Brava Giovanna, brava

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Pillola del 208° giorno – Camomilla

Sto li davanti alla tazza per quella che mi sembra una mezza eternità e so benissimo che iniziare con l’immagine di me stesso pisello all’aria che piscia andando avanti e indietro con il corpo solo per far cambiare il suono che fa non sia un granché, poco elegante, da sconsigliare alle persone decenti e per bene.

Visto che ci sono smanaccio anche la pancia, che doveva essere sparita a fine Ottobre ed invece, ora che arrivano Pandori e cioccolati assortiti, è sempre li. Per un motivo o per l’altro non riesco ad essere costante negli allenamenti e spesso sono io che dico “meglio domani” o “da lunedì” o “aspettiamo il 15 che è metà mese che è meglio”, con il tanto famigerato foglio degli allenamenti che devo sempre stampare e invece è li da mesi salvato in un file senza nome.

Devo recuperare spirito, un ipod con cronometro e cuffie nuove, un k-way antipioggia che ne ho le palle piene di sentire l’acqua addosso che scorre dentro felpe zuppe come stracci per lavare pavimenti di scuole elementari. Adesso le cose stanno cosi, che volete farci.

C’è che sto diventando vecchio mentre il mondo attorno mi sembra sempre giovane. Rimanere allenati, pronti, capelli ben rasati per non sembrare quarantenni, prendere la macchina ed uscire anche se ti devi alzare da comodi divani costa energie, che non assimili abbastanza perché mangi poco e di merda, dormi un cazzo, litighi con la gente, ti fermi in fissa davanti ad un parabrezza appannato con gocce e vapore in un parcheggio di notte e collassi su un divano chiedendoti che cazzo sai fare davvero…forse nulla…mille cose ma forse nessuna davvero bene o utile e quindi bo…chissà fra tre anni dove sarai.

Stasera sto a casa intanto, sono già uscito ieri…cinema…Thor…gente che si prende a pugni ripetutamente che esci sempre con la domanda “ma dove sono gli altri supereroi suoi amici…avranno visto il telegiornale no…qua il mondo sta finendo e non fanno un cazzo?” però soddisfatto da cazzotti sinceri e testosterone in sala. Vado di là e mi preparo una camomilla. Pentolino e acqua, metto a scaldare, bustina Bonomelli che strappo e polverina gialla che verso nella tazza. Metto l’acqua calda e cinque di zucchero poi, mi metto a lavare il pentolino…poltiglia verde densa odor limone, un filo sulla spugnetta verde pure quella, gratto e passo, movimento antiorario poi risciacquo.

Quando la appoggio sul lavandino mi viene in mente che alla fine ci ho solo bollito dell’acqua e che potevo evitare di lavarla…fanculo.

Sono sbagliato ecco…le piccole cose e i dettagli a cui non faccio caso e che diventano montagne di detriti.

Vabbè, metto un film e mi infilo a letto…bevo quella specie di zucchero liquido. Non mi alzerò più fino a domani…è deciso.

Per una volta lascerò i miei denti in balia dell’attacco degli acidi…

Pillola del 206° giorno – Metronomo

Salto con la corda, occhi fissi davanti e la quasi ipnosi con quei lampioni lontani che fanno su e giù.

Ha smesso di piovere, riprendo a fare qualcosa dopo due settimane di lavoro intenso, schermi, radiazione, tredici ore seduto. La gente litigava, aveva fretta e parlava troppo.

Le gambe fanno male dopo dieci minuti ma è bello tornare ad allenarsi. Mi sporco anche le mani nel cemento spaccato e bagnato dell’entrata dei garage…niente piazza, niente tempo, niente lista da seguire.

Dopo due settimane di scalette, scadenze, orari lascio che il rumore della corda sul cemento mi faccia da metronomo.

Basta lancette, basta secondi, non ascolto nemmeno la musica. Almeno fino a domani.

