentrassi su qualche bikini che ho visto prendere il sole poco fa, queste domande mica me le stavo facendo!