Brava Giovanna, brava

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Pillola del 159° giorno – Oggi mi sono svegliato e desideravo le branchie…

Seduto sulla tazza, leggo da una bacheca altrui un altro aneddoto di un professore che fa giochetti con i suoi studenti, il tipico “dovete guardare la luna mica il dito”.

Coglioni.

Non so voi, ma io, ogni volta che leggo una di queste storielle, mi chiedo sempre se sia davvero accaduto, se sia sempre il solito professore che le racconta e se esistono davvero professori che fanno ste robe stile “cogli l’attimo”. Cioè, cosa insegnano? Lettere? Filosofia? Il mio professore preferito la insegnava filosofia e sapete cosa faceva? Spiegava. Poi, quando mi interrogava, si esaltava se arrivavo ai pensieri giusti, gridando “Bravo Emmanuel!” come Kant mentre quando dicevo puttanate stava zitto, guardandomi fisso da dietro gli occhiali tondi, con quella sua testa piena di barba inclinata verso il basso. Quando finivo “Non ci siamo Emmanuel…” come Kant “…stai dicendo una marea di cazzate…” diceva.

Storielle tutte uguali e inutili, una con la sabbia grossa e fine e il vaso, una con il foglio bianco e la macchia nera, una con il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto e ve ne creo altre mille o diecimila o diecimila milioni se voglio, usando le foglie delle siepi o le tessere di un mosaico, la vicina zoccola e le suore, le pagliuzze nell’occhio altrui, Indiana Jones e l’ultima crociata, partite di calcio e stadi pieni di pazzi ultras ultraviolenti, sole e raggi ultravioletti, pesci grandi in stagni piccoli o nel mare con banchi di sardine e squali, rane, scorpioni, insetti, formicai, atomi, protoni, elettroni, quark, particelle di Dio, gas perfetti. Vostra madre.

Inutili si, ma alla gente piace sta roba, le piace sentire metafore su cose che conoscono benissimo e che non possono cambiare perché di farlo…beh…non gliene frega un cazzo a nessuno. Storie lunghe o corte e barocche, piene di fronzoli e frasi che suonano bene e noi ‘scrittori’, anche se forse ‘scrittore’ è esagerato per un tipo come me, siamo Re e Regine supremi di questa disciplina e a volte, credo che se la carta parlasse potrei fare l’agente di commercio pure io, che a fottere la gente a ‘parole sonore’ invece, non sono un granché.

Io per dirvi che soffro d’amore scrivo un romanzo quando la realtà è che tutti soffrono d’amore, non dico nulla di nuovo ma dovrei uscire invece, e andarlo a confessare a chi di dovere. Figurati. Io per dirvi che sono stanco e nervoso parlo di strade asfaltate, giardini e ambienti di lavoro opprimenti. Io per dirvi che oggi fa freddo parto dai pinguini e dal rovente vulcano Samalas in Indonesia, che nel 1247 Avanti Cristoiddio ha dato via libera alla piccola era glaciale, caldo e freddo, Yin e Yang, bianco e nero, donna e uomo. Uno scrittore difficilmente dirà le cose come stanno in maniera diretta, farà dei cazzo di giri allucinanti, prendendola larga come un cieco alla guida, farcendovi di pillole narcolettiche peggio di un medico, usando termini che non capirete e che non capiscono nemmeno loro, tipo ‘IO subcosciente’ o ‘Verità’. Potreste avere qualche chance solo se lo beccate dal vivo, davanti ad una bistecca e una botte di lambrusco dolce e frizzante vuota per due terzi e tre quarti di terzo, depurato da tutta quella merda ma su carta…Non.Avete.Speranza.Alcuna.