Pillola del 189° giorno – Requiem (Cuore e silicio)

Due lutti in due giorni, anche se si parla di oggetti. Ieri il tagliacapelli mi ha lasciato con un lavoro fatto a metà…che sembravo Two-Face di Batman. Mi sono ritrovato a tagliarmi la barba completamente…non succedeva da quanto…almeno 4 anni.

Oggi però è più dura…il mio iPod non si accende più, nonostante i ripetuti tentativi di rianimazione tramite massaggio cardiaco MENU + tasto centrale premuti a ripetizione. Da giorni lo schermo era totalmente bianco…connesso con un cavo alla presa elettrica oggi non si è più accesso…spina staccata…

Si dice che le migliori cose della vita siano gratis…vero…anche il mio iPod l’ho avuto gratis.

Trovato dal ragazzo di mia sorella in piscina, subito accolto a casa come un figlio. Ci ho corso da ciccione ogni giorno per un anno, poi da quasi in forma fino a saltare da sbarre e muretti, arrampicarmi, fare equilibrio su tondi di metallo, cadere, farmi male. Ha subito acqua dal cielo, dal mare, sudore, botte e imprecazioni per quella faccina triste sullo schermo che compariva quando si bloccava.

Volato dalla tasca per cadere per terra…almeno mille volte.

Usato per viaggi in treno, trasferte notturne in macchina, autobus, aereo…mille volte.

Ci ho conosciuto gente nuova, mi salutano e il gesto di togliermi l’auricolare destro e premere ‘||‘…almeno mille volte.

Stare fermo a guardare panorami, scattare foto sulle strade, ritornare da allenamenti bagnato di pioggia, attendere autobus, persone, risultati, risposte sempre con la musica nelle orecchie…mille volte

Ci ho ascoltato un sacco di canzoni nuove che mi rimarranno, le playlist che sapevo a memoria in repeat, osservando puntini di luce rossi in lontananza con i Vib Gyor in cuffia…notti di lavoro con Painless Steel dei Bohren & der Club of Gore a riproduzione infinita…gruppi che andavano e venivano per lo spazio risicato…serate insonni di malinconia persistenti curate con Pearl Jam e Godspeed You! Black Emperor.

Mai sostituito nonostante altri quattro o cinque lettori in giro per casa, più capienti, migliori, scintillanti.

Ora purtroppo mi tocca rimpiazzarti.

Nella tasca, ma non nel cuore.

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Pillola del 185° giorno – Il colore dell’odio

“…e quindi pensavo di scrivere una lettera ai vigili…ma in tono educato…non solo insulti…però poi ci scrivo anonimo…aggiungendo che altrimenti stronzi come sono mi verrebbero a prendere a casa per farmela pagare…”

“Buona idea Teo…” rispondo, anche se non ho ben capito il perché della lettera…sempre che esista un perché.

Ma sono distratto, potrei non aver sentito, cosi preso dal lavoro…distratto dal cazzeggio di routine insomma. Ho di fronte un video fatto con una fotocamera da 30 euro che mi sta facendo parecchio incazzare. L’ho infilato dentro un software da 13.000 euro crackato che ci hanno pure fatto Avatar e quello mi restituisce una schermata bianca e io non capisco cosa stia succedendo. Lotto tra formati, importazioni, filtri ma invece di bombole, ingranaggi e macchine in azione continuo a vedere una simulazione della Siberia in inverno.

Rimango in ditta un’ora in più, esco che sono da solo nel capannone, rispetto a ieri mi sento meglio. Voglio tornare a casa, prendere l’iPod, andare ad allenarmi. Mi preparo con la solita robaccia addosso, prendo il lettore.

Schermo bianco. Cazzo me ne ero dimenticato. Lo resetto quattro volte, lo schiaccio, lo sbatto per terra, lo insulto e lo picchio ma nulla…schermo bianco. Sembra una maledizione.

