È mal digesto

Categoria: Pillole Pagina 3 di 9

Di questa estate

Di questa estate mi rimane qualche chilo di troppo in pancia.
Di questa estate mi rimane il paio di scarpe nuove per andare a correre, rendono i piedi più leggeri.
Di questa estate mi rimane un’amica ritrovata, e liti vecchie superate e liti nuove ancora da superare.
Di questa estate mi rimangono i discorsi con mia sorella, e poi dicono che sono male io!
Di questa estate mi rimangono le immagini di alcuni miei colleghi in festa, alcuni come in ufficio, altri completamente diversi.
Di questa estate mi rimane il suono delle notifiche del cellulare. Alcune applicazione usano lo stesso e così per vedere chi è devi accendere ogni volta.
Di questa estate mi rimane l’invito per fare il testimone di nozze.
Di questa estate mi rimane casa mia e l’ultimo mese da principino, e di questa estate ovviamente mi rimane il conto in rosso.

Paura e libertà

Il cambiamento ci spaventa, a chi più, a chi meno. Ci adagiamo nelle nostre rassicuranti abitudini come un cuscino tra il bracciolo e la seduta. La materna, le elementari, le medie e così via. Chiudere ogni momento della nostra vita per passare ad altro è quasi sempre un trauma, eccitante, ma drammatico. In fondo, in ogni situazione bene o male ci abbiamo sempre saputo vivere, perché cambiare quando possiamo stare come stiamo?

Roma

Periodo oltre. Troppo lavoro, troppo stress, troppi impegni, troppi pensieri, in questo momento anche troppi acciacchi. Parlo con il verso che fanno le mummie nei film di Hollywood.

Forse anche troppa musica (che per quanto mi piace mi era venuto da scriverla con la emme maiuscola), non ho capito se questo attacco fulminante di raucedine mi è venuto l’altro giorno al concerto o ieri mentre guidavo con il climatizzatore a palla.

Il mondo prima

Certi giorni riservano sorprese di punto in bianco, che poi fossero annunciate non sarebbero sorprese…
Succede che vai a lavoro parcheggi la macchina nei soliti dintorni e ti accorgi di un manifesto che non sai da quando stava lì ma lo hai visto solo in quel momento. I tre allegri ragazzi morti, 20 giugno. Cavolo il 20 giugno è passato, ah no, è oggi, ma gli amici mi aspettano per la partita nella direzione opposta. Questi cominciano alle 21.00, non si fa in tempo.
Poi in ufficio scopri che in realtà ci sono altri due gruppi prima di loro. Quasi quasi…

Le pieghe

Ci sono alcune cose che, nonostante gli sforzi per cambiarle, continuano a seguire la loro forma. Certe abitudini, certi riti, certi modi di pensare sono come il cavo USB del telefono, con la propria piega, i suoi grovigli, e ogni volta che lo prendi sta sempre allo stesso modo. Sono come il filo dei pantaloni o la piega della tovaglia, ripiegata tanto su quella linea che se anche ci si impegna non viene da piegarla in un altro modo. E così pure certi pensieri, certi umori: sono così familiari e rassicuranti, compagni di migliaia di giornate che non ce ne si può separare anche se la piega è sbagliata, anche se ce ne potrebbe essere una migliore. Ma quella è la nostra piega, e in fondo in fondo sappiamo che è l’unica giusta, perché è stata sempre lì, da quando ne abbiamo memoria. Non si può stirare, non si può correggere, sembra che abbia una volontà più forte della tua: puoi solo accettarla o rinnegarla.
Ma certe pieghe sono come quelle del brano del libro preferito, non importa per quanto tempo lo lascerete da parte, dietro a tutti gli altri libri, ogni volta che lo prenderete in mano, basterà prenderlo tra le mani, e poi aprirlo per scoprire che mostrerà sempre la stessa pagina, la vostra preferita.

Superman

In tanti anni di blog, questa cosa non l’avevo mai fatta, e va a finire che mi ci abituo. Sarà che il telefono precedente era una condanna, sarà che anche la piattaforma aveva meno possibilità, ma scrivere seduto su uno scoglio, in spiaggia, non lo avevo mai fatto.

Qua c’è una specie di festival dei fiori in concomitanza con il 25 aprile, c’è un sacco di gente e fino a venti minuti fa stavo camminando tra la folla. Quando sono circondato da persone chiassose mi sento una specie di Superman, o come un’ape in un campo immenso di fiori.

Un giorno da granchio corridore

Mi alzo come sono andato a dormire, pioggia che martella le superfici scoperte del mio antro. Di là, una luce accesa avverte che mio padre è già in piedi…e non che ci fossero dubbi.

“Vuole fortemente quel granchio corridore…” urla la TV con la voce impostata di un documentario e a quel punto, anche te ti fai una di quelle domande importanti che ti condizionano l’esistenza.

“Quanto fortemente voglio quel granchio corridore?” …ma non so darmi una risposta.