Lo notate anche da questo pezzo dai…righe e righe di lamenti riassumibili in una frase e tanta ipocrisia su questa moda del “Carpe Diem”, che io, quello figo anticonformista, ci sono cascato e ci casco ancora. Sempre. Oh…lo ammetto, anzi, ammettiamolo tutti noi ‘scrittori’…riuscire a trovare significati e lezioni di vita banali con frasi e situazioni complicate che non c’entrano nulla è bello ed inutile, un esercizio stilistico che se poi azzecchi pure il finale con frasi ad effetto quasi quasi ci spariamo una sega. Storielle, racconti, aneddoti per far vivere meglio (ahahaha) o accendere il cervello della gente (ahahahaha!) scrivendo di utopistici stili di vita ideali. Ala fine a noi va bene cosi, a TUTTI va bene cosi, perché soffrire un po’ ci piace o almeno, a ME piace e anche fantasticare su una vita migliore MI e VI piace e finiamo nel cercare una morale anche nella lista della spesa.

“Vedo che hai preso la Nutella…forse è carenza d’affetto e vuoi spalmare quella piccola puntina di dolcezza che tieni sul freddo coltello della vita reale…che punta alla tua serenità come spada di Damocle….sopra la vasta superficie del tuo cuore spezzato…”

“No…è che mi piace quella cazzo di Nutella brutto idiota…”

Tipo, ora vi racconto che stanotte mi sono svegliato alle 4:48 che accidenti, sta diventando un appuntamento fisso che mi dà sui nervi, mi sveglio affannato, controllo l’ora e mi dico “bene, ho altre due ore da dormire” ma la realtà è che tutto comincia a diventare scomodo. La spalla è scomoda e te la vorresti togliere, poi il gomito diventa scomodo, le palle e il pisello pure, via anche quelli e la gamba con quel ginocchio dolorante e il malleolo che tocca dentro il bordo del letto, via! Poi togli il busto che non respiri bene, sembri in apnea sott’acqua e desidereresti le branchie e ti accorgi che alla fine quelle due ore le dormiresti con solo la testa ghigliottinata dentro una cesta di vimini rivoluzionaria, dopo la presa della Bastiglia.

“Bonne nuit!”

“Dovrei prenderla una pastiglia…sonnifero…” penso, e sono le 5:32. Prima, sognavo di una stanza con gente deforme, gobba, sformata e mutante che mi toccava e mi cingeva continuamente, portandomi a spasso con le loro braccia multiple, bocche multiple, nasi deformi, bubboni, corpi devastati con carne a vista ed ero fin troppo sicuro che mi avrebbero contagiato con la loro grottesca apparenza, facendomi diventare brutto a mia volta, deforme e con le branchie, ancora, come loro…come se la parte più nascosta e reale che tengo dentro in sacche piene di acido gastrico cucite sottopelle venisse fuori, rivoltato come un calzino o un K-Way double-face o “dublefas!” che fa tanto francese; di nuovo me stesso, libero da barriere, brutto come sono davvero, cappello a cilindro, bastone, sorriso storto davanti allo specchio del bagno, orrendo ma vestito elegante, pronto a presentarmi di nuovo al mondo.

“Bonne soirée!”

Quando mi alzo, dopo quelle due ore di non-sonno passate a rigirarmi in un talamo scomodo con tutte quelle parti di corpo di colpo inutili, penso solo al cibo, con la speranza che i cereali siano davvero finiti per concedermi gustosi biscotti inzuppati nel latte, con gocce di cioccolato che si sciolgono, roba che in regime di allenamento estremo viene abolita ma se non c’è altro da mangiare d’altronde…magari…no…niente…ci sono invece…eccoli…il recipiente è stracolmo di fiocchi, si erge come un silos marchiato Kellogs sulla tovaglia a fiori che la odio quella plastica decorata, troppi girasoli.

Nel bagno dopo, deluso per i fiocchi d’avena, con la luce accesa e il buio fuori e il freddo leggermente percettibile, mi lavo, mi asciugo. Accendo il vecchio Caldobagno, che funziona ancora perfettamente nonostante l’età, sempre pronto ad aiutarmi nei momenti di parziale ipotermia, con quella sua sembianza da Darth Vader poco rassicurante.

