Meglio vivere di illusioni che morire di certezze

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Pillola del 235° giorno – Dovrei smettere…

Un mio caro amico, quello “che è da fuori che lo vedi” ( * ) mi invita a cliccare mi piace su una pagina…è di un tizio che scrive un diario, ogni giorno e tiene pure un sito…leggo i primi pezzi e fanno cagare, lo stile è pessimo per non dire inesistente, sembra che non abbia idea di come iniziare…ha qualche picco ogni tanto ma si contraddice…è un po’ ipocrita, scostante nelle parole e nei pensieri, uno sbandato e pure la pagina non è pure tenuta granché bene… link automatizzati senz’anima incollati da super-server calcolatori, nessun confronto e nessun dialogo…nessun commento che a sto punto la domanda me la faccio…chissà se legge davvero…la gente…se davvero legge questa roba….la mia roba.

Scrivere ogni giorno è uno schifo. Complicato, perché come dice Charles, si scrive quando stai molto bene o molto male e io spesso mi ritrovo nel mezzo o un poco sopra…o un poco sotto…quindi mi costringo…cosa può uscire di buono da questo? Logorante, i pensieri si moltiplicano e gli occhi appena svegli vanno a scandagliare ogni cosa per immagazzinare che non si sa mai….se va male e alle 23 fissi il soffitto, col vuoto dentro tutti i tuoi spazi, puoi usare il cadavere di quell’insetto morto sul vetro per scrivere di qualcosa, o parlare di quel vecchio caduto dalle scale o il fatto che ami qualcuno di impossibile, sempre che sia di ‘qualcuno’ che tu sia innamorato e non di un ‘qualcosa’ o un ‘perché’ o solo di un ‘quando’. L’ossessione per raffinare lo stile e distinguerti…ti mangia il cervello…vai in giro e leggi e chiunque scriva un po’ bene diventa un nemico, parti con la conta delle righe altrui, media degli articoli, conteggio dei giorni manco avessi il ciclo…come se dovesse fottermene molto di questi, di inesistenti concorrenti…per cosa poi…che premio? Soldi? Folle urlanti? Groupies da monta? Non c’è nulla da conquistare, è solo pura ossessione. Ossessione. Per verbi e ripetizioni, ossessione per licenze poetiche, ossessione per sinonimi e contrari, ossessione su argomenti e giochi di parole, ossessioni per ‘e’ accentate nel modo giusto. Tentativi di tenersi alla larga dei cliché, obbligo di calibrarti per chi ti legge…

“Ci sono sia amici che sconosciuti quindi mai nomi…o dire cose troppo vere o troppo false ma mentire sempre e comunque in un modo o nell’altro”

…tra le ossessioni e i pezzi di carta, che uno pensa che sia la via di fuga perfetta…la carta e la penna, scudo e spada…ma son pareti lisce…senza porte…che poi, tutto sommato, è un po’ com’è la mia vita davvero…pareti, carta e cartone, bianco e vuoto in giro…normale che la scrittura lo rifletta…che se viene da qualche parte lì in fondo, dove nasce tutto questo non è che ci puoi fare molto a meno di non inventarti storie false, di successi che non ci sono, di posti mai visti, persone che non esistono, romanzi mai scritti e amori poi, che manco ci credi all’amore.

Esagero lo so…tranquilli, succede quando non sono nemmeno costretto a stare attento a dove metto i piedi e posso anche solo guardare fisso in avanti finché la macchina non si ferma a destinazione, uno, due minuti dopo…la mente corre e crea catene su catene prendendo il peggio…ci rimbalzo periodicamente in queste serate da insofferenza e quella diventa nervoso e il nervoso fame ed entrando in casa già si mischia con la rabbia…Madre è ancora malaticcia ma come ogni sera prepara da mangiare orgogliosa, saluto e me ne vado di là che sento il diavolo che vuole lamentarsi e dire “cavolo speravo fosse pronto…ho fame cazzo” ma mi trattengo, sarebbe ingiusto ed è una cosa che sto riuscendo a combattere…il buttare addosso gli altri i momenti di estremo me stesso dico, quando divento odioso…quando sono una merda. Mi concentro sulla fame, che a sto punto della storia umana ancora uccide meno della rabbia e dell’ignoranza e penso che voglio la pizza, anche a pranzo era cosi, e a ragionarci, ora che il futuro è il nuovo presente, basta una manciata di numeri e me la porterebbero pure in camera e “Buon appetito monsieur sono seieuroecinquanta”…chissà perché poi, quando penso a qualcuno che parla francese ha sempre il frac, papillon e baffetti del cazzo, anche se fa il fattorino per un pizzaiolo egiziano e viene in motorino, ha una scatola gialla dietro e la gente tenta di investirlo.

