Brava Giovanna, brava

Tag: pensieri Pagina 1 di 2

Pillola del 235° giorno – Dovrei smettere…

Un mio caro amico, quello “che è da fuori che lo vedi” ( * ) mi invita a cliccare mi piace su una pagina…è di un tizio che scrive un diario, ogni giorno e tiene pure un sito…leggo i primi pezzi e fanno cagare, lo stile è pessimo per non dire inesistente, sembra che non abbia idea di come iniziare…ha qualche picco ogni tanto ma si contraddice…è un po’ ipocrita, scostante nelle parole e nei pensieri, uno sbandato e pure la pagina non è pure tenuta granché bene… link automatizzati senz’anima incollati da super-server calcolatori, nessun confronto e nessun dialogo…nessun commento che a sto punto la domanda me la faccio…chissà se legge davvero…la gente…se davvero legge questa roba….la mia roba.

Scrivere ogni giorno è uno schifo. Complicato, perché come dice Charles, si scrive quando stai molto bene o molto male e io spesso mi ritrovo nel mezzo o un poco sopra…o un poco sotto…quindi mi costringo…cosa può uscire di buono da questo? Logorante, i pensieri si moltiplicano e gli occhi appena svegli vanno a scandagliare ogni cosa per immagazzinare che non si sa mai….se va male e alle 23 fissi il soffitto, col vuoto dentro tutti i tuoi spazi, puoi usare il cadavere di quell’insetto morto sul vetro per scrivere di qualcosa, o parlare di quel vecchio caduto dalle scale o il fatto che ami qualcuno di impossibile, sempre che sia di ‘qualcuno’ che tu sia innamorato e non di un ‘qualcosa’ o un ‘perché’ o solo di un ‘quando’. L’ossessione per raffinare lo stile e distinguerti…ti mangia il cervello…vai in giro e leggi e chiunque scriva un po’ bene diventa un nemico, parti con la conta delle righe altrui, media degli articoli, conteggio dei giorni manco avessi il ciclo…come se dovesse fottermene molto di questi, di inesistenti concorrenti…per cosa poi…che premio? Soldi? Folle urlanti? Groupies da monta? Non c’è nulla da conquistare, è solo pura ossessione. Ossessione. Per verbi e ripetizioni, ossessione per licenze poetiche, ossessione per sinonimi e contrari, ossessione su argomenti e giochi di parole, ossessioni per ‘e’ accentate nel modo giusto. Tentativi di tenersi alla larga dei cliché, obbligo di calibrarti per chi ti legge…

“Ci sono sia amici che sconosciuti quindi mai nomi…o dire cose troppo vere o troppo false ma mentire sempre e comunque in un modo o nell’altro”

…tra le ossessioni e i pezzi di carta, che uno pensa che sia la via di fuga perfetta…la carta e la penna, scudo e spada…ma son pareti lisce…senza porte…che poi, tutto sommato, è un po’ com’è la mia vita davvero…pareti, carta e cartone, bianco e vuoto in giro…normale che la scrittura lo rifletta…che se viene da qualche parte lì in fondo, dove nasce tutto questo non è che ci puoi fare molto a meno di non inventarti storie false, di successi che non ci sono, di posti mai visti, persone che non esistono, romanzi mai scritti e amori poi, che manco ci credi all’amore.

Esagero lo so…tranquilli, succede quando non sono nemmeno costretto a stare attento a dove metto i piedi e posso anche solo guardare fisso in avanti finché la macchina non si ferma a destinazione, uno, due minuti dopo…la mente corre e crea catene su catene prendendo il peggio…ci rimbalzo periodicamente in queste serate da insofferenza e quella diventa nervoso e il nervoso fame ed entrando in casa già si mischia con la rabbia…Madre è ancora malaticcia ma come ogni sera prepara da mangiare orgogliosa, saluto e me ne vado di là che sento il diavolo che vuole lamentarsi e dire “cavolo speravo fosse pronto…ho fame cazzo” ma mi trattengo, sarebbe ingiusto ed è una cosa che sto riuscendo a combattere…il buttare addosso gli altri i momenti di estremo me stesso dico, quando divento odioso…quando sono una merda. Mi concentro sulla fame, che a sto punto della storia umana ancora uccide meno della rabbia e dell’ignoranza e penso che voglio la pizza, anche a pranzo era cosi, e a ragionarci, ora che il futuro è il nuovo presente, basta una manciata di numeri e me la porterebbero pure in camera e “Buon appetito monsieur sono seieuroecinquanta”…chissà perché poi, quando penso a qualcuno che parla francese ha sempre il frac, papillon e baffetti del cazzo, anche se fa il fattorino per un pizzaiolo egiziano e viene in motorino, ha una scatola gialla dietro e la gente tenta di investirlo.

