Testo che è tardi

Autore: Moment Pagina 2 di 9

Vi presento le Interferenze Mentali

Ci siamo quasi!
Il soundcheck non è ancora finito, ma lo spettacolo sta per cominciare. Stanno per salire sul palco le Interferenze Mentali al completo: Scheggia, Sentenza, Salma, Giannelli, e la nuova arrivata Giovanna! Vi consiglio di non perdervi il concerto, ci sarà da divertirsi.
Potete ingannare l’attesa conoscendoli uno ad uno.

https://www.tuttetrannelei.it

Sono andato a letto presto

Sarebbe questa la risposta perfetta alla domanda “Ehi Moment, cosa hai fatto tutto questo tempo?”.

È un po’ che non ci si legge, ma nonostante MaldiTesto sia rimasto fermo per un bel periodo, l’impegno non si è ancora esaurito. In questi mesi infatti ho avuto modo di partecipare a molti eventi, corsi di formazione e confronti, tanto che adesso so fare una pizza che levatevi.

Torno con un po’ di consapovezza in più e una bella notizia. È prevista per giugno la pubblicazione del mio primo romanzo. Salvo ritardi passeremo l’estate insieme e in compagnia di nuovi amici. Ricordate l’ombrellone, però, che Moment non è indicato per le insolazioni.

Ci vediamo presto in libreria!

Amascord

Tornai ubriaco dalla serata più vuota della mia vita, quella passata a ciondolare in spiaggia reggendo in mano ora una birra ora il telefono, e tentando disperatamente di scacciare la noia, di trovare la gioia e di vomitare la soia della cena cinese.
Mi lasciai cadere su un lettino rimasto aperto sulla spiaggia, a pochi metri dalla battigia, con le onde che di tanto in tanto cercavano di ingoiarlo. Proprio come stava facendo la nostalgia con me, ricordandomi dei tempi passati, quando avevo tutto di fronte, quando ogni cosa era per me.

Guardai al cielo con la testa pesante, e le stelle non giravano per il moto fisico dell’universo ma per il moto del mio fisico avverso, riverso, con i piedi affondati, gli occhi sbarrati e quella sbornia che mette tutto in movimento, l’attenzione, i pensieri, la fantasia. Tutto tranne il mio corpo immerso in quel liquido, che riceveva una spinta dall’alto verso il basso pari al volume di vita spostata.
Mi assalì la nostalgia con tutti i ricordi di infanzia messi in fila come soldatini di piombo a fucili puntati. L’esecuzione era pronta e io ero il condannato.
La malinconia mi spiattellò in faccia i volti di una volta, mise ricordi, le muse, ricordi? Mise una corda intorno al mio collo: misericordia.

Il mio ultimo desiderio era suonare qualcosa coma facevo da ragazzo, ma avevo scordato la chitarra. Non è che l’avessi scordata da qualche parte, è che l’avevo scordata l’ultima volta che l’avevo suonata… che a pensarci significa proprio che l’avevo scordata da qualche parte. Mi rendo conto che non vi sto affatto aiutando: non l’avevo scordata nel senso che l’avevo persa da qualche parte, ma l’avevo scordata suonandola da qualche parte. E ad essere pignolo non è nemmeno vero che l’ho scordata suonando, quando l’ho lasciata era accordata, è stato il tempo a scordarla. Il tempo, si sa, fa scordare tutto. Comunque mi ricordai della chitarra scordata, la imbracciai e iniziai a suonare. Avevo dimenticato anche gli accordi, già scordati per conto loro. Tesi le corde, due miseri accordi: misericordia. La musica mi salva ogni volta.
L’esecuzione era pronta e io ero l’artista.

Lei

Era appoggiata al bancone del bar che avevo scelto come punto di ritrovo con il solito amico. Col suo solito ritardo. La vedo dal tavolo sul quale stavo sorseggiando un calice di prosecco. Sembra lei ma non ne sono sicuro, in fondo non l’ho mai vista così elegante. Deve aver sentito i miei occhi addosso visto che si gira e mi sorprende mentre la fisso insistentemente.
Abbozzo un sorriso e salvo il salvabile: “Sei la maratoneta giusto?”
“Come scusa?” risponde lei come se stessi parlando un’altra lingua.
“Sì dai, la ragazza che corre sul lungomare.”
“Ah sì…mi ricordo di te…”
“Finalmente tutti e due fermi…Ti prego, siediti, sto aspettando una persona, ma intanto potresti bere qualcosa con me” le faccio mentre mi alzo con la stessa galanteria che i nobili usavano con le dame.
Prova a rifiutare, ma forse per evitare altri imbarazzi demorde quasi subito.
“Solo 5 minuti, però.”

