Brava Giovanna, brava

Categoria: Deliri estemporanei Pagina 1 di 9

Ciao Mondo

“Hello World” è un tipico esercizio di programmazione. La prima cosa che si viene chiamati a fare è stampare le parole “Ciao mondo” con il linguaggio che si sta imparando. Un’operazione priva di significato se non quello di sperimentare qualcosa. È il senso di queste righe dove il significato non va cercato nel messaggio, ma nell’esecuzione. Molti anni fa questa pagina era molto viva, poi il tempo, il lavoro, la vita ha avuto la meglio su di noi.

Scrivere era la mia valvola di sfogo, mi veniva facile, bastava tenere la mente sintonizzata durante la giornata e uno spunto arrivava sempre. Adesso al contrario scrivere è diventato un impegno. Ci vuole umore e dedizione. Lo stesso umore che mi sta dicendo che con questo post non si arriva da nessuna parte. Ma ve l’avevo detto: “Hello World”.

Hey, hey, I wanna be a rockstar

Il titolo non c’entra molto ma visto che riprende in parte il tema di Tutte tranne lei e in parte un aneddoto che scriverò più avanti, mi son detto che era meglio cominciare a scrivere questo post di ritorno, piuttosto che star lì a pensarci.

Sono passate ere geologiche da quando dieci anni fa abbiamo aperto questo spazio. Per me e per Nurofen è stato un luogo dove sfogare la nostra voglia di comunicare e un modo per trovare una dimensione e una voce con la quale raccontare le nostre storie. E in dieci anni può succedere di tutto (tipo restare un mese chiusi in casa, e girare con le mascherine). I miei amici si sono sposati, hanno fatto figli e lasciato un’impronta del loro passaggio tramandando il proprio corredo genetico. Io che dei mie cromosomi non sono troppo convinto, per lasciare un segno ho puntato sulla letteratura.

Anche che, pure, perché

Facciamo perché, poniamo pure, crediamo anche che io abbia sempre avuto torto nella vita. Ogni singola scelta creatrice di universi alternativi sbagliata…dal lancio di una moneta al giocattolo LEGO comprato, da un bacio non dato alla drammatica scelta tra un bagnoschiuma Felce Azzurra Cool Blue Uomo o al Narciso. Sarei dove sono adesso? Sai cosa, mi sento statico…un po’ come quei grossi e stupidi pianeti del nostro sistema solare e non perché sono sovrappeso e pieno di gas no…è che mi muovo ma non si nota un granché, mi son girato dappertutto eppure mi ritrovo nello stesso punto…mi segui?

Si..continua.

Massimo Dieci

Che se non sbaglio la cassa “Max dieci pezzi” dovrebbe essere la summa della velocità, il rifugio per i sociopatici come me, l’emblema dell’efficienza, l’apice dell’evoluzione umana eppure, chissà come mai, qualche esemplare della razza umana riesce sempre a farmi perdere la fiducia nel prossimo futuro. Ora, inutile dire che il destino sia stronzo ma anche molto creativo; mi mette davanti una coppia di anziani con un carrello pieno che all’avvertimento della cassiera “Ehy vecchi so che non arrivate a leggere fino a lì ma c’è scritto massimo dieci fuckin’ pezzi” rispondono con un “Eh ma allora facciamo tre scontrini diversi perché noi siamo furbi e gli altri dei poveri stronzi” e quindi stanno lì, mettono i primi dieci pezzi e invece di usare i divisori, altro picco tecnologico della nostra specie, aspettano…aspettano che il nastro scorra abbastanza da poter fare altri due mucchietti ben distanziati tra di loro, del tipo quattro metri l’uno dall’altro, mentre noi altri poveri scemi li dietro osserviamo le altre casse che scorrono a velocità doppia alla nostra, con sguardi tra l’incredulo e il disgusto. Ma il destino è un simpaticone, perché mica finisce lì…la tessera della signora è scaduta, ma guarda…e non sia mai che per una volta non possa guadagnare cento pulciosi punti fragola per prendere il quattrocentesimo sottopentola in cobalto armeno della collezione e quindi, prende e va al bancone per il rinnovo della tessera, scontrino sospeso, tutto fermo, il vecchio marito che incurante di ciò mette tutto nel carrello e prova ad andarsene per i cazzi suoi con la cassiera che urlando “ma proprio oggi dovevo rientrare dalle ferie cazzo” si precipita nell’atrio a fermare il vecchio furbastro. Ne nasce una lite a cui assisto svuotato da ogni voglia di vivere mentre tengo in mano quattro uova e un litro di latte, la cassiera che trattiene il carrello, il vecchio che vuole andarsene strillando. Tutto si conclude con il vecchio che tirando a terra tutti i santi russi conosciuti durante la campagna di Russia della seconda guerra mondiale, decide che “Basta con sta spesa porca puttana” e versa tutti gli articoli sulla cassa, imprecando e richiamando sua moglie urlando in mezzo al supermercato, lasciandoci tutti di sasso mentre la trascina via.
Però tutto bene dico, inspirando ed espirando…”A sto punto possiamo andare avanti dai”, se non fosse che il destino è un abile sceneggiatore e quindi, mettiamoci pure il figlio di quella davanti a me che strilla perché non vuole mollare il giocattolo da passare sul codice a barre, frequenze ultrasoniche nelle orecchie che innescano tutti quei microprocedimenti chimici che portano all’omicidio di infanti che Erode fatti da parte. Non ho poi ben capito come sia finita la faccenda, forse hanno passato direttamente il bimbo sullo scanner o forse ha semplicemente preso una sberla…ma la mia mente ormai cercava rifugio in mondi lontani da quel posto di merda, tra galassie remote, esoplaneti senza nessun essere umano a molestarmi la psiche…solo mari viola,cieli verdi, alberi e forse qualche animale…ma non troppi, massimo dieci.