“Se volete è pronto!” urlano da di là, che più o meno significa ‘salsiccia con contorno di roba verde e caraffa d’acqua in tavola’ e quest’ultima a proposito, in questi giorni ha un sapore strano del tipo roccia sgretolata, polvere …chissà che ci fanno in quell’acquedotto…è sempre stata buona l’acqua ma d’altronde si può dire pure di persone e amori e vestiti, “son sempre stati buoni-cari-utili prima ed adesso son degli stronzi-merde-stracci”. Mangio, ma senza gusto…eppure tutto è sano, fresco e l’insalata e il maiale c’avevano il GPS, ai piani alti sanno quando sono nate le foglie e quando gli si è arricciato la prima volta il codino alla bestia, sanno che forbici hanno usato per sradicare il fusto e con che cosa hanno tagliato il collo al maialino…è tutto schedato e certificato e “Stanne certo…lo curavamo da tempo quel maiale e quella lattuga…non c’è nulla di strano in quella roba”

Bhe allora sono io. Io che non esco nemmeno stasera. Io che non trovo nessuno che mi entusiasmi. Io che non entusiasmo nessuno. Io che ieri stavo bene e oggi forse penso che fingevo. Io che non avevo fame “mi bastano due cracker” e che adesso “ordino una pizza”…franco-egiziana. Io carico, io depresso. Io confuso ma talentuoso. Io certo di non avere nulla di speciale. Io che non dormo e oggi un’ora di ritardo a lavoro. Io che credo di poter dare ancora tanto ma la sera “dentro non c’è nulla”. Io che scrivo perché amo farlo e io che vorrei cancellare tutto e maledico Murakami, Dick, Asimomov, Bukowski e quella agenda, la penna nera, il web, le poesie…io che vorrei vivere di pensieri semplici e matematica base…i conti facili…senza giochetti, trucchi, segreti, ossessioni, occhi, bozze, fogli di brutta, psicosi da storia, finali da ricercare in ricordi dimenticati, dialoghi, intelligenza, brillantezza…lasciare tutto…smettere di scrivere. Io che vorrei tornare a me…tornare a “Io…”.

( * ) : 116° giorno – Outside

Pillola del 234° giorno – Me la sono presa a Scart

A lasciare il foglio in bianco ci farei una figuraccia c’è da crederci, ma ho una specie di amnesia e son nervoso e tentato, che mentre trangugiavo spaghetti serali cosi lontani dal mio ideale di dieta, ancora una volta…ma guarda…mi figuravo IO nella medesima posizione in cui mi trovo adesso che trapanavo la tastiera con una storia appena creata in testa, tra un pomodorino e uno spaghetto al dente.

Però adesso niente, forse c’entrava con quel “addormentato in piedi come una carrozza” urlato dal Faraone a chissachi che mi ha fatto ridere a lavoro, forse col fatto che avrei visto Independence Day stasera, che uscire no che costa e c’è da tirare la cinghia e tanto la macchina non c’è, che quella dei miei sta all’ospedale delle auto e il Lupo è in doppio turno quindi.
Solo che Independence Day mica ce l’ho…cioè si, in Blu Ray, cosi che le robe trash si vedono in HD e ti commuovi con l’umanità buona e i clichè e i calcinculo agli alieni ma quello comporta andarmene nel mio regno da basso, con il plasma grosso e divanone. Ma il freddo ne ha preso possesso e non sloggia, lo schermo sta spento da secoli e a sto punto preferisco starmene in camera tranquillo, che la luce è più gialla e non ci sta la brina sui muri…

