Vivo confinato in un universo che a ben vedere si riduce alla mia scatola cranica.

In questo momento di assoluto far nulla a lavoro, propizio direi, me la misuro più o meno con un metro facilitato dalla più o meno assenza di capelli e il risultato è un più o meno 24 x 24 x 17 che se lo moltiplico esce 10368, un numero come tanti anzi, come infiniti.

A pensarci bene l’infinito è un concetto strano che se voglio star male masochisticamente, comincio a immaginare di andare oltre un confine e ipotizzarne l’aspetto, la sensazione di un qualcosa che non finisce. Non ce la faccio, arrivo sempre in un punto in cui il bianco finisce e inizia il nero, un ulteriore sforzo e quel bianco si riversa nel nero come latte nella cioccolata fondente, un’onda, uno scalciante cavallo pazzo liquido ma prima o poi arrivo sempre ad un limite oltre cui il pensiero non riesce proprio ad andare.

A che serve l’infinito…a nulla credo, quindi forse è anche logico pensare che da qualche parte ci sia una staccionata, un cartello “torna indietro”, un segnale che ti indichi “strada interrotta”.

Ma se ci arrivassi e vedessi oltre, cosa vedrei?

Se non posso immaginare l’infinito è ancora peggio pensare al nulla e magari alla fine risulta che infinito e nulla sono equivalenti.

Se mi immagino il nulla lo vedo bianco. Quindi penso all’infinito che è finito come nero. A questo punto, dove finisce il finito infinito nero inizia l’infinito bianco nulla, a meno che anche il nulla non finisca e ci sia solo una cosa trasparente o di un colore che non esiste dove anche te se ci entri non esisti. Una specie di “più nulla”.

Ragioniamo per spazi chiusi ecco la verità; cubi tridimensionali, sfere mentre invece, forse, l’universo è una figura geometrica nuova, una specie di riccio senza lati esterni ma infinite linee che si propagano in direzioni diverse, in cui l’interno in realtà è l’esterno, un universo-riccio con dentro un mare bianco con almeno 10368 linee nere, che partono dritte e dopo 10368 miliardi di chilometri cominciano a rilassarsi, curve e sinuose da seguire per sempre, infinite per davvero.

Non dovrei lamentarmi delle cose che non cambiano se i momenti di riflessione li spreco cosi.