Quelli che vivono da malati per morire da sani (oyeah)

È così che mi sono sentito ascoltando questa frase di una delle innumerevoli versioni di questa canzone di Jannacci. Non che non lo sapessi già ma quanto facilmente ne ho coscienza tanto facile me lo scordo. Vivo col freno a mano tirato e questo è un dato di fatto. Che in una gara forse ha pure senso fare così, conservarsi tutto per la fine, lasciare strada agli avversari ingannandoli che siete tutto lì per poi sorprenderli in un finale da campioni. Ma la vita è una gara troppo lunga per questa strategia e nel finale si è già col piede nella fossa. Magari manco ci si arriva a tagliare il traguardo.

Silenzio assenzio

“Ti sento”, si dice quando siamo in sintonia con qualcuno. Sin-tonia, in-tono, non come intonare, ma in tono, unione di toni. Ti sento, è una cosa da dire nei momenti più intimi della giornata, nella reciproca solitudine di una compagnia, occhi negli occhi, mano nella mano, respiro nel respiro. Nel silenzio della notte e nel chiasso dei pensieri o nella quiete del nulla, ti sento. Ti sento in contrapposizione al non sentirsi, al non sentire. Quando smetti di sentire non solo smetti di esperire, ma ti allontani, ti neghi, volti le spalle. Quando smetti di sentire dissenti. È per questo che non bisogna smettere mai di sentire. Quando smetti di sentire diventi singolare, e non intendo dire che diventi insolito o speciale, ma che rimani solo. Quando senti sei plurale, quando non senti sei singolare. Dal siamo passi al sono, e la gravità di questa condizione la si capisce tutta dalla coniugazione. Quando senti dici siamo e quando non senti dici sono.

Muse

Credo di aver scritto sempre dell’otto marzo, niente di memorabile,  giusto per donare la mia mimosa virtuale nel mazzo di mimose virtuali.
Ricordavo di aver letto che la celebrazione della giornata internazionale della donna avesse a che fare un incendio in una industria tessile,  o giù di lì, che secoli fa arse decine di operaie che lavoravano in condizioni disastrate.
Scopro oggi che non è  vero,  c’è  stato si un incendio,  che tra l’altro uccise anche una percentuale considerevole di uomini ma niente ha a che fare con l’otto  marzo.
Le donne amano così  tanto complicare le cose che ingannano pure sulla loro festa!

Ispirazione

L’ispirazione arriva. Non è una cosa che si cerca, anzi, quando la cerchi facile che non la trovi. I cerchi non sempre quadrano. L’ispirazione non è una cosa che si cerchia.
L’ispirazione ti arriva dentro e scatena qualcosa che deve essere buttata fuori. Ispirazione ed espirazione. Facile come respirare.

Nebbia

La spiaggia stamattina s’è svegliata nella nebbia
e anche libero da gioghi mi sentivo in una gabbia,
in una serra stinta che coltivava rabbia
nel rimpiangere una vita scritta solo sulla sabbia.

Parole guaste, lambite dalla lingua delle onde,
che avanzata su avanzata con la schiuma le confonde.
Resto il ramo rigettato senza frutti e senza fronde
resto terra attraversata dalle crepe più profonde.