…Dio…

Il download è lento come pochi. Ci dovevo comunque provare ma qua mi spara un tre settimane e siamo allo 0.00Schifo% quindi spengo tutto e son nervoso, discuto con l’alto dei cieli di un paio di robe ma mi sa che c’è ancora la segreteria e quindi mi metto a scorrere la roba che ho sul server e piazzo un tristissimo “La vendetta dei Sith” che è il meno peggio dei nuovi Star Wars anche se i droidi parlano troppo, ci sono tutte quelle cazzo di vocine fastidiose che han poco senso in dei robot che tentano di ucciderti e farti precipitare con la tua astronave, vocine che dicono “Ahia”…e dicono “Grazie non c’è di che…” coi fucili spianati e che tirano i calcetti alle cose e fanno “Piripì” e “Parapà” e…

…Dio…

Spengo pure lo scatolozzo dei film cosi da togliermi da davanti quella porcata che tanto, comunque, c’è la SCART, acronimo di Stronzo di  un Cane di Attacco sul Retro Traballante, che da qualche sera continua a trasformare ogni film in un vedo-non vedo che a volte temo che qualcuno mi stia pigliando per il culo e che la TV stia attaccata all’intermittenza dell’albero in realtà.

Ora…l’unica cosa che mi tiene lontano dall’andarmene a dormire alle 22:00 è questa merda di portatile e il cellulare…e a pensarci è tutto di una tristezza imbarazzante visto che attorno al Phillips ’98 è pieno zeppo di libri molti nemmeno mai aperti, altri iniziati, altri che dovrei rileggere mentre qua, non c’è nessuno con cui parlare, nessuna donna da sbaciucchiare…e il cinema è morto, la playlist la so a memoria, la digestione è iniziata e forse, Dio nemmeno esiste.

Pillola del 232° giorno – Quando il bagnoschiuma mi sembra un grattacielo

Oggi mi sono svegliato e desideravo una lavagna, desiderio che mi porto dietro nella presunta realtà dall’unico frammento di sogno che mi ricordo di questa notte tormentata. Ci sono io, dentro il letto, che guardo me stesso in piedi con i vestiti da malato addosso mentre scrivo qualcosa su di una lastra appesa lì sul muro, bordo di legno e ardesia bella nera, e so per certo che quei segni sono una trama, ci sono i nomi e i pezzi di storia che non ho mai scritto tutti collegati da frecce bianco-gessetto e appunti e capisco che ho ragione quando ‘sento’ che mi serve un calendario con su scritte le cose da fare, appiccicato sul portone di casa in modo da vederlo ogni volta che esco per una nuova giornata…ed ho ragione quando penso che per certe cose…importanti – IN scadenza – INconcluse – che sento INfinite – per la mia IMpotenza ”cause I’M not just a man with these broken dreams” cantavano gli Hollywood Undead…dovrei rivestire ogni giacca di post-it gialli, arancioni, verdi, rossi, cobalto e cadmio e cosi via, un colore per ogni dannato giorno della settimana.

In mente, adesso, ho tutto il catalogo delle lavagnette più o meno utili che mi sono passate per le mani e pure quelle più o meno magiche…un quadrato di plastica bianca forato, due-trecento fori, ci si infilava questi funghetti di colore diversi per creare scritte e disegni…e quella con lo sfondo tipo carta carbone poi, aveva una penna di plastica agganciata con una cordicella e levetta che cancellava all’istante i capolavori che ci pasticciavo, orrendi segni grigio chiaro su grigio scuro…e la mia preferita, il classico mezzo sogno proibito da bimbo…sarà che stava appesa in alto nella cucina di mia zia…metallo pitturato di bianco, bordo rosso e ripiano con cancellino e indelebile nero che già da piccolo sapevo che da sniffare era gran roba e da usare per pasticciare oggetti bianchi ancor di più.

Ho un piano, ora, ma il computer personale sopra-scrivania ormai ci mette dai venti ai trenta minuti per diventare operativo, sembra sempre in dopo-sbronza ed è inutile starsene li seduto, che il freddo è come l’acqua e le radici delle piante, trova anfratti e interstizi e si infila nella finestra, poi nel cassone della tapparella, scende lungo il vetro gelido e si tuffa nel colletto della mia felpa, canottiera, pori della pelle IMpercettibilmente aperti, carne, sangue e crepe nelle ossa e allora sto in giro piuttosto, vestito di grigio con cappuccio e blu con striscia laterale viola che fa tanto profugo, ne approfitto per fare da infermiere a Madre, che la mia eredità del weekend è una bella dose di virus e germi e febbre e in qualche modo devo sdebitarmi, chiedo cosa serve e “Si! Preparo il Thé…” anche se poi la sto a chiamare mille volte che chissà dove si trovano limone, vassoio, tazza, bustine da infusione e quella medicina del cazzo di cui non ricordo mai il nome ma comunque preparo, accudisco, rimbocco coperte amorevolmente, cronometro minuti per i test di dilatazione del mercurio, lavo piatti e do una parvenza di sistemata anche se per un occhio esperto son sicuro che possa equivalere a buttare lo sporco sotto il tappeto ma accontentatevi, che alla fine “…I’M just a man…my will is so strong…when I’ve got plans…i close my eyes to the pain…” cantavano gli INXS.