Mi ci piazzo davanti, le mani sul volto e per un po’ gli occhi li tengo chiusi. Poi, comincio a guardare attraverso la fessura che ho lasciato tra le due mani, fissando la luce rossa accesa su quel bottone di plastica, con i bordi delle dita tutti sfuocati, ringraziando di avere un rovente e vulcanico Caldobagno trattato bene e che ‘funziona ancora perfettamente nonostante l’età’, sapendo che da ora in avanti i secondi, i minuti, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni saranno sempre più freddi, come una nuova piccola era glaciale.

Sto lì, in quella posizione, ancora qualche istante…

Beh? Quindi? Qual è la morale?

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Half Job

Ieri è morto Steve Jobs, una cosa che sapete sicuramente tutti, come saprete chi è, cosa ha fatto; la sua morte mi ha dato parecchio da pensare . Sapete, credo che sia la dimostrazione di quanto siamo piccoli e fragili di fronte agli eventi. Puoi essere un genio, avere miliardi di dollari ma nello stesso tempo, essere l’uomo più impotente e vulnerabile del mondo.

Probabilmente anche questo pezzo finirà come gli altri, stupide lezioni di vita, melense, ascoltate e lette centomila altre volte, un remake del “cogli l’attimo” stra-abusato. Io però vorrei crederci davvero, sforzarmi, e applicare nella mia vita tutto questo.

Jobs è morto a 56 anni, io ne ho 28, la metà esatta. Ho una frazione del talento e delle capacità di Jobs e nessuna possibilità di creare e sconvolgere il mondo come lui ha fatto. Però, sono sicuro che Steve (scusa, mi permetto di chiamarti cosi, come se fossimo amici), avrebbe rinunciato a tutto quello che ha creato, i soldi, la fama e il successo, per poter godere di altri 10 anni di tramonti, di onde che si infrangono sulle rocce, sguardi di donna, sorrisi, lacrime, foreste, i mille sapori del mondo.

Perchè è questa la verità.

Io solo ora sto cogliendo le prime soddisfazioni; il mio primo grosso progetto per un cliente importante, le mie foto che hanno successo e sinceri apprezzamenti da gente che fino a ieri consideravo mostri sacri inavvicinabili e intoccabili…

Però quando cerco di ricordare il pensiero felice, quello che in ‘Hook, capitano uncino’ ti permetteva di volare, ecco, non mi vengono in mente le soddisfazioni economiche e personali ma solo una notte di ferragosto, con mezza bottiglia di Rum in corpo, la luna che rischiarava la spiaggia, i fuochi d’artificio lontani e io che chiacchero con un amico mentre galleggio nel mare, calmo e caldo.

Felice.

Davvero, non serve altro.

Riflessioni/rifrazioni/direzioni

Sono al telefono con un’amica. Le voglio bene, anche perchè spesso ci ritroviamo nelle stesse situazioni e ci diciamo le cose che vogliamo sentirci dire. Periodo difficile per lei, come per me. Sono risoluto, logico, pragmatico, forse anche duro quando le parlo, ma è quello che al momento le serve ed è anche quello che al momento MI servirebbe, ma con me stesso non riesco ad esserlo.

La fine e l’inizio

Da quanto i giorni si somigliano? Non li conto da un po’ ma sono tanti.

Non è la pioggia, il freddo, la nebbia, il sole, le nuvole, le persone. Niente di tutto cio’ che rende un giorno diverso dagli altri. La differenza è dentro di noi, quando succede qualcosa o peggio, quando non succede niente. Non solo routine, ma il “vuoto” di qualcosa che ti manca e che non ci sarà. Sogni la notte, lo immagini continuamente, decine di futuri alternativi in cui davvero le cose funzionano, ma poi ti svegli e nulla. Nessuno di quei futuri è reale, non lo sarà mai, c’è solo il presente e l’inedia di cui soffre.
Allora succede che fissi un foglio bianco per giorni. Cominci dopo aver fissato il telefono, uno schermo, un nome, e dopo che capisci che le vie si sono davvero separate ti rimane solo quel foglio bianco. I giorni scorrono, sempre uguali, sempre infelici e quel foglio rimane bianco, lindo, intonso.

