È mal digesto

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Pillola del 176° giorno – Detriti e fango

Passa cosi poco tempo da quando mi sono infilato a letto che ancora sento in bocca il sapore di una media sette luppoli e il freddo della mattina sul petto. Il latte mi nausea come del resto quelle imitazioni estetiche di Macine Mulino Bianco sottomarca scontate del 30% che sfracello stringendole dentro il pugno come una morsa…quattro alla volta.

Buio blu, tipico delle mattine autunnali, foschia, aria rarefatta, temperatura accettabile. Infilo pezzi di maiale trattato dentro due panini freschi, posando ogni tanto dischetti di Galbanino in scadenza ’12 2013′ come fosse un pre-partita di dama.

Giubbotto ‘ brutto da venti euro saldi Sisley acquisto forse sbagliato a mia madre non piace ‘. Ancora devo capire la magia di quel specchio alla Sisley in cui ogni capo che indossavo mi piaceva particolarmente…questa giacca compresa che mi faceva sentire figo e misterioso ma in realtà mi accorcia le gambe, mi fa ancora più grosso. Look senzatetto. C’è di buono che resiste all’acqua, ha un ampio cappuccio e mi rende ancora meno raccomandabile, nella speranza di tenere lontano quante più persone possibili, in abbinamento a jeans Wampum logori da lavoro, rubati a mio padre,comprati in stock da cinque, progettati per vestire male sempre e comunque.

“Esco…”

Ma tutti dormono. Allargo le spalline dello zainetto, infilo macchina fotografica panini ed acqua, mi chiudo la porta alle spalle. Foschia e scie di macchine, aria di pioggia, il muro della stazione,un pullman carico parcheggiato davanti, due ragazzine che fumano, un ragazzo un po’ più grande con il volto viola pestaggio, finestre gialle da cui si vedono anime spezzettate che dormono su assi di alluminio, coperti di cappelli, coperte, giubbotti logori, odore insopportabile. Qualcuno ha un cane, qualcuno sta da solo con i propri brandelli mentre nel tunnel, qualcuno chiede spiccioli sotto schermi con una donna bellissima, denti bianchi, “vuoi una pelle perfetta?”, lei che si passa una mano affusolata e delicata sulla guancia “Olaz, skin day care”, per una pelle lucente ed ha gli occhi verdi ed è giovane, bella e mi piacerebbe una ragazza cosi che sorrida in quel modo solo per me e non per tutto il mondo e i vagabondi e gli sbandati in impermeabile come me ma non me e risvegliarmi con un corpo caldo e sensuale come il suo che senti muovere sfiorandolo dolcemente quando ti alzi.

“Per una pelle perfetta…” di nuovo, mentre la donna entra ed esce di scena in continuazione.

Percorro il tunnel che porta al Binario 4, bianco e azzurro, gradini umidi di pioggia, strisce di gomma gialla la voce degli avvisi preceduti da un ‘plin’ e ancora, in lontananza come una eco, “…skin…Olaz…pelle perfetta…giovane…” e nonostante tutto quello che dico con convinzione, mi accontenterei si, anche solo di un’altra anima a brandelli ma affine.

***

Mi circonda l’erba bagnata, detriti e fango mentre entro nella spaccatura di un muro in mattoni rossi, detriti e fango in una piazza con torri alte e strette da scale a spirali, macchinari morti, detriti e fango e colonne che tengono su soffitti di cento anni fa, scalinate che attraversano piani e piani e detriti e fango per duecento metri.

Persone. Persone in piedi e sedute tra detriti e fango e anche gambe lunghe e belle che come Charles io le amo le gambe e la dolcezza delle linee tese che curvano con delicatezza anche se fra detriti e fango. Stanze di un buio cosi buio che sembra pesante, odore di marcio, rifiuti, vecchiume, detriti e fango.

