È da qualche giorno che ci penso e adesso sento di dover condividere questa riflessione con voi.
Perché ci sono alcune parole che nell’altro genere significano tutt’altro? Tipo “cavalletto” che diventa “cavalletta” e passa da tre gambe a sei zampe. O porto che diventa porta, o caso che diventa casa.
“Eh ma che discorsi sono – direte voi – sono sostantivi, mica aggettivi che gli dai il genere.”
No, non sono sostantivi, sono errori, complicazioni. La lingua italiana non ne ha bisogno.
Prendete la parola “strada”. Ecco, strada è un bella parola. Non c’è lo strado, non c’è il macchino, non c’è il ruoto. Queste sono parole che sanno quello che sono.
Non questi nomi transessuali che non sono quello che sembrano.
Non sono né carno né pescia. Provate a vestirvi voi con un maglio, per dire, o a portare il grano in banca. Che poi, pure banca, vedete quante diavolo ne sono?