Amascord

Tornai ubriaco dalla serata più vuota della mia vita, quella passata a ciondolare in spiaggia reggendo in mano ora una birra ora il telefono, e tentando disperatamente di scacciare la noia, di trovare la gioia e di vomitare la soia della cena cinese.
Mi lasciai cadere su un lettino rimasto aperto sulla spiaggia, a pochi metri dalla battigia, con le onde che di tanto in tanto cercavano di ingoiarlo. Proprio come stava facendo la nostalgia con me, ricordandomi dei tempi passati, quando avevo tutto di fronte, quando ogni cosa era per me.

Guardai al cielo con la testa pesante, e le stelle non giravano per il moto fisico dell’universo ma per il moto del mio fisico avverso, riverso, con i piedi affondati, gli occhi sbarrati e quella sbornia che mette tutto in movimento, l’attenzione, i pensieri, la fantasia. Tutto tranne il mio corpo immerso in quel liquido, che riceveva una spinta dall’alto verso il basso pari al volume di vita spostata.
Mi assalì la nostalgia con tutti i ricordi di infanzia messi in fila come soldatini di piombo a fucili puntati. L’esecuzione era pronta e io ero il condannato.
La malinconia mi spiattellò in faccia i volti di una volta, mise ricordi, le muse, ricordi? Mise una corda intorno al mio collo: misericordia.

Il mio ultimo desiderio era suonare qualcosa coma facevo da ragazzo, ma avevo scordato la chitarra. Non è che l’avessi scordata da qualche parte, è che l’avevo scordata l’ultima volta che l’avevo suonata… che a pensarci significa proprio che l’avevo scordata da qualche parte. Mi rendo conto che non vi sto affatto aiutando: non l’avevo scordata nel senso che l’avevo persa da qualche parte, ma l’avevo scordata suonandola da qualche parte. E ad essere pignolo non è nemmeno vero che l’ho scordata suonando, quando l’ho lasciata era accordata, è stato il tempo a scordarla. Il tempo, si sa, fa scordare tutto. Comunque mi ricordai della chitarra scordata, la imbracciai e iniziai a suonare. Avevo dimenticato anche gli accordi, già scordati per conto loro. Tesi le corde, due miseri accordi: misericordia. La musica mi salva ogni volta.
L’esecuzione era pronta e io ero l’artista.

Do i wanna know?

Una macchina che è come me, segnata fuori e dentro…disordinata e caotica…le spie di mille pensieri che si accendono tipo albero di natale…che corre troppo con pneumatici vecchi e usurati, fa rumori a cui non bado, lancia segnali di convergenza da rifare come il mio cervello.

“I’ve dreamt about you nearly every night this week
How many secrets can you keep?
Cause there’s this tune I found
That makes me think of you somehow…”

Repeat. Che le canzoni le spolpo finchè non cado dalla stanchezza…e in macchina i vetri tremano dal volume e le orecchie si intasano di riff spaccatimpano. Mangio vita come la mia macchina mangia olio, un chilo in 2000 chilometri, “dovresti cambiarlo questo rottame” mi dicono ma “No è come me” rispondo…ha tanto da dare e tante strade da percorrere di corsa…come me…con quel cambio quasi distrutto…i freni che fischiano, ogni giorno trovo un pezzo in meno tra i graffi e strisciate che quasi sembra un guerriero. Come me.

