Brava Giovanna, brava

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Inchiostro antipatico

Sei il ricalco di una pagina strappata, invisibile alla vista e irriconoscibile al ricordo. Non sei altro che le lettere confuse di parole illeggibili scritte senza inchiostro sopra alle righe di una pagina non loro. Parole che non hanno più senso, che evocano solo da lontano la forza che hanno avuto un tempo, parole bianche, trasparenti, innocue. Parole già dimenticate e di cui nessuno si curerà più: né io, né tu. Parole vuote, mancate, rinnegate perfino.

Slow Forward < >

Un’altra giornata di pioggia incessante, pesante, molesta, fredda e fastidiosa.

Sorpasso i momenti difficili, credo di ritrovare la via, la serenità, di poter ambire di nuovo ad un pezzo di felicità che credo di meritare e poi…di nuovo…basta un temporale, due gocce, un’immagine, due righe e tutto reinizia da zero, come se oggi fosse 2-3 mesi fa.

Ma quindi a che serve lo scorrere del tempo? Se quello che costruisci si distrugge con un soffio di vento dopo giorni, settimane e mesi che ci provi?

Il viaggio (fasten seat belts while seated)

Ho un’infinita distesa di asfalto davanti a me, la pista di atterraggio. Lucida di pioggia, un pallido sole che illumina le pozze d’acqua e i mezzi color arancione, fermi, inoperosi, disposti quasi senza cura su quell’enorme manto nero. Attorno a me, gente poco entusiasta attende l’apertura dell’imbarco D10, che in uno sforzo di fantasia spirituale leggo come “Dio” ma che in realtà, è solo un imbuto grigio e giallo che si innesta in una triste torre disseminata di oblò. Manca ancora un’ora alla partenza.

La playlist casuale è spietata anche oggi, sembra scelta apposta per farmi stare male anche quando dovrei essere contento di tornare a “casa”, da chi mi ama, mi ascolta, mi accoglie. Triste non per quello che lascio, ma solo per quello che non troverò, una volta tornato. Arriva altra gente, qualcuno è già all’entrata dell’imbarco, come ad un concerto, per prendere i posti migliori sull’aereo. Dovranno stare in piedi per un po’ ma soprattutto…ne vale davvero la pena? Un’ora in piedi per avere un’ora di finestrino, probabilmente addormentati e annoiati, con gente affianco che nemmeno conosci. No, non credo…

La fine e l’inizio

Da quanto i giorni si somigliano? Non li conto da un po’ ma sono tanti.

Non è la pioggia, il freddo, la nebbia, il sole, le nuvole, le persone. Niente di tutto cio’ che rende un giorno diverso dagli altri. La differenza è dentro di noi, quando succede qualcosa o peggio, quando non succede niente. Non solo routine, ma il “vuoto” di qualcosa che ti manca e che non ci sarà. Sogni la notte, lo immagini continuamente, decine di futuri alternativi in cui davvero le cose funzionano, ma poi ti svegli e nulla. Nessuno di quei futuri è reale, non lo sarà mai, c’è solo il presente e l’inedia di cui soffre.
Allora succede che fissi un foglio bianco per giorni. Cominci dopo aver fissato il telefono, uno schermo, un nome, e dopo che capisci che le vie si sono davvero separate ti rimane solo quel foglio bianco. I giorni scorrono, sempre uguali, sempre infelici e quel foglio rimane bianco, lindo, intonso.

Sigh No More: una storia d’amore

I portici sono la rovina di Varese. Migliaia di persone che scorrono, fluiscono e vivono dentro quei confini fatti di negozi e colonne. Asettici come corridoi di ospedale, angusti come recinti di filo spinato.

Se solo la gente vedesse il vero volto di Varese, i tetti, le facciate dei palazzi…

Non vedrebbero lo squallido grigiore che solo immaginano ma i colori pastello, superfici diverse che si intrecciano, ricami, gargoyles di bronzo ossidato, balconi che si lanciano in motivi floreali, mattoni multicolore e alberi…sullo sfondo, lungo i viali, sui tetti stessi. Se fotografassi solo questi particolari, gente che vive in questa città da anni non la riconoscerebbe, perchè ormai non guarda più in alto ma solo per terra, sempre più concentrata sui problemi materiali, sul sopravvivere, sullo stare sotto i portici.