Bacio della buonamattinata a Madre che tenta di dormire…un’ora è passata e ritorno ai miei piani rifugiandomi nel mondo virtuale alla ricerca di una lavagnetta, ufficialmente diventata la chiave del successo futuro della mia vita anche se SICURO che si riducerà all’ennesima porcata comprata per sprecare carta-banconota, accatastata in uno tra le centinaia di cassetti stipati delle cose non-utili della mia esistenza. Ora, di fronte lo schermo e a destra la finestra con il mio più recente animale domestico, una cazzo di mosca gigante intrappolata tra vetro e zanzariera…non so come sia entrata ma non ho intenzione di renderle facile la vita che tentare di farla scappare comporterebbe aprire la finestra e lasciare campo al gelo, staccare un lembo di rete e indirizzare in qualche modo la bestia nella breccia ma queste cose funzionano solo con i Persiani mentre in questo caso la legge di Murphy farebbe di tutto affinché la mosca si opponga, vada da altre parti o tenti di entrarmi in bocca e quindi che se ne stia in gabbia, per adesso temporeggio e cerco di non distrarmi ogni volta che uno strano puntino nero sfocato entra in conflitto con la mia visione periferica.

Vedo che onlINe c’è pure una mia amica…l’ho conosciuta dopo aver scoperto il nome con interrogatori e minacce a persone e cose causa un mezzo colpo di fulmine per la sorella sua…che dopo un anno ancora non sono riuscito a conoscere. Le chiedo se per caso è stata a Dubai anche se so benissimo che è stata a Dubai ma il giochetto della domanda del cazzo ti evita sempre tutto il discorso introduttivo in stile “Ho visto che sei stata a Dubai, raccontami un po’…” che è troppo lungo e formale quindi meglio ‘domande ovvie del cazzo’ e via. Lei ovviamente dice di si, e io chiedo un po’…se il Kalifa da quasi un chilometro l’ha visto e lei mi manda un po’ di foto di Dubai e mi racconta di Dubai e io mi ritrovo che voglio andarci a Dubai e come per magia, la storia della lavagnetta quasi non la ricordo più e quando mi infilo in doccia, per togliermi l’odore di chiuso e malattia per la sesta volta in due giorni, comincio a pensare ai viaggi da fare e sogni, infranti e non e a Dubai e manco fossi pieno di LSD fino al midollo, tutto si trasforma e la ceramica della vasca diventa sabbia e tutti i flaconi si trasformano in hotel e torri dal chilometro facile e finestre luci, acqua, isole artificiali e fontane, uomini ricchi e poveri, io in giro che faccio foto, strisce luminose dei fari rossi ed esposizione lunga, acquari dentro hotel, ristoranti e squali, limousine, povertà e ricchezza, cibi strani, lingue straniere, check-in, gate closed, valige, scoprire bar, specialità della casa, vestiti strani e turbanti, l’acqua diversamente salata, fusi orari, persone nuove, storie, sogni di qualcun’altro…che alla fine è cosi che son fatto, ad innescarmi l’immaginazione ci si mette pure troppo poco, due righe, due foto, due ipotesi e mi accendo…ci sto sempre un po’ stretto nella mia vita, la scappatoia per cambiare le carte in tavola la cerco sempre…e contateci che sarà la mia rovina…e la madre di tutte le mie insoddisfazioni…e di tutte le depressioni ma che ci posso fare…d’altronde “I’M just a man…and every night I shut my eyes…so I don’t have to see the light” cantavano i Faith No More.