Stagioni

Non acqua in cui specchiarsi,
non ali per levarsi sopra la miseria,
non la redenzione per il corrotto,
o la riscossa per l’umile,

Lettera a un’ipocrita

Se ne stava lì, ogni volta che per qualche motivo riviveva qualcosa che avevano condiviso insieme, se ne stava lì a ripercorrere la loro storia, le loro parole, le loro verità, quelle che nessun altro all’infuori di loro avrebbero potuto capire e conoscere. Nessuno. Quella verità così autentica che per non mischiarla con quanto di più misero e meschino c’era stato tra loro non andava nemmeno detta, quella verità così profonda e scandalosa che per pudore o per vergogna o per colpa o per paura non andava nemmeno ammessa. Talmente fragile che solo a pronunciarla si sarebbe incrinata: era meglio lasciarla lì, sepolta, ammantata da un velo perso e polveroso, come perso e polveroso era il cuore di lei. Lasciata là, nascosta dove nessuno l’avrebbe più potuta raggiungere, e guai a ritirarla fuori. Quella sopita verità era una reazione nucleare, e se fosse stata innescata avrebbe distrutto tutto quanto e spazzato via ogni cosa, in modo da poter ricostruire sulle macerie secondo il proprio disegno di vita e amore. Quella verità era un’arma che nessuno dei due aveva il coraggio di usare, né chi l’aveva creata, né chi la custodiva ancora nell’angolo più nascosto e solo del cuore. No, era meglio lasciarla lì sepolta, in attesa che molti anni dopo, per caso, qualcuno la ritrovasse sotto mezzo metro di terra, arrugginita, spenta ed innocua.

Pietra e polvere

Mentre guidavo di notte, un paio di luci gemelle ai lati di una porta in legno di una casa a mattoncini, mi ha riportato di colpo a 20 e oltre anni fa, fino a memorie oramai sopite da anni e anni di rassicurante quotidianità. Il lavoro, la cortesia, la disponibilità, il benessere e l’efficienza. Il concetto di efficienza forse è il più barbaro dei nostri tempi. Tutto deve avere un tempo, uno scopo, tutto deve portare a un risultato. Ogni azione, ogni calcolo, ogni pensiero, ogni sentimento deve condurci al maggior risultato possibile nel più breve tempo possibile, perché altrimenti s’è sprecato risorse, e in questo caso la risorsa è il tempo, e il tempo, ahi noi, non è una misura infinita. La perdita di tempo non è efficiente, e l’efficienza di questi tempi è la merce di scambio più importante.

Leggere e scrivere

Quello che ho intorno non fa altre che parlarmi della vita e degli avvenimenti e i pensieri che l’hanno riempita in questi ultimi periodi. Mi domando come sia possibile che tutto quello che leggo, che mi capita sottomano, descriva perfettamente il  mio stato d’animo, e lo descriva così bene che in quello che leggo e scopro, trovo conferma di quello che provo. Ci trovo un nome, un significato, riesco a delinearne un confine e una forma.

Un passo indietro

Certe volte, quando sono febbricitante, il mio cervello si impossessa di me. Si riempie di cose indefinibili, senza un senso compiuto, qualcosa che si trasforma mentre la osservi, qualcosa che a ogni febbre alta è sempre diverso, con solo un elemento in comune: tutte provocano malessere e impongono una risoluzione immediata e assoluta. Il tuo cervello, tutta la tua persona si concentra su questa cosa, questo schema, che provoca sofferenza fisica e mentale e crede di poter trovare sollievo solo portandoci ordine. E sei lì madido di sudore, con le ossa doloranti, i sudori e i brividi e le tempie e gli occhi che vanno a fuoco, tutto intento a risolvere questa proiezione, questo scherzo che si inventa il cervello. Forse troppi videogiochi nel mio passato, troppa logica.

La mela

Dio ha sbagliato l’unità della mela, della mela verde per lo meno. Ne sono più convinto ogni giorno che passa. La banana è perfetta, la pesca è perfetta, anche la mela rossa va giù quasi sempre, ma la mela verde è troppa, avanza, non si scappa. Per la frutta come uva, fragole, e ciliegie non c’è problema, si mandano giù una dopo l’altra, melone e cocomero non bastano mai, ma la mela a metà è una vera spina nel fianco. E se poi gli è venuta troppo grande poteva farla almeno che non si ossidasse all’aria, invece nemmeno quello, così ti ritrovi con sta metà mela che si annerisce (persino tra una fetta e l’altra) e ti passa la voglia di mangiare il resto.

Deve essere per questo che Dio s’è arrabbiato tanto quando Eva l’ha rubata, se ne vergognava.

Pagina 2 di 9

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén

%d