Latte.

Paura del buio

Le palle prudono, il collo prude, la spalla, la pancia. Forse l’arrivo della pazzia è annunciato da un gran prurito. Forse esiste un girone all’inferno dove senti prurito per l’eternità, mentre cerchi di dormire.

Il soffitto è nero, tutti i pensieri e le ansie…e i desideri intimi nascosti si raccolgono da qualche parte li, dentro il cranio, secondo me. Stagnano. Acque ferme di palude…intorbidiscono, inquinano il sonno fino a spezzarlo, rompono l’equilibrio come un disastro ambientale in riva al mare e dura da mesi…e da mesi provo a curarmi…non bene, non con troppa scienza dietro, faccio cose, non ne faccio altre, giro in tondo, terapie fai-da-te. Quando apro gli occhi, ad inizio calvario, so benissimo che ore sono…è la mia fascia di perdizione, tra le 3:27 e le 4:04, precisione chirurgica come se fosse ormai parte del ritmo. Il mio corpo si ribella al bisogno di dormire che mi trascino nelle giornate, che mi riduce la pace dei sensi ad una guerra di nervi a fior di pelle. Il mio corpo si agita e freme e stringo i pugni dal nervoso…vorrei sbatterli sul legno che mi circonda per poter stare sveglio per un qualcosa, un motivo vero…una mano fratturata…avrebbe più senso.

Se mi stesse bene lo slow motion (come a Ryan Gosling)

Mi sento come ieri, gambe stanche dal giorno prima, trenta minuti cardiovascolari, scarpe che massacravano caviglie, fiato e sensazione di essere incinto o peggio. Fuori forma. Claudicante. Lento.

Ora mi arrivano articoli dal rullo, le luci al neon del mega-capannone centro-commerciale creano riflessi veloci su ogni superficie mentre i miei di riflessi, sono lenti ed impacciati…due minuti solo per trovare la parte aperta dei sacchetti, separarne i lembi mentre uno tsunami di Kellogs Cornflakes gusto classico, tonno in scatola confezione da 12, pasta, zucchine incellophanate, Schweppes tonica scontata a 1.29 mi arriva sulle mani impegnate, un’ondata di violento consumismo. Mio padre, a ottantasette centimetri da me, imbusta rapido e preciso, nemmeno fosse uno spacciatore di crack in fuga dalla polizia che arriva a sirene spiegate…io, invece, più cerco di muovermi più le forze mancano, riempio a metà un sacchetto con verdura mista ma gran parte del lavoro lo fa Padre…dei due, il sessantenne sono io, stanco, impacciato, insicuro. Fuori forma. Claudicante. Lento. Slow motion che non mi sta bene per niente, non mi dona, non fa figo, non butta fuori personalità e sicurezza, non sono come Ryan Gosling, per nulla…lui cammina in slow motion, mangia una pizza in slow motion, saluta in slow motion, bacia e sta sopra a bellissime donne in slow Motion ed è sempre come vorresti essere te…calmo, sicuro, rilassato, a lui sta bene lo slow motion, pure la sua faccia pare fatta apposta per lo slow motion, ci è nato in slow motion mentre io, ho la fretta in corpo, accelero e sbaglio, vado in confusione, confuso, mi agito, agitato, parlo veloce e male, male, non uso punteggiatura corretta nei pezzi perché scrivo come leggo, settanta pagine l’ora, scrivo come mangio, un primo e un secondo in undici minuti, non prendo caffè per non accelerare ancora di più, affrettato, in curva vado lungo, pesto il freno, sbaglio, sbaglio molto, poi mi impaurisco e rallento di colpo, ansia, lentissimo e io lento non so andare, ansia, lentissimo, la macchina si spegne, la frizione stacca male, sento le energie che mancano e la concentrazione va persa, ansia, lentissimo, mille gocce imperlinate sulla testa senza capelli, respiro male, balbetto, dimentico significati e parole, non riesco a stare calmo e rilassato, rabbia, i vestiti mi spostano le ossa in posizioni scomode, tutto due taglie piu piccole di colpo, abbigliamento indossato nella stagione sbagliata, sento gli occhi della gente che nota le ferite dentro e le difficoltà fuori, il disagio di una fretta intrappolata, animale in gabbia, sconfitto dal ritmo delle cose da fare per bene. Quando lo sono, da fare, serve calma. Slow motion.

Lascio perdere, non combatto, mi volto e corro via, di nuovo, prossimo obiettivo, mi rifugio in buchi con aria corrente e acqua fredda, ricomincio da domani mi dico, come ogni ‘giorno prima uguale agli altri’, ricomincerò correndo, di fretta, cercando chi sia veloce, agitato, che non ci pensi troppo, che sia solo istinto, che come me non sappia attendere e prendere le cose con calma, io, che lo slow Motion non mi sta bene…non mi dona, non piaccio, non sono Ryan Gosling.

