Dopo Invisible Monster è stato il turno di Cavie. E’ un libro difficile, crudo, denso di dettagli apparentemente insignificanti. Sulle prime ho fatto anche fatica ad afferrare lo schema narrativo usato.
Il sottotitolo è “Un romanzo di storie”, e sono proprio queste storie a dare corpo alla linea narrativa principale, la quale, senza questi racconti dedicati ai protagonisti, sarebbe molto più snella e probabilmente meno avvincente.
Quello che è certo è che dall’inizio alla fine Palahniuk colpisce duro, imbastisce scene raccapriccianti e scandalose. Se siete debolucci di stomaco potrebbe bastare già il primo racconto a farvi decidere di non andare avanti. Oltre è peggio.
Ho trovato questo articolo https://www.sololibri.net/Cavie-Chuck-Palahniuk.html che secondo me fa un’analisi molto azzeccata del romanzo, quello che aggiungo io è una riflessione sul modo di scrivere dell’oramai mio eroe Chuck.
Oltre al suo stile di scrittura che adoro, spoglio di fronzoli ma ricco di senso, oltre alla costruzione impeccabile del ritmo e della storia, della circolarità con cui vede e tratta ogni cosa, dalla frase, al racconto, all’arco narrativo, un’altra caratteristica fondamentale che ho individuato è la sua estraneità alla storia. I suoi personaggi sono una telecamera con cui inquadra il teatro che ha imbastito, e come l’obiettivo di una telecamera, l’autore non esprime nessun giudizio. I suoi protagonisti narranti non agiscono di propria iniziativa, ma reagiscono a una storia portata avanti da qualcun altro: ne vengono travolti, e la raccontano con un distacco tale per cui è possibile se non condividere, almeno accettare ogni cosa.
In Cavie il protagonista non è nemmeno un individuo, sappiamo che esiste, che sta nel gruppo, ma è per mezzo del gruppo che racconta la vicenda. Nessuno gli rivolge la parola, e non ne pronuncia nemmeno una. Qualsiasi cosa abbia da dire, la dice perché la sta vivendo insieme agli altri, anzi, perché la stanno vivendo gli altri: “La prima settimana abbiamo mangiato filetto alla Wellington, intanto che Miss America si inginocchiava accanto alla maniglia […] Abbiamo mangiato branzino striato mentre Miss Starnuto ingoiava pillole […] Abbiamo mangiato tacchino Tetrazzini mentre Lady Barbona giocherellava col suo anello.”
Sono gli altri a vivere la storia e a mandarla avanti. Il nostro protagonista non fa nulla, non pensa nulla, e quindi non esprime nulla. E’ anche l’unico senza un nome, l’unico senza un racconto, l’unico che non viene presentato durante il viaggio all’ingresso della villa. Tutti sono arrivati con un bagaglio e qualcosa di irrinunciabile. Tutti tranne il nostro protagonista.
È in questo modo, svuotato da ogni caratteristica che Chuck può raccontare la storia senza caricarla del suo giudizio morale. Lui, semplicemente, sta a guardare lo schifo e la miseria che mette in scena il mondo. E’ una specie di documentarista che ci spiega senza emozione in che modo il leone caccia la gazzella. L’unico mezzo che abbiamo noi per estrapolare la sua visione, è analizzando i soggetti su cui sceglie di puntare l’obiettivo. E’ tramite loro che costruisce la sua narrazione e la sua critica al sistema occidentale (quando va bene, quando va peggio all’uomo in sé).