WP_20131215_15_48_22_Pro

Pillola del 220° giorno – Lago dentro

Le undici passate sul lungolago nel buio, una passerella tremolante…un posto spettrale anche di giorno, con il freddo che congela i pensieri dando tregua ai neuroni rimasti.

Penso siano stanchi…in questi giorni turni anche di notte che il sonno non arriva finché l’ultima parola non è stata pensata, scomposta, analizzata. Osservo e penso ogni istante. Tipo…passavo di fronte alla cucina stasera, mio padre seduto al tavolo con la testa appoggiata sulle braccia, stanco…e mi son detto che non ricordo una volta che l’ho abbracciato o che mi sia interessato davvero, profondamente a quello che passa, ai patemi, stanchezze, gioie e forse, mai gli ho detto “ti voglio bene”. Entro e chiedo come va, se è stanco e lui mi risponde “si un po’” alzando la testa guardandomi “ora vado a letto” aggiunge e magari, penso, è contento che glielo abbia chiesto…che in fondo siamo molto simili anche se non l’ho mai capito davvero. Io spesso quando sto male vorrei che gli altri lo capissero per venire più vicino senza spiegazioni o domande…che sia anche per lui cosi…come per me?

Spesso è difficile dire troppo…lo fai quando proprio esplodi ma di solito tieni dentro, fingi anche un po’, metti le facciate ben dipinte tutte in fila mentre sotto sotto è tutto un bel problema, due lacrime nell’angolo ed un lago dentro.

Come prima, che ti pensavo anche se tutto sembrava che niente fosse…

Sai quanto male che mi fai…e tu, nemmeno lo sai…

Lettera a Dio

Ehy Dio…sono Tosco…anche se è il soprannome che mi danno i miei amici e non so se te ci chiami in altri modi, se c’è un divino nome per ognuno di noi, se i tuoi nomi hanno lettere o numeri, se per te numeri e lettere hanno davvero significato poi…chissà cosa usi…forse suoni o odori o radiazioni gamma dallo spazio profondo.

A proposito…con Babbo Natale il problema dell’indirizzo l’hanno risolto, la sede legale sta da qualche parte su al Polo Nord mentre di te bho, mica si capisce, non c’è un posto dove mandare letterine a Gesù, ne francobolli spaziali certificati ESA, l’agenzia spaziale europea. Posso solo ipotizzare che tu stia tipo vicino alla Nube di Oort, spiaggia bianca, mare cristallino ma invece del cielo azzurro lo spazio profondo e miliardi di stelle che illuminano a giorno, nebulose dai mille colori, galassie a perdita d’occhio.

Bella vita te…si.

Ora…di domande te ne vorrei fare tante e in realtà te ne ho fatte molte in questi anni anche se di risposte non me ne hai mai data una. Ogni due per tre ti chiedo cosa ho di sbagliato, di indicarmi la via, di cercare con me l’ago della bilancia che regola la mia vita, perso nel pagliaio del mio cervello confuso ma non sento nulla…non una voce o un sospiro…non una luce anomala che illumina il muro di notte quando non prendo sonno dall’ansia…forse perché da piccolo mi hai anche portato via l’udito dall’orecchio sinistro e la vista peggiora anno dopo anno.

Colpo gobbo.

Lo accetto, a taluni è andata peggio…piogge di fuoco, alluvioni, pestilenze e carestie…dicono che ce lo siamo meritato anche se te lo dico, senza che ti arrabbi, te la sei presa un po’ troppo e non sta mica bene fare cosi tanto l’offeso, stile “non gioco più con voi…cazzi vostri”. C’è gente che è nata da poco che non ha grosse responsabilità ma si ritrova armi puntate alla testa, malattie da destino creativo, genitori pazzi e violenti o culle sanguinolente a forma di cassonetto con sacchetti di spazzature per cuscini. L’acqua ci salva dalla sete e ci annega ad ogni monsone, l’amore è diventata una scommessa ad alto rischio spesso basata sull’egoismo e sugli zeri di un conto in banca, godersi il cielo stellato è reso impossibile dalle città che non dormono mai, immerse in fumi bianchi e alcool a cascata dalle grondaie, si parla con piombo e fuoco, la natura ci odia, la tecnologia ci odia. Le persone si odiano.