10 minuti di pensieri

19:16, che a me tipo non me ne sta fregando un cazzo di un sacco di cose e il malumore va e viene come la corrente in mezzo al temporale e la rete dello smartphone per cui quando non ricevo messaggi posso dare la colpa alla Vodafone e non alla solitudine e che se c’è buio attorno posso dare la colpa a tralicci metallici e cavi di rame e non alla mia anima confusa. Ho le finestre piene di bolle d’acqua e la rete antizanzare che oscilla al vento e io qua che scrivo per quei dieci minuti che mi concedo di pensieri liberi davanti ad un pc intasato nel desktop, intasato nella scrivania che lo circonda, intasato nella camera che mi contiene insieme ai vestiti e letto sfatto, intasato in questo paese pieno di anime perse, intasato in questa nazione di problemi costanti come la marea alta al plenilunio, intasato come questo mondo di persone animali piante cibi malsani torrenti alberi passioni amori che finiscono credenze esoteriche tecnologie malattie sconforti, intasato come questo universo che nemmeno più si capisce quanti siano…2 o 3 o 100 o infiniti come le realtà possibili e piatti e tondi e bivalenti legati storti arrotolati come un nodo margherita su un vascello alla deriva nella tempesta, quella perfetta, quella delle onde alte cento metri che inghiottono città quelle in cui forse ti sentiresti quasi a casa perchè ti circonda lo stesso elemento e la stessa forza che ti senti dentro il cuore…tumulto…paure…pensieri…voglie…che la domanda te la fai sempre…se sei tu il problema o il mondo…o in realtà non esistono problemi ma è solo chimica, formule che si mescolano e non combinano, reazioni energetiche a catena, miscele che non vanno in pari neanche fosse assenzio che galleggia sul gin che ricordate, mai bere dall’alto ma dal basso, al fondo…e dategli fuoco…e infilateci dentro anche zucchero e stateci male e ridete e credete che sia giusto farsi del male ogni tanto…fisicamente dico…che tanto dentro ci si taglia sempre e gratis che è un piacere…e l’ho provato una volta si…il verde, senza fuoco ma verde e intenso, bruciante e dolce che sale e scende contemporaneamente e anche li, dopo, pensieri del tipo “ragionare sul piano D” che tutte le altre lettere te le sei giocate, male come sempre…ed ogni volta ci son sempre meno idee per la lettera dopo, provi il rischio, lo stupore, giochi la sorpresa, cali il tuo tris di 4 visto che le altre carte sono ormai andate, provi a vincere con gli spiccioli, provi il colpo grosso come con l’ultima fiche sul rosso o il nero… la roulette che gira…te che sudi…cerchi di anticipare il numero calcolando tramite formule inventate di fisica-magia dove finirà la pallina…ci credi…rosso…nero…rosso…nero…tac…tac…tac…sudori freddi….rosso…nero…rosso…nero…

Rosso? Nero? 19? 26?

Quelli che vivono da malati per morire da sani (oyeah)

È così che mi sono sentito ascoltando questa frase di una delle innumerevoli versioni di questa canzone di Jannacci. Non che non lo sapessi già ma quanto facilmente ne ho coscienza tanto facile me lo scordo. Vivo col freno a mano tirato e questo è un dato di fatto. Che in una gara forse ha pure senso fare così, conservarsi tutto per la fine, lasciare strada agli avversari ingannandoli che siete tutto lì per poi sorprenderli in un finale da campioni. Ma la vita è una gara troppo lunga per questa strategia e nel finale si è già col piede nella fossa. Magari manco ci si arriva a tagliare il traguardo.

Silenzio assenzio

“Ti sento”, si dice quando siamo in sintonia con qualcuno. Sin-tonia, in-tono, non come intonare, ma in tono, unione di toni. Ti sento, è una cosa da dire nei momenti più intimi della giornata, nella reciproca solitudine di una compagnia, occhi negli occhi, mano nella mano, respiro nel respiro. Nel silenzio della notte e nel chiasso dei pensieri o nella quiete del nulla, ti sento. Ti sento in contrapposizione al non sentirsi, al non sentire. Quando smetti di sentire non solo smetti di esperire, ma ti allontani, ti neghi, volti le spalle. Quando smetti di sentire dissenti. È per questo che non bisogna smettere mai di sentire. Quando smetti di sentire diventi singolare, e non intendo dire che diventi insolito o speciale, ma che rimani solo. Quando senti sei plurale, quando non senti sei singolare. Dal siamo passi al sono, e la gravità di questa condizione la si capisce tutta dalla coniugazione. Quando senti dici siamo e quando non senti dici sono.