Aspetto la cena, abbastanza nervoso. Essendo nervoso devo mangiare qualcosa. Per forza. Mi ricordo delle arance in frigo. La sbuccio, sembra gustosa ma quella pellicina attorno alla polpa è come mastice. La tiro e mi distrugge ogni spicchio…il tavolo sembra una sala operatoria. Quando non riesco a staccarla o mi stufo la mangio insieme alla polpa ma è amara al limite del fastidio.

Ancora più nervoso. Dannata pellicina…pellicina bianca.

Che colore del cazzo.

Pillola del 172° giorno – Stomaco in subbuteo

Mia sorella mangia quanto Microchippy, il mio canarino. Hanno entrambi due foglie di lattuga nel piatto solo che Chippy almeno, come contorno, sgranocchia semi di girasole.

Io ritorno dall’allenamento, dove ho recuperato un “ciao” dalla mia bionda cameriera e dopo, me ne rimango sdraiato dieci minuti su tre metri di cemento a guardare il vapore acqueo che sale verso quell’unico puntino di luce li sopra, una stella credo anche se sembra che si muova, anche se sembra che sia un aereo. Improbabile, anche se sembra.

Quando mi incammino, con una spalla sinistra che brucia, incrocio un tizio con pantaloni rossi e cappellino rosso…mi guarda e mi supera con il tipico passo accelerato che ha anche mia madre, che quando è di fretta mi devo mettere a correre per starle dietro. Sembra quasi fisicamente impossibile.

Comincio a seguire l’uomo, che nota la mia ombra ed accelera.

Quindi accelero.

Aumenta ancora il passo della camminata.

Quindi accelero.

Arriviamo ad un punto in cui ci dobbiamo dividere, io gli sono dietro di un metro al massimo, lui continua a guardarmi con la coda degli occhi. Vado a destra continuando a guardarlo, costeggiando la frattura che divide il mio paese. Lui, fa finta di osservare i jersey di cemento e i blocchi di plastica e le linee gialle per terra. Io lo fisso e cammino.

Altri venti metri.

Il tizio si gira e mi guarda, io pure. Ci guardiamo per altri cinque metri poi, una costruzione ci nasconde, io continuo verso casa, costeggio ancora il fossato che sogno di riempire d’acqua…e gondole…e fare terminare tutto in una cascata, li, dove la roccia finisce e inizia il ponte di ferro. Oltre, la strada che si stringe e case abitate. Oltre, costruzioni mai finite e distese di asfalto sempre nuovo e poi casa mia.

Primo piano, scarpe via, felpa da supereroe via, dritto in cucina, acqua. Mia sorella sgranocchia una foglia di lattuga, come Microchippy.

“C’è del pollo…”

“No grazie…ho lo stomaco in subbuteo…”

“Subbuteo?”

Già…subbuteo?

Non ci ho mai giocato al subbuteo. Non so neanche come si gioca, al subbuteo. Non so nemmeno se esiste ancora il subbuteo. E chissà perché si chiama cosi…

Subbuteo.

No, mai messo mano su un subbuteo.

Avrei voluto.

Pillola del 157° giorno – Il cimitero delle macchinine

Cammino come un gatto nella piazza deserta con solo la cameriera del bar che impila sedie e le trascina dentro, prima della chiusura. Mi piace, è molto carina e si muove in un modo che mi affascina quindi ogni tanto, mi concedo uno sguardo distraendomi dal noioso reticolo di mattoni grigi e rossi che mi fanno andare dritto.

Alla quarta distrazione, sento un profondo dolore nel palmo sinistro, come di una lama che si conficca nella carne. Un sasso, o un vetro penso ed invece è un oggetto quadrato, bianco e nero.

“Un alettone…”

Si, un alettone di una macchinina, una formula 1, un dramma che comprendo fin troppo bene…la disperazione di un bimbo che si ritrova un giocattolo monco…un alettone poi, una cosa fondamentale per una vettura da corsa.