Se sapessi il tuo indirizzo ti manderei una cartolina da questa sfera blu…ci metterei un collage di miliardi di foto prese dai TG e dalle sofferenze di ognuno, francobollo da 1.000.000 di dollari con sonda Voyager dorata su sfondo blu cobalto, con in primo piano quel messaggio per l’universo, l’uomo vitruviano inciso sulla superficie simbolo dell’armonia umana. Ti scriverei un invito a fare un salto di nuovo dalle nostre parti, un giretto in questo orticello disastrato dalla grandine, giusto per dimostrarci che la storiella del buono e misericordioso è vera sul serio.

“In verità in verità vi dico”

Te lo dico perché mentre sei li che sorseggi cocktail a base di quasar e plasma ionizzato con ghiaccio, agitato e non mescolato, i tuoi adepti continuano a dirci che ci hai creati a tua immagine e somiglianza ma io attorno vedo quasi sempre solo degli stronzi. E se la matematica l’hai creata te, per aiutarci a tenere in piedi case e ponti anche se poi basta una crepa nel terriccio per trasformare il mondo in un Jenga, ecco…

…tra un sorso e l’altro…

…fai due più due.

Pillola del 215° giorno – L’uomo del monte

Ero lì che sentivo recitare poesie sul palchetto, bottiglia di sconosciuta acqua tonica sottomarca in mano, cannuccia nera che fa tanto sfigato…non so perché non hanno capito la parte ghiaccio-limone-limone sotto, cosi chiaro e semplice discorso che scandisco a parole slow-motion come quando si incontra uno straniero…parli nella tua lingua tre parole al minuto come se esprimersi lentamente lo aiutasse davvero a capire discorsi in un idioma non suo, anche se non è questo il caso…il barista è del mio circondario, medesima regione, stesso stato, probabili amicizie in comune, all’occhio coetanei, soffriamo entrambi di capelli con eccesso di attrazione gravitazionale verso il centro della terra e peluria facciale, due padiglioni uditivi per ricevere le mie onde sonore scandite con energia e cortesia ma nulla…guarda torvo, parvenza di simpatia ottimamente celata, mi fissa e mi allunga un cilindro…la bottiglia…etichetta old-style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ con su scritto Acqua Tonica e io accetto, malvolentieri ma accetto.

Accetto la sottomarca, la bottiglietta, la cannuccia, l’etichetta umidiccia old-style style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ ma la fiducia…la fiducia si, per la fetta di limone risicata al 5% di polpa e ghiaccio chimico in un bicchiere…limone sotto…la fiducia si…almeno in quello, c’era.

“Chi conduce la serata” mi chiedo e subito mi rispondo…gothic girl ossigenata con dipendenze dall’alcol e odio per le parole pronunciate bene, meno comprensibile di Sandra Bullock, attrice classe 1964, Arlington, Virginia, vista poco prima e poco propensa a parlare in italiano corretto soprattutto in un film proiettato in lingua originale al piano di sopra, entrati dieci minuti dopo quindi in ritardo anche se dipende sempre da dove le cose si guardano perché dalla nostra, eravamo in anticipo si, su quel ‘noveemezzadaiandiamo’ pronunciato con troppa sicurezza. C’era l’inghippo, tutta colpa della mia generosità che se c’è scritto nove mi sento in dovere di regalare sempre qualcosa e quindi ‘noveemezzadaiandiamo’ e banchetto vuoto, sala buia e sei euro a testa con un film “iniziato da dieci minuti” ci dice un vecchio. Ma va bene lo stesso, che tanto noi siamo in anticipo, in anticipo sul ritardo.

Ero li dicevo, dopo la Sandra e i suoi detriti spaziali e ascoltavo strofe e pensavo. Pensavo che spesso suonano bene le parole incastrate l’una nell’altra e che formano frasi…come una distesa di rifiuti, ruderi, rottami, reperti, raschiature-di-barili che si aggrovigliano nel centro di un Maelstrom, mischiando fibre colorate di plastica a cadaveri di pesci, calzettoni e mutande di naufragi, assi di legno macchiate e spazzatura uniti assieme che quasi ci vedi un disegno del destino, un super tessuto divino cucito a maglia all’insegna del riciclo, arte vorticosa. Subisci tutto il fascino di vederli ruotare e finire in fondo agli abissi e i versi son lo stesso, cosi aggrovigliati, sembrano complessi e intelligenti.