Qualcosa non va

“Qualcosa non va…”

Sveglio, solita ora, ma qualcosa non va.

La colazione ha lo stesso sapore di ogni mattina ma è come stare a digiuno. Il tempo è ottimo ma non ti importa, perchè qualcosa non va.

“Non pensarci…fa che la routine ti inglobi, lasciati prendere dalle azioni di ogni giorno, concentrati e non pensare…”

Dicono che

Dicono che sono simpatico, sarà per questo che mi scambiano per un buffone.
Dicono che sono puntuale, ma c’è una volta che mi hanno aspettato?
Dicono che sono un buon amico, ma fanno presto a dimenticarsene se commetto un errore.
Dicono che se non ci fossi bisognerebbe inventarmi, dato che ci siete ditemi anche il motivo.
Dicono che sono una persona speciale, ecco perché faccio fatica tra persone normali.
Dicono che sono brillante, ho il dubbio di vivere in un mondo di ciechi.
Dicono che scrivo bene, c’è qualcuno che abbia mai veramente letto?
Dicono che sono unico…hai voglia a cercare.

I castelli costruiti in aria sono crollati

Avere un castello è una cosa importante per un paese, soprattutto se non è un granchè, come il mio. Per vederla come una metafora di un amore adolescenziale, è come l’unico ragazzo della compagnia con il motorino o con il macchinone. Insomma, non maschera gli altri difetti ma ad un primo appuntamento sicuramente fa colpo.
La pioggia che bussava insistentemente sulla stoffa del mio ombrello come un venditore di enciclopedie, si è rassegnata, lasciando spazio ad una piacevole pioggerella. La salita che sto percorrendo, porta al castello dei Medici che domina il resto del paese da una collina. Non è una strada particolarmente lunga o difficile anche se tortuosa.

Ricordo che quando ero bambino, la gita verso il castello era un’avventura. Per le mie gambe corte, la salita durava un’eternità, con lo zainetto per la merenda, e la maestra che invitava tutti a stare sulla destra.
Era il periodo dei “che cosa farai da grande?” al quale tu rispondevi “L’astronauta” o “l’ingegnere” o ancora “il pilota di formula uno”. Incredibile come chi me lo chiedeva allora, ancora oggi ogni tanto mi rifà la stessa domanda, e io mi ritrovo molto più insicuro di quando ero un bambino. Spesso rispondo con un triste “non lo so”. Perchè?

Uno di quei giorni

Oggi è uno di quei giorni in cui smetto di sentirmi un pugile che si rialza ad ogni colpo e sono solamente il punchingball inerme di qualcun altro.
Oggi è uno di quei giorni in cui mi circondo di persone perché attorno mi sembra tutto così vuoto.
È uno di quei giorni in cui non smetto di guardare la montatura sfocata sul naso, e fintanto che mi fisso sulla prima cosa che vedo non riuscirò mai ad andare oltre.

Il nastro adesivo

E ti svegli un giorno nel quale ti accorgi che non hai capito niente. Che la vita non è logica e non ha logica, e che le persone sono solo una matassa di cui non esiste bandolo. Siamo dei boomerang fuori controllo. Ti accorgi un giorno che hai vissuto secondo uno schema impreciso disegnato su un modello sbagliato. Che la tua immagine riflessa sul vetro è più nitida di quella del mondo che sta oltre e che non riesci a metterle mai a fuoco tutto e due insieme. Come se non fossero parte della stessa esistenza, come due vite appiccicate a forza una sull’altra ma che non possono aderire.

Che le parole, le relazioni, le speranze, le illusioni, i progetti, i pianti, le gioie, le paure, le certezze, non siano servite ad altro che a tenerti impegnato e a distoglierti da una verità che è meglio ti sia negata e che persino tu ti sei negato. Una verità che hai sospettato più volte e che hai ricacciato indietro con la scusa di vivere.

E ti riaddormenti quel giorno con l’amara consapevolezza che, nonostante tutto, continuerai a rigirare all’infinito quel rotolo di nastro adesivo tentando inutilmente di grattarne il capo con l’unghia. E che forse a te, va bene così.

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