Quando mi allontano dalle voci e dai volti ed entro nel passato di gente che viveva e lavorava in questo enorme mausoleo dei bei tempi che furono, gli schedari, scrivanie, macchinari, porte, estintori, cartelli, avvertimenti, ora coperti da detriti e fango scopro nuovamente la legge più vera…che la natura vince sempre nonostante tutto il male che possiamo farle e il cemento che possiamo buttarle sopra. Ci sarà sempre la più minuscola crepa in cui lei infilerà l’ultima delle sue radici vive finché nasceranno piante su piante, verde dai detriti e fango e arriveranno di nuovo le foreste a circondare pilastri, metallo contorto e vetri rotti, prendendo possesso di nuovo della terra, anche fra detriti e fango, anche quando ce ne saremo andati da tempo, con le nostre anime di cemento.

Pillola del 167° giorno – Tempesta dentro

Ieri la natura ci ha preso a schiaffi sconvolgendo la civiltà dal mio paese tutta la sera e la notte, lasciandomi a pregare per delle lampade ad olio mentre gli alberi venivano spazzati via, le mie persiane picchiate come in un interrogatorio. Una festa di luce e frastuono.

Sono riuscito a cenare grazie a piccoli scampoli di elettricità che riuscivano ad alimentare il forno quel tanto che bastava per riscaldare il cibo, sono riuscito a vedere dove stava il mio spazzolino da denti grazie alle energie luminose residue di un cellulare vecchio e stanco, mi sono infilato a letto, alle 22:37, esasperato dal buio e dai quei ritorni di lampi ed eco di tuoni che non permettevano nessuna delle mie abitudini standard, che fosse leggere, annoiarmi di fronte ad una tv o fissare un muro bianco illuminato da luce artificiale. Mi sono sentito sconfitto, senza idee, mutilato.

Turbolento fuori e turbolento dentro, con sogni dei più variopinti fino a quello finale, io che dentro un bunker buio, dai grandi archi larghi in pietra rossa, intravedo una bellissima ragazza bionda, prima vestita con una camicia militare verde e capelli lunghi tenuti dietro poi, sopra di me, leggera e sensuale, nuda e dai seni piccoli e la vita stretta, sempre più attaccata al mio corpo perché la stringo e ascolto il respiro accelerato, la bacio e la tocco finché non mi fermo. Apre gli occhi, abbassa la testa e mi guarda in silenzio, delusa. Non capisce ma a me non importa…guardo in basso e c’è una ferita dai contorni bianchi che si propaga e mi spaventa vederla cambiare forma, sempre più grande. Sento freddo poi, noto qualcosa, una presenza. Guardo di fianco e ci sono i miei, seduti assieme su un divano come quando guardano la tv la sera e ora fissano qualcosa, assieme. Non guardano me, non guardano noi, ma un angolo ancora più buio, in fondo, dove non riesco a girare lo sguardo. Mi alzo e scosto la bionda che rimane nuda a fissarmi, seduta a terra su un pavimento di pietra grossolano e pieno di crepe e fughe irregolari. Le volto le spalle, giro oltre il pilastro che sta dietro di me, arrivo ad una porta…

Sveglio.

Il vaso in bronzo dorato dove teniamo gli ombrelli e che spesso uso da cestino è ribaltato sul sentiero, un ombrello giallo volato via che se ne sta cadavere sul prato, l’asfalto disseminato di rami, foglie e aghi di pino. Milioni di aghi di pino, come se anche per i ‘sempreverdi’ fosse arrivato l’inverno. Il cielo però, oggi è sereno e non c’è più nulla del viola dei lampi, nulla dell’elettricità e del vento senza controllo che arriva da tutte le direzioni massacrando case, macchine, ma anche animali e piante, come se fosse una punizione per essersi fatti corrompere, infilati in cuccie, case, giardini ed aiuole.

Esco all’una di pomeriggio per la pausa e il sole splende in un cielo ciano. In macchina, mentre torno a casa, una cavalletta verde brillante si appoggia sul parabrezza e cammina incurante delle frenate, del muro d’aria, del coefficiente di penetrazione aerodinamica, delle spazzole del tergicristallo che cercano di allontanarla e schiacciarla.

“No lascia…” faccio a Teo

La natura ha fatto pace, inutile provocarla.

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