“Se volete è pronto!” urlano da di là, che più o meno significa ‘salsiccia con contorno di roba verde e caraffa d’acqua in tavola’ e quest’ultima a proposito, in questi giorni ha un sapore strano del tipo roccia sgretolata, polvere …chissà che ci fanno in quell’acquedotto…è sempre stata buona l’acqua ma d’altronde si può dire pure di persone e amori e vestiti, “son sempre stati buoni-cari-utili prima ed adesso son degli stronzi-merde-stracci”. Mangio, ma senza gusto…eppure tutto è sano, fresco e l’insalata e il maiale c’avevano il GPS, ai piani alti sanno quando sono nate le foglie e quando gli si è arricciato la prima volta il codino alla bestia, sanno che forbici hanno usato per sradicare il fusto e con che cosa hanno tagliato il collo al maialino…è tutto schedato e certificato e “Stanne certo…lo curavamo da tempo quel maiale e quella lattuga…non c’è nulla di strano in quella roba”

Bhe allora sono io. Io che non esco nemmeno stasera. Io che non trovo nessuno che mi entusiasmi. Io che non entusiasmo nessuno. Io che ieri stavo bene e oggi forse penso che fingevo. Io che non avevo fame “mi bastano due cracker” e che adesso “ordino una pizza”…franco-egiziana. Io carico, io depresso. Io confuso ma talentuoso. Io certo di non avere nulla di speciale. Io che non dormo e oggi un’ora di ritardo a lavoro. Io che credo di poter dare ancora tanto ma la sera “dentro non c’è nulla”. Io che scrivo perché amo farlo e io che vorrei cancellare tutto e maledico Murakami, Dick, Asimomov, Bukowski e quella agenda, la penna nera, il web, le poesie…io che vorrei vivere di pensieri semplici e matematica base…i conti facili…senza giochetti, trucchi, segreti, ossessioni, occhi, bozze, fogli di brutta, psicosi da storia, finali da ricercare in ricordi dimenticati, dialoghi, intelligenza, brillantezza…lasciare tutto…smettere di scrivere. Io che vorrei tornare a me…tornare a “Io…”.

( * ) : 116° giorno – Outside

Pillola del 228° giorno – Pessimo

La routine della pausa pranzo parte sempre dalle stesse azioni e parole, esco dall’auto e “Ci vediamo dopo” dice Teo e “A dopo” dico io, chiavi per cancello-portone-porta, quando entro butto la giacca sul divano lanciandola dalla porta della sala, accendo la TV su Italia 1 per un po’ di Studio Sport che mi faccia compagnia sonora anche se i servizi li odio…tentano di esaltare il pubblico, fanno tacere il giornalista per lasciare voce a telecronisti ultras che raccontano partite sbraitando, urlando soprannomi, ripetendo “GOOOL!” con pitch a frequenza rompighiaccio.

La cucina è tutta fatta di legno, piano bianco segnato dalla mia pigrizia che mai una volta che tiri fuori il tagliere per affettare le cose, credo sempre di potermi fermare qualche millimetro prima ed invece no, “Tac!” e solco. Saccheggio cose a caso dal frigorifero ormai vecchio e stanco…esploro ripiani e griglie alla ricerca di derivati del maiale, fette di qualcosa che per una delle sacre leggi dell’universo conosciuto, qualunque oggetto tra due pezzi di pane diventa un panino commestibile,fossero pure barre d’uranio, sempre. Malsana abitudine di mangiare poco e male, disordini alimentari e mal di pancia, finisco col riempire lo stomaco in qualche modo senza logica…un barbone che rovista nelle discariche e butta dentro un sacchetto di plastica…trangugio veloce come un’oca, bicchierone di qualsiasi liquido in giro e in 3 minuti il pranzo è finito, indigeribile.