Le macchinine e i modellini che si rompono o vanno persi, sono piccole tragedie che si trascinano negli anni. Io, a trent’anni quasi, ancora ricordo tutte le tragiche perdite dell’infanzia: la Fiat 131 Mirafiori arancione persa nel divano di mia zia Erminia, la Peugeot 406 Dakar distrutta nel salone dell’asilo, con le ruote divelte oppure, il mio F16 cangiante, che diventava blu se messo in freezer e rosso sotto l’acqua calda, con le ali leggermente sbeccate all’insu, come le terribili squadrette d’alluminio del liceo o il mio bellissimo trattore fatto di lego con motore a vista…

Tutti ricordi tristi, anche se il peggiore rimane Commander alias Optimus Prime dei Trasformers, un vero camion robottone con rimorchio apribile, accessoriato con altri Trasformers e che poteva diventare base di supporto con lanciamissili a molla. Il sogno di tutti i bambini, con l’adesivo degli Autobot che si colorava se ci alitavi sopra e lo sfregavi e poi…che bello tutto chiuso, rosso fuoco con rimorchio grigio metallo. Comprato un’estate di gioia e sparito l’agosto successivo, volatilizzato.

Dramma.

A volte me lo sogno e ancora, da grande, controllo tutti gli scatoloni in soffitta, per trovarlo.

Io ancora ci spero…

Pillola del 153° giorno – Pasqua

Stravaccato su una poltroncina con rotelle e tessuto verde mentre attendo che la stampante RICOH multi-accessoriata con scanner, caricatori multiformato, tamburi e slot colori singoli ad innesto rapido sputi fuori risposte cartacee ai miei input annoiati.

“Sai perchè ti sei sempre infilato in situazioni impossibili e complicate? Perchè hai paura di innamorarti davvero di una persona facile da raggiungere…è una cosa inconscia la tua” mi dice la segretaria con voce severa

“Sarà…magari è quello…e poi chissà se mi sono mai innamorato davvero…” rispondo, mentre gioco con una chiavetta USB piena di pezzi della mia vita.

“…quando ci penso…non ne sono davvero sicuro…” continuo.

Stravaccato su una poltroncina con rotelle e tessuto verde nel terzo giorno di pigrizia di fila, con un po’ di dubbi e di pensieri mentre gioco con puzzle a tinta unita che mi fanno uscire di testa. Devo concedermeli ogni tanto, tre giorni cosi, come faccio per l’insonnia che mi distrugge l’esistenza. Capita, a fine mese, che per tre giorni dorma come tutti gli esseri normali. Capita che dopo un mese di allenamento intenso, mangi pizza per tre giorni di fila. Capita e mi tiene sano di mente ricordarmi che a volte la forza di volontà, l’impegno, la sicurezza, le idee chiare si ritrovino disperse in un banco di nebbia, perse in un bosco, per tre giorni.

Negli ultimi istanti di lavoro, stavolta di giù, lontano dalla super stampante, fisso lo schermo svogliato e uccido un po’ di zanzare tigre. Mi passo la mano destra sui capelli da tagliare, sulla barba incolta e sento quel dolore che morsica il polpaccio. Penso che tanto manca poco alla mezzanotte e che da domani si ricomincia con un paio di pile nuove, cancellando le ultime settantadue ore e i lamenti dei muscoli e i puzzle e i pensieri.

Si, tre giorni di fragilità vanno bene.

Se li è concessi anche Gesù.

Pillola del 137° giorno – L’abito del monaco

Mentre confeziono nella noia degli ultimi minuti di lavoro un cuore fatto in filo di stagno, mi ritrovo a pensare a come io appaia alla gente, quando mi incontra. Di certo non sembro uno che confeziona cuori di stagno abitualmente, questo è sicuro.

Quando ieri camminavo tra la gente del corso, provavo ad immaginare di incontrarmi per caso sulla strada per vedere un po’ che impressione faccio, cosi, dall’esterno, a me stesso.

Ha senso?

Indosso una maglietta che mi sta diventando piccola, perchè da quando la spalla sinistra collabora un di più riesco ad allenarmi ogni giorno e questo mi fa sembrare ancora più grosso. Ci sto dentro a stento. Da fuori, un sacco di gente potrebbe pensare che occupo due-tre giorni alla settimana in palestra a pomparmi, per questioni di apparenza, per sembrare grosso e cattivo e far paura alla gente e provarci con le tipe sui tappeti da corsa. Potrei sembrare un tipaccio, uno psicopatico, “non ti conoscessi non ti vorrei mai incontrare da solo in un vicolo” mi dice un amico. Ma loro non sanno che ogni giorno, anche se stanco dal lavoro, mi ritrovo in una piazza, con la gente che prende l’aperitivo e che mi guarda come fossi uno scemo, a sudare e a resistere alla fatica e alle gambe che bruciano, alle braccia insensibili, appeso a sbarre, a muretti, a correre, saltare, ruotare le articolazioni anche quando piove, quando c’è freddo e la neve per terra, quando esco dalla ditta e il sole è sparito da due ore e tutto questo solo per amore del movimento.

Mi incrocio mentalmente sul pavè della piazza e penso che mi vedano serio, che non sorrido mentre cammino dritto e tutto questo riflette la prima impressione. Per loro è un “stanne alla larga” istintivo, ho la faccia di uno da non far salire in macchina se mi trovano a bordo strada che faccio autostop. Uno che non scherza perchè non ama scherzare, inutile farmi battute, sono un duro, cuore di pietra, anche se ne confeziono di stagno. Ma loro non lo sanno, la realtà è che non sanno che non sorrido solo perchè la mia faccia non mi piace cosi tanto quando mi viene da ridere. Non sanno che penso sia cosi anche per gli altri. Magari sbaglio, ma io mi vedo strano, mi sento strano, quasi un po’ forzato quando sorrido. Se mi dicono “ridi che facciamo una foto” ne esce un mezzo ghigno. Poi, bastano due minuti e mi metto a diffondere gioia per ogni stupidaggine mentre ne sparo una ventina pure io. Mi serve qualche minuto per carburare quella parte del cervello.

Mi osservo guardondomi dritto negli occhi e anch’io mi osservo, guardandomi negli occhi mentre mi passo a fianco. Ho lo sguardo tagliente.

Ha senso?

Capisco quando dicono che tiro occhiatacce, credo che da fuori sembra che io odi la gente, che sia costretto ad attraversare fiumane di persone per me insignificanti e che guardo con disprezzo. In realtà osservo tutto, fin nei minimi dettagli ed è perchè scatto mentalmente, come se avessi la mia Fuji sempre in mano. Ogni scena di vita per me è inquadratura, ogni dettaglio insignificante può nascondere del bello, e tutti quei dettagli e i gesti minimi, diventano anche le storie che leggete qua sopra. Non disprezzo, amo.

Se tiro le fila del discorso, ne viene fuori che io sembri davvero una brutta persona da fuori, da sobborgo di Caracas, che nasconde il ferro e fa affari loschi, picchia i bambini, maltratta le donne, pensa solo a se stesso, psicopatico.

La realtà è che faccio il designer, il fotografo street, lo scrittore, ogni giorno. Amo Bukowski e Murakami, mi commuovo con i film, non riesco nemmeno a schiacciare gli insetti che trovo in casa, devo riportarli fuori. Amo fare regali agli altri, ho bisogno degli altri. Adoro il mare, il rumore del fuoco, la luce che rimbalza sugli oggetti, ridere.

Ho sentito un sacco di giudizi riportati, sentendo voci, su di me. “Sembra uno stronzo” “egoista” “egocentrico”. Tutto da gente che mi ha visto una sola volta.Credo di essere abbastanza disastroso alla prima impressione.

Purtroppo la gente è davvero stupida mi dico. Però poi, penso a me stesso e a quante volte anch’io finisca per fare la stessa cosa.

Vorrei davvero provarci d’ora in avanti a non mettere mai più una persona in uno schedario dopo i primi quattro minuti.

Che alla fine anch’io quando sono ‘la gente’ sono stupido.

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Pillola del 135° giorno – Man in the box

 

Mi approccio alla scatola timbratrice per chiudere il giorno lavorativo.

Mi approccio all’ennesima scatola che mi comanda e che mi dice cosa fare, quando farla e senza spiegarti il perchè, ne di risposta ne di quelli pieni e veri, che contengono tutta la mappa delle direzioni e dei bivi con avvisi sonori stile autovelox nel GPS, quando la faccenda si fa complicata e pericolosa.

Sono stufo delle scatole. Quelle in cui vivo, quelle in cui metto il cuore e i ricordi e che finiscono in soffitta, quelle rumorose o troppo silenziose, come candide stanze d’albergo insonorizzate, vetri doppi, porte doppie, letto doppio, whisky doppio dopo l’ennesima riunione tra me e lui, il mio doppio.

Le scatole hanno pareti quadre e grossi coperchi quadri, spigoli vivi in cui si accumula sporco che non riesci a non guardare perchè li ci finisce anche l’ombra e il nero diventa solo più nero. Le scatole sono figlie di logica e geometria, ogni cosa inserita in un suo spazio con i suoi limiti fisici di peso, con il cartone che si piega e si rompe e si rovina quindi mai esagerare, mai, con le scatole.

Mi ci sono intrappolato in una scatola.

Tutta la pazzia e tutta la follia che metterei nella mia vita, nell’amore, nelle parole che scrivo stanno dentro una scatola che non posso aprire perchè mi dicono che non si può anche se poi cambiano idea, mi dicono che posso ma io ho paura.

Paura di fare casino. Ho sempre paura da quando sto nella scatola.

Quando è giorno, i profili si illuminano come neon, il cartone sembra cosi sottile. Quando piove, il coperchio si piega e temo che l’acqua lo sfondi, che si riempa come una piscina, che muoia affogato.

Quando cerco la libertà invece, scopro che le scatole non hanno porte, non hanno appigli, non hanno scalette.

Stai li e speri, che qualcuno passi di la, si chieda “ma cosa c’è qua dentro” e tolga il coperchio.

 

 

Pillola del 129° giorno – 100 Hz

“Mi aiuti a togliere la tv dalla macchina, dopo il lavoro?” mi fa un amico
“Si” rispondo.

Esco da lavoro, 17:30, entro in macchina con lui e andiamo a casa sua.

Tutte le domande precedenti, del tipo “ma ha davvero bisogno di aiuto per una stupida televisione?” oppure “ma avrò capito male?” svaniscono dal cervello come macchie trattate con il Vanish. Si, era un messaggio sponsorizzato, comprate Vanish Oxi Action.

Svaniscono perchè quella che credevo fosse la testata del motore posteriore, appena entro nella sua ‘Saxo’, in realtà si rivela essere un tremendo ed enorme televisore Panasonic 36 pollici che occupa tutto il retro e assetta la macchina peggio di una enduro in impennata. E poi la ‘Saxo’ il motore ce l’ha davanti.

Arriviamo a casa del mio amico, che sta in affitto dal mio capo.
Ora, il mio capo è geniale, simpatico e bravo, ma è completamente pazzo e disorganizzato e questa sua casa rispecchia l’architettura della sua mente. Vedete, la televisione dobbiamo metterla al piano terra, dove c’è la camera da letto, solo che non c’è nessuna porta per entrarci. Infatti, bisogna andare al primo piano, dove c’è la cucina, aprire una porta, scendere delle scale a chiocciola mezze metallo e mezze plastica rubate sicuramente ad un ospedale croato ed infine accedere alla camera.

Una cazzata, se dovessimo spostare un moderno LCD, ma questo, è un CRT ricavato da un panzer della seconda guerra mondiale. Appena lo afferriamo dall’unico appiglio plausibile e lo tiriamo su dal portabagagli, le vene negli occhi tipo esplodono, la schiena urla pietà, gli avambracci si tirano a fionda e capisco subito perchè il mio amico voleva una mano.

E’ un fottuto macigno, e si che sono allenato.

Lo rimettiamo giù con terrore. Per arrivare al bordo della finestra, che è ovviamente altissimo, dobbiamo portarlo oltre l’altezza delle spalle e lì diventa culturismo, senza contare che dobbiamo fare rotazioni kung fu per riuscire a metterci in posizione.

Tentiamo un paio di volte ma quel robo ha la stabilità di un monociclo bucato guidato da una castoro ubriaco e che si è appena lasciato con la moglie e per qualche istante, la TV sembra voglia tentare il suicidio fracassandosi per terra, ondeggiando pericolosamente.

Di nuovo giù.

Dopo cinque minuti decidiamo di appoggiarlo almeno sul bordo, utilizzando la tecnica “incliniamolo, appoggiamolo e tiriamolo su”, cosa che ci costa tre avambracci e sei ernie ma dopo un paio di tentativi ecco che quel suo culone grigio di plastica si appoggia sul marmo.

Fatto.

Ora, scappo al primo piano di corsa per poter scendere in camera, mentre il mio amico tiene in sospeso quella follia sul davanzale. Quando arrivo, capisco che non sarà una cazzata neanche il passaggio dopo.

Sposto il divano che c’è sotto e prendo il lato destro del televisore cercando di metterci più forza possibile per alzarlo oltre la struttura della finestra. Appena la TV si appoggia con il suo peso sopra quei 3 millimetri di alluminio ecco che si sentono lamenti e sfrigolii come se un fulmine avesse appena centrato una vecchia in sedia a rotelle.

“Questa cosa non s’ha da fare”

Prendo i cuscini del divano. Con sforzi enormi, riusciamo a sollevare quei 36 pollici di terrore sul davanzale, utilizzando leve svantaggiosissime in cinque millimetri di spazio e a infilare due cuscini sotto, riuscendo a tirarla in dentro, con la speranza che le finestre si riescano a chiudere ancora e che gli infissi non siano da rifare.

Ora, è il mio amico che corre su per scendere giù, che tutta sta storia pare un livello di Super Mario, sapete no, quando entra nei tubi verdi.

Con le ultime energie in corpo, portiamo dentro il mostro e lo sbattiamo in un angolo.

Stremati e con il fiatone ci sdraiamo sul divano, in silenzio, per qualche minuto. Poi, da una mensola, il mio amico prende il manuale d’istruzioni della TV e inizia a cercare.

“Cosa cerchi?”
“Il peso…eccolo…”
“Sarà almeno 60 chili…”
“Pesa 82 chili…”
“Cosa?”
“82 chili…”
“Cazzo pesa quanto me…ma c’è dentro un nano morto per caso? Non ha senso!”

Rimaniamo in silenzio ancora un po’

“Però è bello, consuma come una puttana ma è a 100 Hz” mi dice
“Il mio vecchio era a 60 Hz” gli rispondo

Certo che 40 Hz in più pesano un sacco.

 

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Pillola del 95° giorno – Wallrun

Appena arrivato in paese mi son detto “hai un mese per allenarti come si deve, tutto il tempo che vuoi.”

Dopo due giorni l’inizio è promettente anche se le mani sono già spaccate, il tallone trema di paura e la pianta dei piedi è già piena di buchi.

Nel vagabondaggio per trovare le sfide dell’estate, perché una sfida ci vuole sempre, oggi sono tornato davanti ad un mio vecchio pallino dell’estate scorsa, il mio primo grosso obiettivo da traceur scarso, un wallrun.

Dovete sapere che io adoro i wallrun, perché mi esaltano come poche cose, perché sono grosso e lento e invece quelli mi fanno sentire come se ogni ostacolo fosse alla mia portata e mi spaventano almeno quanto li amo, perché mi ci sono fatto male al punto che piegare le dita dei piedi era un calvario, camminare una tortura.

Un wallrun in una piazzetta di Varese poi, è stato la mia prima conquista, il mio primo “cazzo sono migliorato”. Il giorno del mio primo allenamento non riuscivo a chiuderlo e non l’ho chiuso, una sconfitta. Ci avrò provato 50 volte ma il bordo rimaneva lontano e anche quando ci sono arrivato dopo due ore, con il mio passo lento, fuori forma, scoordinato, non avevo la forza per rimanere aggrappato. Figurarsi tirarsi su. Ma tre mesi dopo, nella stessa piazzetta, quel muro invalicabile era diventato un muretto, scavalcato senza sforzo. Una soddisfazione, davvero.

Ora che è chiaro il perché di questa mia predilezione, alla ricerca della sfida dell’estate, ho deciso di tornare alla mia bestia nera vi dicevo, che io chiamo il gioco della bottiglia.

La vedete quella Sprite lì in alto nella finestrella? Mi sono sempre chiesto cosa ci faccia li e chi cazzo ce l’abbia messa.

Ma non importa, l’importante è che per fine estate riesca a buttarla giù.

 

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Pillola del 77° giorno – Schiena

Ho un dolore nella schiena e lo sento soprattutto quando respiro.

Masochisticamente questa è una pratica che non riesco a smettere quindi ogni secondo, mentre il petto si alza per incamerare molecole di ossigeno, il dolore si fa pulsante e questo mi costringe inconsciamente a fare respiri più brevi e meno intensi. Mi è venuto mentre NON facevo parkour visto che stavo bevendo da una bottiglia d’acqua di quelle che mantengono la temperatura stile thermos, ma che hanno lo svantaggio di avere capienza pari ad un bicchiere e mezzo, un sorso e via. Sarà stato il collo troppo inclinato o una maledizione lanciata dagli altri che sudavano davvero, fatto sta che mi è partita questa fitta lancinante. Roba da vecchi. Non che gli abbia dato peso visto che mi sono allenato bene a parte una capocciata su un ramo grosso come un Anaconda ma che non ho visto sulla mia traiettoria. D’altronde i serpenti quelli grossi sì nascondono bene.

C’è di buono che oggi ho scoperto che mi bastava cambiare scarpe per alzare il mio livello a parkour e sbloccare un salto che da mesi non riuscivo a fare. Stavo li ore ma nulla, non ci riuscivo. Oggi al primo tentativo con un altro paio di scarpe “ecco fatto”.

D’altronde quelle che sto usando sono delle specie di hovercraft grigi con la forma di un blocchetto di cemento, con un design talmente pesante che sto cominciando a pensare che fossero troppo pesanti anche fisicamente…e a detta degli altri non avevano abbastanza “stile”…

Nel parkour a quanto pare, l’abito fa il monaco.

Pillola del 76° giorno – Okome

Torno dopo aver ingurgitato grosse quantità di pesce e riso. Avendoci bevuto sopra anche tredici bottiglie d’acqua mi sento un bidone e ringrazio di essere a letto. Dovrei essere a dieta, mi alleno tantissimo eppure mi vedo sempre più grosso come nei discorsi delle quindicenni anoressiche e non capisco mai se credere alla leggenda che sono i muscoli che spingono in fuori la ciccia o in realtà stia ingrassando, anche se non ha senso.

A parziale scusante, bevo come un cammello. Arrivo a casa, tiro fuori una bottiglia da due litri e la finisco subito, poi ne prendo un’altra e attacco pure con quella. Ma anche a lavoro bevo e la sera e quando mi sveglio di notte. Sempre.

Non è che ho sete, è che voglio bere acqua.

Certo che dovrei attenermi più ai piani non mangiare e bere a caso…rimettermi in equilibrio insomma.

Ma sembra proprio che l’equilibrio non sia roba per me. In niente di quello che faccio.

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