Fragole con panna

Erano in giro per casa ieri, le fragole…roba di festeggiamenti per compleanno di Madre, piccolo dessert post-polenta taragna…le inabisso nel loro stesso succo poi spruzzo panna montata industriale in quantità, giro, faccio miscugli che si trasformano in liquore rosa e via un’altra spruzzata, dosi sovrabbondanti che quasi sarebbe il contrario, panna con leggero aroma di fragole come definizione corretta…è cosi che mi piacciono, è cosi che vuole il mio corpo.

Divagazioni sull’8 marzo

Eccoci di nuovo, l’anno scorso di questi periodi mi trovavo più o meno nella stessa situazione. Più o meno, non so se più vicino o più lontano…comunque sia, ancora a scrivere sull’otto marzo, ma in realtà non volevo scrivere sull’otto marzo. E’ che oggi si scoprono tutti galantuomini, tutti per la parità dei diritti, Facebook sembra un vivaio, auguri e fidanzati melensi. Sarò sincero: l’atmosfera che c’è in giro un po’ mi contagia.
Però se penso alla festa della donna non penso alla lotta per i diritti, all’augurio per le pari opportunità, allo stop alle violenze e cose così. Penso a una cosa bella e all’amore per essa.

In una vita precedente

Sono stato anche normale,
in una vita precedente
m’hanno chiesto “che sai fare?”
“So far ridere la gente”,
menomale
che non ho fatto il militare.
Si, menomale,
sai che risate

La musica, la musica… La musica è come casa, non importa per quanto tempo starai via, ma tanto sa che tornerai da lei. La musica c’è sempre, anche quando non ne hai bisogno. Se ne sta buona lì ad aspettarti perché sa che prima o poi avrai ancora bisogno di lei. La musica ti lascia andare ma non ti lascia, la musica non ti delude, ti conosce da sempre, da prima ancora che avessi coscienza di te e dei tuoi sentimenti, e se tu non la capisci fino in fondo cerchi comunque di trarne il significato migliore, quello che ti fa stare meglio, quello che più si avvicina alla vita.

Digrigno i denti. Me ne accorgo. Non faccio niente.

Avevo voglia di scrivere e basta, qualcosa, non so cosa, qualcuno, non so di chi, di cui, per come.

‘Tipo una settimana fa’…immaginatevelo scritto in sovrimpressione su un mio ricordo ampiamente distorto stile “era una notte buia e tempestosa” ma non era notte, non era tempestosa anche se probabilmente pioveva che qua piove sempre, piovavilmente probabilava.

La cornice

Una sera rientri a casa e sei completamente spento. Stanco ma senza sonno, solo ma senza la voglia di vedere alcuno. Sei solo l’ombra di quello che sai di essere e che da qualche tempo sai anche di non essere più.
Dopo il lavoro ti trascini ciondolante fino al divano e rimani a fissare la parete come fosse una tv accesa, che poi è la stessa cosa.
È in quel momento che fai caso per la prima volta a quella macchia biancastra nel bel mezzo della parete del tuo salone. Sicuramente l’avevi già vista ma ancora non gli avevi dato peso. Cosa vuoi che sia un po’ di alone bianco lasciato da un quadro che non c’è più. Lasciato da un quadro che tu stesso hai staccato perché non riuscivi più a vederlo tanto ti faceva male, tanto ti riportava alla mente ricordi a volte belli, a volte brutti, ma che sapevi solo ricordi e che non sarebbero tornati più.

Ava come lava

Questo pezzo non ha senso compiuto, è solo un pensiero che mi è venuto l’altro giorno in macchina, mentre guardando dentro me stesso cercavo di dare una definizione ai miei sentimenti. Neanche loro forse hanno senso compiuto.
Me li sono immaginati come un agglomerato di magma che scende lentamente e inesorabilmente da un docile pendio, come materia incandescente, scottano e bruciano e scaldano anche se te ne tieni lontano. E ribollono e si riversano colando su tutte la altre cose, e si mescolano e si rigirano su se stessi in una pozza di lava arancione e gialla che si autoalimenta e su cui non riesci a tenere nemmeno gli occhi aperti. E un attimo sono una cosa, e l’attimo dopo ne sono un’altra, e in quei dieci secondi che ti fermi a guardarli sono dieci cose diverse, e non sai distinguerne una dall’altra anche se sai qual è la tua preferita e quale vorresti che vincesse in questa lotta che rotola verso valle.

Sai che tutti questi sentimenti fanno parte di te, ma non sai quando si saranno raffreddati, alla fine della discesa, quali avranno prevaricato gli altri e preso forma solida e definitiva, e speri che durante il tragitto qualcosa, una roccia, un albero che si incendia e prende a rotolare pure lui, un canale d’acqua che vi si incrocia e che evapora in una nuvola di nebbia, abbia posto le condizioni affinché tutti quei sentimenti si concretizzino proprio nella forma che vorresti tu. L’ordine dal caos. Sentimento tra i sentimenti. Uno, solido ed eterno.

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