“Trachiotomia-dell’anima-branchiale”

“Sinapsidi-ultraconnesse-dell’io-apocrifo”

“Semicoscienza-sinusoidale-del-mio-essere-umano-pittorico”

Ero li quindi, e tra i concetti poetici di qualche interesse, ritrovavo queste frasi oscure dal bel suono e nemmeno ti fermi a pensare…non hai scritte davanti…la poesia recitata va tutta a memoria e non ti fermi per capire quello che hai ascoltato, vai avanti, suona bene, basta cosi, non ti fare domande, basta arrivare alla fine come nelle canzoni in inglese che potrebbero dire tutto a volte…che tua madre lavora di notte negli angoli…che sia giusto sputare in faccia ai barboni…che forse è meglio idolatrare Satana come suoi adepti preferiti… ma tanto non ti importa, l’importante è che tutto suoni bene, che tutto fili, che tutto abbia una melodia di base, che il tuo ciuffo penda alla giusta inclinazione in gradi e che il montone sia vero montone, la macchina lucida, conto in banca a sei zeri, scarpe griffate come la maglietta con nomi in evidenza e brillantinati, scintillanti sotto i riflettori della disco nuova aperta in periferia, 30.000 chilometri quadrati underground, ricavata da una fabbrica che confezionava cibi per cani, laser, strobo-sfere, fumi tossici sparati sulle folle, azoto, cocktails e ombrellini, acqua tonica di marca, ghiaccio di marca, fette di limone di marca, serigrafie dell’uomo del monte che a nessuno importa più quello che dice ormai, che abbia detto si, che abbia detto no, non importa, ricorda…basta che suoni bene.

Pillola del 213° giorno – Controvento

Mi ritrovo tutto il giorno a smanettare su una macchina che mi sbuffa aria in faccia da un ventolozzo gigante, in totale noncuranza della mia influenza, tosse e starnuti.

Ne faccio tre di fila che quasi vomito i polmoni, sento la leggera febbre che galoppa mentre il lavoro rallenta…e rallenta ed ho sempre più freddo. Mi vado a sedere sulla mia poltrona monca…lo schienale è ormai scardinato, la mia morta già la dipingo…la testa aperta sullo spigolo del laser alle mie spalle, tutto quel ben di Dio, le idee e l’amore che avrei potuto dare, sparpagliato per terra.

Chissà poi chi ci verrebbe al funerale, se magari viene su anche qualche carovana, se il prete mi dipingerebbe al mondo come il classico giovane pieno di vita e ottimista verso il mondo, infarcendo il commiato di cazzate totalmente false cosi…per farmi fare bella figura. Dico che devo lasciare un appunto da qualche parte con l’epitaffio, qualcosa di intelligente, comico quasi dissacrante, senza prendersi troppo sul serio li, sotto tre metri di terriccio e ghiaia.

Io alla morte ci penso spesso…è come quando ti immagini l’infinito e non arrivi a nessuna conclusione. Vecchio a volte proprio non riesco a vedermi, a volte si. Incerto sulle gambe e sereno non mi sembra possibile…in un bar a Marrakech a settant’anni steso sul bancone magari…più che in un letto d’ospedale.
Sono pensieri incerti e costanti…mi dicono che è perché trasudo ansia e impazienza, mi perdo il presente temendo per il futuro, temendo la vecchiaia, la morte, la solitudine…sensazione figlia dell’insoddisfazione costante che stai li a pensare di non avere più tempo per provare e sbagliare, che le chance le puoi contare sulle dita di una mano monca e quando vedi gente sulla sessantina che sorride ti chiedi come sia possibile.

“Ma che cazzo ti ridi…”

So che è sbagliato, tutto sbagliato…faccio il doppio della fatica ad avere una vita normale cosi, solo perché non ci ho mai capito un cazzo. Mai saputo prendere le strade semplici.

Smetto di pensarci…forse è meglio che a stare seduto qua con il freddo nelle ossa…mi sento già mezzo morto…ma credo non sia ancora la mia fine…è solo che questa cazzo di stufetta messa al massimo non contrasta gli spifferi e il gelo dell’officina e poi son da solo…quasi le sette, i Robur che sbuffano aria sono spenti da un po’, metà delle luci sono in pausa…si sente solo il vento fuori che urla.