Sulla poltrona ci sono ancora scatole, rimasugli, carta da imballaggio dei pendentipallinedecori dell’albero di Natale. Le sposto sul divano che il tavolo è ormai un laboratorio per creazioni da mercatini, regali, pacchetti, nastri, cianfrusaglie, UHU colla in stick, cartone, millerighe, velina, stoffa…non c’è più spazio. Finisco il trasloco e mi siedo. Ci metto qualche secondo a capire che sono nel silenzio assoluto, le bocche dei giornalisti si muovono ma non esce un suono.

“Ahhhhhhh” dico.

Mi sento. Ci sento…

…quindi il problema non sono io ma la scatola nera che mi sta a 45° gradi dalla faccia che come al solito, sto seduto storto per cui mi alzo e opero molto violentemente su tasti e prese Scart, cavi che non c’entrano nulla…provo anche con gli schiaffi sul fianco che so che non funzionano ma credo sia una pratica più esoterica che scientifica, con un suo perchè ma nulla…quindi passo alle combinazioni di tasti premuti che nella mia mente dovrebbero avere senso, tipo “SEARCH+VOL” o ancora “PROGRAM+MENU+MUTE”…niente di niente.

Comincio a pensare che la televisione sia stanca di vivere cosi, subire giorno dopo giorno solo TG e Studio-Stronzate e mai un film decente…quindi fa come il bambino che della scuola non ne vuole sapere, si inventa le malattie, sfrega il termometro a mercurio sulle coperte per tirare fuori poco ipotetici 39.5° di febbre. Ieri non ne voleva sapere di schiodarsi dall’uno, che noi i canali li chiamiamo per numeri, mai per nome. Due giorni fa non c’era verso di sintonizzarla su AV al punto che dopo trentasette diversi tentativi ho lasciato perdere del tutto, come adesso…che sto li a fissare impotente quelle facce silenziose…esperienza strana…perché mi credo tanto diverso ma appena qualcosa interrompe la mia vita fatta di microschemi e piccole abitudini mi ritrovo spaesato a chiedermi come il più puro dei ragionieri “Che cazzo faccio adesso?” che ho venti minuti di pausa davanti e non so mica cosa si possa fare in questi venti minuti non di tempo normale ma tempo di routine-di-pausa-pranzo e di ributtarmi sul cellulare a farmi i cazzi degli altri, infilarmi nel grigio altrui, non ne ho voglia…è una robaccia che mi sta rovinando la vita credo quindi, improvviso e prendo un libro di Charles e comincio a leggere cambiando pure poltrona, ora sto sul cesso.

C’è lui che viene richiamato da due morti dell’ufficio postale…hanno scoperto che scrive roba sconcia sulla rivista ‘Open Pussy’, dove campeggia un cazzo gigante con le gambe in copertina, e se ne sta li in un ufficio grigio, a subire critiche e domande da due impiegati statali del cazzo benvestiti e impostati, a cinquant’anni, vecchio, stanco, depravato, indifferente, sconfitto dalla vita e dal peso del mondo e non so perché, ma mi viene in mente mio padre…ieri..che mi chiama in sala e mi dice la sua idea per spingere le sue creazioni…in che canali cercare…e io che quasi stizzito, con la voce un po’ più alta come succede sempre quando sono nervoso, gli dico “Non può funzionare!” e “E’ molto complicato…difficile…impossibile…non si può fare…ma va”, tutte frasi spezza discorso-gambe-passione-speranza e ora che ci ripenso, mi chiedo perché tentare di distruggere un suo sogno per quanto piccolo…facendo il meschino senza diritto, come se volessi togliere ancora, raschiare il fondo dal barile di una vita votata al duro lavoro, al risparmio, al crescere una famiglia nella sicurezza, cibo in tavola,  tetto sulla testa…la mia testa.

Avrei dovuto ascoltare e discutere, impegnarmi anche per lui, provarci assieme, dare un cazzo di minimo sostegno cazzo…ed invece no.

A volte riesco ad essere davvero terribile.

Pillola del 176° giorno – Detriti e fango

Passa cosi poco tempo da quando mi sono infilato a letto che ancora sento in bocca il sapore di una media sette luppoli e il freddo della mattina sul petto. Il latte mi nausea come del resto quelle imitazioni estetiche di Macine Mulino Bianco sottomarca scontate del 30% che sfracello stringendole dentro il pugno come una morsa…quattro alla volta.

Buio blu, tipico delle mattine autunnali, foschia, aria rarefatta, temperatura accettabile. Infilo pezzi di maiale trattato dentro due panini freschi, posando ogni tanto dischetti di Galbanino in scadenza ’12 2013′ come fosse un pre-partita di dama.

Giubbotto ‘ brutto da venti euro saldi Sisley acquisto forse sbagliato a mia madre non piace ‘. Ancora devo capire la magia di quel specchio alla Sisley in cui ogni capo che indossavo mi piaceva particolarmente…questa giacca compresa che mi faceva sentire figo e misterioso ma in realtà mi accorcia le gambe, mi fa ancora più grosso. Look senzatetto. C’è di buono che resiste all’acqua, ha un ampio cappuccio e mi rende ancora meno raccomandabile, nella speranza di tenere lontano quante più persone possibili, in abbinamento a jeans Wampum logori da lavoro, rubati a mio padre,comprati in stock da cinque, progettati per vestire male sempre e comunque.

“Esco…”

Ma tutti dormono. Allargo le spalline dello zainetto, infilo macchina fotografica panini ed acqua, mi chiudo la porta alle spalle. Foschia e scie di macchine, aria di pioggia, il muro della stazione,un pullman carico parcheggiato davanti, due ragazzine che fumano, un ragazzo un po’ più grande con il volto viola pestaggio, finestre gialle da cui si vedono anime spezzettate che dormono su assi di alluminio, coperti di cappelli, coperte, giubbotti logori, odore insopportabile. Qualcuno ha un cane, qualcuno sta da solo con i propri brandelli mentre nel tunnel, qualcuno chiede spiccioli sotto schermi con una donna bellissima, denti bianchi, “vuoi una pelle perfetta?”, lei che si passa una mano affusolata e delicata sulla guancia “Olaz, skin day care”, per una pelle lucente ed ha gli occhi verdi ed è giovane, bella e mi piacerebbe una ragazza cosi che sorrida in quel modo solo per me e non per tutto il mondo e i vagabondi e gli sbandati in impermeabile come me ma non me e risvegliarmi con un corpo caldo e sensuale come il suo che senti muovere sfiorandolo dolcemente quando ti alzi.

“Per una pelle perfetta…” di nuovo, mentre la donna entra ed esce di scena in continuazione.

Percorro il tunnel che porta al Binario 4, bianco e azzurro, gradini umidi di pioggia, strisce di gomma gialla la voce degli avvisi preceduti da un ‘plin’ e ancora, in lontananza come una eco, “…skin…Olaz…pelle perfetta…giovane…” e nonostante tutto quello che dico con convinzione, mi accontenterei si, anche solo di un’altra anima a brandelli ma affine.

***

Mi circonda l’erba bagnata, detriti e fango mentre entro nella spaccatura di un muro in mattoni rossi, detriti e fango in una piazza con torri alte e strette da scale a spirali, macchinari morti, detriti e fango e colonne che tengono su soffitti di cento anni fa, scalinate che attraversano piani e piani e detriti e fango per duecento metri.

Persone. Persone in piedi e sedute tra detriti e fango e anche gambe lunghe e belle che come Charles io le amo le gambe e la dolcezza delle linee tese che curvano con delicatezza anche se fra detriti e fango. Stanze di un buio cosi buio che sembra pesante, odore di marcio, rifiuti, vecchiume, detriti e fango.

Quando mi allontano dalle voci e dai volti ed entro nel passato di gente che viveva e lavorava in questo enorme mausoleo dei bei tempi che furono, gli schedari, scrivanie, macchinari, porte, estintori, cartelli, avvertimenti, ora coperti da detriti e fango scopro nuovamente la legge più vera…che la natura vince sempre nonostante tutto il male che possiamo farle e il cemento che possiamo buttarle sopra. Ci sarà sempre la più minuscola crepa in cui lei infilerà l’ultima delle sue radici vive finché nasceranno piante su piante, verde dai detriti e fango e arriveranno di nuovo le foreste a circondare pilastri, metallo contorto e vetri rotti, prendendo possesso di nuovo della terra, anche fra detriti e fango, anche quando ce ne saremo andati da tempo, con le nostre anime di cemento.

Pillola del 130° giorno – Mare aperto

2:27 di mattina e non ho nessuna idea, nessun concetto di cui parlare, sdraiato in una stanza non mia, densa di oggetti non  miei e scatole non mie mentre fisso un soffitto bianco non mio. Odore di petrolio dalla valigia che mi sta a fianco che rimane nel naso, luce soffusa, dietro la testa.

Di solito i miei spazi vuoti li riempo con pensieri e parole ma oggi nulla, forse è perché ho bevuto troppo. Latte, acqua e succo d’arancia e pure frappe di banana riempito eccessivamente, che strabordava dal tappo, innaffiandomi la mano che teneva il bicchiere e poi la maglietta, come un bambino piccolo. Ho bevuto al punto che sono gonfio e rotolante come un pallone, perché ne sentivo bisogno come un tossico in astinenza e ormai tutto il mio vuoto è liquido e io senza i miei spazi vuoti pieni di tempeste non so esprimermi.

O forse, è come dice Charles, per poter scrivere devi essere o molto triste e molto felice e al momento, sono in un moto ondoso che mi tiene a galla senza troppi patemi, che per me è strano, si, non stare a fondo.

Ovvio, non sto ancora su una barca a vela in vacanza, palle al sole e gnocche in bikini, al massimo su una zattera in compagnia di un pallone da volley con una faccia disegnata sopra.

Però il mare non è tempesta, la notte è leggera e tranquilla, pesci volanti a pelo d’acqua che saltano, acqua a 15 decibel, la leggera luce di un alba che si avvicina.

Ora ci sarebbe solo da avvistare terra.

Pillola del 111° giorno – Auguri vecchio bastardo

Oggi è il compleanno di Bukowski. Non che fossi lì ad aspettare sullo scoccare della mezzanotte con un bicchiere di whiskey in mano anzi, nemmeno lo sapevo il giorno, l’ho scoperto da un link su Facebook, ricondiviso con malinconia giusto per farmi vedere, darmi un tono da figo intellettuale.

In realtà, appena sveglio stamattina, verso le dieci, ho pensato solo a non far nulla tutto il giorno. Dormire, stare sdraiato, mangiare, bere, pensare alle ragazze. Con il senno di poi è come avrebbe vissuto Henry Chinaski il giorno del suo compleanno quindi lo considero un po’ il mio omaggio a Charles.

Pensando a come scriveva, finisco ad interrogarmi su me stesso in versione scrittore. La forza di Bukowski era lo stile, perché nessuno mai aveva scritto in quel modo, che anche adesso stupisce per quanto è secco, essenziale e duro ma al contempo poetico e tremendamente descrittivo.

Mi interrogo perché “lo stile” è il mio cruccio, da sempre. Ho come l’impressione che tutto sia già stato detto in tutti i modi possibili ed il giro di parole sia sempre lo stesso, come vivere in un mondo in cui non fanno più nuove canzoni rock, perché tutte le combinazioni possibili sono già state usate.

Spesso mi chiedo se il mio stile si riconosca oppure sia solo un accozzaglia di copiature e plagi da tutti quelli che mi hanno influenzato. Chiedo agli altri e mi dicono che ho il mio stile. Mi rileggo e non lo capisco, non lo vedo. Cerco di affinarlo ma non so come si fa. È una specie di cazzo di ossessione, una fobia che accidenti, non so nemmeno se è reale.

Dovrei pensare ai contenuti non allo stile, mi dicono.

Non capiscono.

Non capiscono che io adoro non dire nulla, parlare del nulla, arrabbiarmi con il nulla.

E per farlo serve, lo stile.

“Bucoschi”, scritto come si legge

Decido di iniziare a scrivere dopo il quinto rum.

Non so perché sia cosi, magari è genetico. Magari Bukowski faceva la stessa cosa, dopo il rum numero cinquanta. Certo che non sono al suo livello, né come alcolizzato né come scrittore, non posso scrivere di amori impossibili, violenze, fallimenti e vite incredibili. Vorrei farlo? Non lo so, mica è morto felice, è morto intenso. Dovessi scegliere morirei felice forse, sempre che da uomo stupido riesca a distringuere la felicità da una giornata meno schifosa del solito.

Morire intenso è questione di iniziare a piangere da piccolo e poi smettere da grande, anche quando le cose sono gravi, e lì significa che la vita ti ha davvero picchiato forte mentre le esistenze di noi persone normali sono davvero noiose anche se noi crediamo che i nostri amori siano bellissimi e impossibili, i drammi tremendi.

Sono tutte cazzate…

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