Muse

Credo di aver scritto sempre dell’otto marzo, niente di memorabile,  giusto per donare la mia mimosa virtuale nel mazzo di mimose virtuali.
Ricordavo di aver letto che la celebrazione della giornata internazionale della donna avesse a che fare un incendio in una industria tessile,  o giù di lì, che secoli fa arse decine di operaie che lavoravano in condizioni disastrate.
Scopro oggi che non è  vero,  c’è  stato si un incendio,  che tra l’altro uccise anche una percentuale considerevole di uomini ma niente ha a che fare con l’otto  marzo.
Le donne amano così  tanto complicare le cose che ingannano pure sulla loro festa!

La mela

Dio ha sbagliato l’unità della mela, della mela verde per lo meno. Ne sono più convinto ogni giorno che passa. La banana è perfetta, la pesca è perfetta, anche la mela rossa va giù quasi sempre, ma la mela verde è troppa, avanza, non si scappa. Per la frutta come uva, fragole, e ciliegie non c’è problema, si mandano giù una dopo l’altra, melone e cocomero non bastano mai, ma la mela a metà è una vera spina nel fianco. E se poi gli è venuta troppo grande poteva farla almeno che non si ossidasse all’aria, invece nemmeno quello, così ti ritrovi con sta metà mela che si annerisce (persino tra una fetta e l’altra) e ti passa la voglia di mangiare il resto.

Deve essere per questo che Dio s’è arrabbiato tanto quando Eva l’ha rubata, se ne vergognava.

Le parole sono importanti #9

Perché il caseificio non fa le case?

250 miglia nautiche

Pensieri, centinaia di pensieri, un’immagine, fissa, lì, concreta, i sampietrini, i monumenti colossali, le piazze, i quartieri. Tutto concentrato lì, perché lì c’era tutto quello che desideravi. Lì, era lì da una vita, da quando te ne importava. Era lì, ma non era veramente lì. E hai guardato sempre dalla parte sbagliata, sempre, e hai pensato sempre nel modo sbagliato, sempre, e hai parlato sempre la lingua sbagliata, sempre, e hai sentito sempre con i sentimenti sbagliati, sempre, e hai ascoltato sempre con le orecchie sbagliate, sempre. Un capriccio, un gioco, uno sbaglio, uno scherzo del destino, e ti sei ritrovato in mare aperto con una bussola rotta a puntare verso una stella che non era lì, che era solo un bagliore, un miraggio.

127.0.0.1 sweet 127.0.0.1

Titolo un po’ da nerd, lo ammetto, ma in fondo è roba con cui lavoro, per cui ci sta che ogni tanto riemerga. Con una ricerca su google penso che ne veniate a capo facilmente.
Ci sono alcune persone che una volta che hanno ottenuto quello che vogliono cambiano atteggiamento, da cordiali e disponibili quali erano diventano arroganti e categoriche, senza mostrare più alcun rispetto per chi hanno di fronte. Ma in fondo se ci sono truffatori, assassini e stupratori al mondo, come si fa a credere che non possano esistere persone del genere? Ricattucci e mezzucci per far ricadere le incombenze sull’altro. Nel mio caso moglie e marito erano un tutt’uno prima e un tutt’uno dopo, quando si dice il feeling.

Sole alle spalle e nuvole all’orizzonte

Stamattina è stata una mattina insolita. Torno a lavoro dopo tre settimane di ferie e relax, anche se non è tutto andato come mi sarebbe piaciuto.

È da ieri che il tempo è strano qua. Stamattina, intorno alle 7.30, sulla via di casa mi ha accolto un’alba di quelle che si vedono poche volte nell’arco di una vita. Una volta sceso in strada con la macchina, davanti a me un cielo grigio, carico di nuvole minacciose e piene di pioggia, pronte a far venire giù il diluvio per un soffio di vento di troppo. Tutto questo illuminato da un sole limpidissimo e chiaro e lucente alle mie spalle, un sole che fa brillare ogni superficie e si riflette su ogni goccia d’acqua rimasta dall’ultimo temporale. Tutto così nitido e dai bordi così netti, senza un minimo di foschia, come se non ci fosse aria. Avete presente quelle volte in cui l’orizzonte e i colori sono diversi? Non avete chiaro in che modo ma è fuori di dubbio che siano diversi, lo vedete, lo sentite. Quei giorni in qui tutto sembra diverso, visto in un altro modo. E voi lì in mezzo vi sentite del tutto fuori posto, e fate mille pensieri, vicini e lontani, e pensate a cosa assurde, come al vuoto che c’è nel sedile passeggero.

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