Metto la giacca…la macchinetta oblitera un’altra giornata da zero a zero. Fuori il mondo é nero e gli alberi sono irrequieti. Prima delle luci di casa mia, 340 metri di inverno, tutti controvento.

Pillola del 210° giorno – Meglio di ieri

Secondo giorno da mezzo influenzato…le cose migliorano, l’uovo di struzzo ‘sceso’ e digerito, bombardamento di farmaci che mi ha reso il mal di testa e il mal di gola sopportabile o forse sono le radiazioni dei film a catena continua che metto in TV che mi desensibilizzano il cranio mentre mi faccio del male tormentandomi la bollicina che sta sulla punta della lingua.

Mi sono sparato qualcosa come 4-5 film di fila e per concludere, per parlare di germi, ‘L’esercito delle 12 scimmie’ ora scorre nel suo genio e follia sul tubo catodico Philips anno 1998.

“I germi non esistono, sono soltanto un’invenzione creata apposta per vendere disinfettanti e saponi.”

Sarò breve, non ho voglia di scrivere fuori dal letto, in balia di spifferi provenienti dal cassone della tapparella, dimora di ragni e bestiacce e vento continuo, voglio solo sbomballarmi nel letto e davanti alla TV che oggi ho pure fallito con il tentativo di uscire fuori…c’erano sconti e grosso shopping da fare che per uno come me è motivo di giubilo e di grande carica ma nulla, collassato. Esco solo stamattina, c’era da andare in posta per forza…roba di lettere da inviare urgentemente…mi accompagnano in macchina, prendo freddo giusto qualche minuto e già mi basta per iniettarmi dolore nelle vene del cervello, fitte lancinanti. Poi subito il muro caldo della posta appena oltrepasso la porta a spinta, vecchi che si lamentano, un bambino che gioca con la cordicella di una penna, la tizia allo sportello che senza fare rumore dice e ridice “Non ce la faccio più”…lo leggo dal labiale. Io tossisco e spargo germi di questa nuova malattia nell’aria aspettando il mio turno. Dovranno sicuramente mandare qualcuno dal futuro per fermarmi prima che per il mondo sia troppo tardi, l’epidemia inizierà da qua. Pago 70 centesimi allungando una banconota che a proposito di germi e schifezze, sono la cosa più sporca che esista, sia come igiene che come morale. Mi allontano da vecchi, bambini e sportelli POSTAMAT elettronici, fuori freddo e subito nel Lupo con Sorella che mi aspetta sull’uscio sgasando.

A casa inizio con il pianeta delle scimmie…quello vecchio…dovrei radermi pure io a vedere tutti quei peli farlocchi. Poi continuo con Matrix e cosi via…non misuro la febbre ma credo di averla. Come arriva la sera si sa, sembra sempre peggiorare la situazione…la tosse si fa un po’ più forte, ricevo due chiamate e la mia voce pare uscita dall’oltretomba. Io tutto sommato mi sento anche bene non fosse per la testa pesante, diciamo che ne approfitto…nessuno mi fa domande…nessuno mi rompe il cazzo con lavori…posso starmene schiantato orizzontale una volta tanto…non me lo concedo spesso.

Ora basta…ho Bruce Willis sullo schermo e questa sedia mi ha stancato…devo anche prendere lo sciroppo per la tosse…mi irrita la gola.

Germi del cazzo…anche se non esistono.

Pillola del 207° giorno – Nuovo documento.docx

Decido da prima di scrivere un bel pezzo. Ci penso la mattina quando esco nel freddo e anche davanti allo schermo in 8 ore di meritato quasi-far nulla.

Non riesco a scrivere niente, nemmeno il titolo, nemmeno il numero del giorno, duecentosettesimo che qualche augurio per aver superato il duecento mi è pure arrivato per quanto serva al mio attuale morale ovvero, nulla…non fa quasi differenza.

Eppure di solito la cosa funziona…ma è evidente che anch’io sia soggetto ai periodi e ai fogli bianchi di word che salvi come ‘Nuovo documento.docx’ che nemmeno un nome per il file ti viene in mente…quando sono giorni che non fai altro che dirti di alzare l’asticella, che ogni pezzo dev’essere di qualità anche se lo scrivi alle tre di notte con il sonno e il primo degl’incubi notturni che già bussa da dietro le palpebre. Mi credevo un genio. