Era appoggiata al bancone del bar che avevo scelto come punto di ritrovo con il solito amico. Col suo solito ritardo. La vedo dal tavolo sul quale stavo sorseggiando un calice di prosecco. Sembra lei ma non ne sono sicuro, in fondo non l’ho mai vista così elegante. Deve aver sentito i miei occhi addosso visto che si gira e mi sorprende mentre la fisso insistentemente.
Abbozzo un sorriso e salvo il salvabile: “Sei la maratoneta giusto?”
“Come scusa?” risponde lei come se stessi parlando un’altra lingua.
“Sì dai, la ragazza che corre sul lungomare.”
“Ah sì…mi ricordo di te…”
“Finalmente tutti e due fermi…Ti prego, siediti, sto aspettando una persona, ma intanto potresti bere qualcosa con me” le faccio mentre mi alzo con la stessa galanteria che i nobili usavano con le dame.
Prova a rifiutare, ma forse per evitare altri imbarazzi demorde quasi subito.
“Solo 5 minuti, però.”

“Il tempo che serve per una bevuta”, rispondo. Mentre la pronunciavo mi sembrava pure una risposta brillante.
Ordina un Martini. È persino più bella di quando la incrocio mentre fa jogging. Come fa ad essere così in ordine anche quando corre non lo so, io sono sicuro che se mi fotografassero in quella situazione sarei rosso come un pomodoro e deforme come una patata.
La guardo. Mi guarda. La guardo.
Poi come se avesse afferrato un filo immaginario che le penzolava in testa mi fa: “Ma tu che tipo sei?”.
“Beh, l’opinione che ho di me stesso non credo conti troppo”, le rispondo.
“Perché, non sei in grado di giudicare obiettivamente?” ribatte lei.
“No, sono gli altri che non sono capaci di crederci”, ribatto io. Incassa e porta a casa.

Mi scruta. La scruto. Mi scruta. Vorrei guardarle il culo ma sta poggiato sopra la sedia.

“E va bene, allora te lo dico io chi sei…” mi fa. Sembra divertita da tutto questo.
“Sentiamo!”
“Allora…hai tra i 35 e i 40 anni…”. Assumo una posa da ascolto e la lascio andare avanti.
“Ti sai esprimere ma non mi sembri abituato a farlo. Hai un tono troppo indeciso, come se volessi entrare in una stanza ma mettessi dentro solo un piede per non far chiudere la porta.
Vai a correre almeno a giorni alterni, e secondo me chi corre con questa regolarità o lo fa per lavoro o lo fa per sentirsi a posto. E siccome tu il fisico dello sportivo proprio non ce l’hai propendo per la seconda. Dopo 8 ore di fabbrica nessuno sano di mente si metterebbe a faticare di nuovo quindi, se lavori, fai un lavoro di ufficio. Sai di essere un sedentario per cui uscito dall’ufficio ti cambi e inizi a correre per far sparire” – si scorge dal tavolo per vederla meglio – “quel filo di pancia che ti ritrovi. Ma non è solo questo, correre ti fa sentire attivo, più di quanto non sei nel resto della giornata. Ti fa sentire in moto, e ne hai un gran bisogno.
Direi che hai cambiato le tue abitudini di recente, perché non ti ho mai visto qua prima d’ora, per cui è successo qualcosa. Forse ti sei trasferito qui, magari sei andato a convivere con una ragazza, ma il fatto che ogni volta che mi incroci sento i tuoi occhi incollati addosso non depone a favore.”
Mi vede sorridere: “Sei riuscito a notarlo nonostante lo hai sempre schivato quello sguardo!”
“A questo punto i casi sono due, o sei single, o sei stronzo. E visto che non hai esitato a invitarmi a sedermi con te, spero per la ragazza che stai aspettando che sia la prima ipotesi.”

Sorride portando in alto il mento come fa alcune delle volte in cui la incrocio. È soddisfatta della sua indagine, e probabilmente la mia espressione la sta convincendo di aver ragione su buona parte di tutto quello che ha detto.
Si ritrae sulla sedia appoggiando la schiena sullo schienale e accavallando le gambe. Era una vedova nera pronto a mangiarsi il suo partner.

“E va bene…” le faccio. Ora tocca a me.

“Hai massimo 28 anni, ma direi 25. Sei bella, ma non di quelle bellezze spontanee. Una bellezza ricercata, coltivata. Sai che la tua bellezza vale qualcosa, e quindi sei bella anche per lavoro. Sei una barista, una hostess, o forse una modella per qualche occasione. E la corsa non è l’unica attività che fai per mantenerti in forma. Sei bella ma non vuol dire che sei scema. Sei laureata, probabilmente con buonissimi voti, qualche scienza umanistica, forse lettere, escludo ingegneria.
Dall’anello al dito dovrei dire fidanzata. Hai una storia lunga alle spalle, ma le cose col tempo sono cambiate, ti sei resa conto che lui non ti guardava più come le prime volte, dava tutto per scontato. E tu non vuoi esserlo. Ti sei lasciata da poco, o magari stai pensando di farlo proprio in questo momento, perché sei uno schianto e non hai assolutamente bisogno di correre, non come lo fai tu almeno. A cosa pensi quando corri? Cos’è che cerchi di raggiungere?”
A questo punto il suo sguardo si incupisce un po’, forse ho ragione, forse no.
“Detesti gli uomini, o almeno quelli che ci provano, o almeno quelli che ci provano e tu non vorresti. Quelli come me insomma. Ed è per questo che quando mi incroci schivi sempre il mio sguardo, per evitare il rischio di un saluto, una parola, un contatto. Volgi il capo dall’altro lato, guardando il fianco delle scarpe oppure alzi il mento e le spalle come un pavone che apre la ruota. La differenza è che non ti mostri per farti notare, ma per chiarire che non sei per tutti.
Il tuo uomo ideale è uno sportivo, pettorali e scacchiera sugli addominali, magari un calciatore, con quei polpacci così sexy poi…”
“A tal proposito devo dire che anche i tuoi non sono così male…”, mi interrompe.
“Li hai notati allora,” sorrido e continuo la mia analisi: “e in tutto questo tempo non hai fatto altro che immaginarti di fianco a un fisico statuario, abbronzato, marmoreo almeno quanto il tuo. Due modelli: ogni foto una copertina. E non avresti mai immaginato di poter essere attratta da una persona comune, senza muscoli, e con tanta attenzione alle cose a cui tu attenzione non hai prestato mai. Uno goffo e poco abituato a parlare ma che sa scegliere bene le parole. Infatti ho detto che stavo aspettando una persona, che è una parola femminile e hai dato per scontato che stessi parlando di una ragazza.”
“E chi stai aspettando invece?” domanda, inclinando un po’ la testa come a dire “hai finalmente la mia attenzione”.
“Un amico”
“Mi sembra un bel po’ in ritardo questo amico”
“Gli ho scritto di non venire più” le dico sorridendo e alzando per un attimo il cellulare con cui avevo scritto il messaggio.”
Mi guarda. La guardo. Mi scruta. La scruto. Mi esamina: il suo sguardo è pesante come l’ultimo chilometro di corsa che faccio ogni due giorni, ma non mollo, proprio come nella corsa. Resto su di lei e non calo lo sguardo.
Chiude le labbra, assottigliandole una sull’altra e inarca un po’ il sopracciglio: è adorabile.
“Cosa fai per cena?” mi chiede.