Into the “Why?”

“No cosi sbagli…devi usare questa…”

Manu mi stava parlando, nella sua mano una spugna morbida. Sorride, nonostante il delitto che sto commettendo ai danni della pentola di alluminio.

“Cazzo scusa…non so dove ho la testa oggi”

Metto giù la paglietta metallica e con la spugna ricomincio a togliere le incrostazioni bruciate dalla padella.

“Non so come ho fatto a bruciare tutto…”

“…e a usare le cose sbagliate per ripulire” mi sorride Manu.

“Già…anche quello…”

“A cosa pensi?”

Quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta bartali.

Oggi ho preso ferie.

Che siccome mi pareva brutto stare davanti al pc pure dopo aver preso ferie, anche se ammetto di essere stato molto tentato, ho deciso di andare a fare un giro in bici.
Saranno stati minimo 2 mesi che non inforcavo una bicicletta, e prima di quella occasione chissà quanto tempo.
Oh, che poi pare che facciamo apposta ma anche in questo racconto si parla di binari. Sarà un caso che ci li abbiamo tutti vicino casa. Che uno va in ferie per non averci a che fare coi binari e si ritrova ad averci problemi lo stesso. Che poi pensavo, i binari si chiamano binari perché sono due, ma uno senza l’altro non può essere un binario. In due sono binari, in uno non sono nulla, al massimo una lunga rotaia di ferro. Non vi pare?

La sconfitta è un’illusione

La vecchia stazione, gialla a righe rosse era abbandonata da tempo. Le porte con vetri in frantumi e vernice scrostata, graffiti all’interno e vecchi distributori di merendine completamente sfondati.
I binari arrugginiti aspettavano treni che non sarebbero più passati e delle tre panchine sulla banchina passeggeri solo una conservava una qualche utilità.

Su questa panchina sedeva un vecchio.

Out of Memory

Esco a trovare un po’ di amici. 5 euro dentro il portafogli e la carta bancomat. Apro il portone e la strada è bagnata, la luce dei lampioni rivela una pioggia finissima ma insistente. Salgo in macchina, direzione banca. La solita dove vado a fare bancomat anche se non è la filiale dove mi servo. Secondo me là dentro hanno la mia foto con su scritto “WANTED”. Saranno 5 anni che faccio regolarmente bancomat lì e non ho mai visto la faccia di un impiegato. Ci sono andato anche la settimana scorsa, quando ho ritirato 50 euro senza problemi. Infilo la tessera, guardo il tastierino e solo una frase nella testa: “e adesso quale cazzo è il codice?”

La magica strettoia

Strana la vita. Mi ritrovo ad aspettare quando di solito corro. Ho 3 vecchietti davanti a me all’uscita da un cinema, camminiamo lungo una strettoia di qualche metro ma stranamente, rimango dietro, tengo il loro passo e non li supero imprecando come farei di solito. La cosa mi stupisce, è forse un segno?

50 sporchi millisecondi

TLAC!

Incredibile come un semplice gesto, piccolo, istantaneo e banale possa trasformarsi in tragedia

TLAC!

Quanti destini sono cambiati per un gesto, vite spezzate da un pollice verso, città distrutte da un pulsante premuto, destini stravolti da una semplice firma…

TLAC!

Che Dio maledica i piccoli, istantanei e banali gesti. 50 dannati millisecondi.

Destra o sinistra?

‘Ce l’ha con me?’

La ragazza stava gesticolando verso la mia direzione. Mi giro; tutti gli altri passeggere del pullman sono tranquillamente seduti, l’unico in piedi e girato verso la strada sono io.

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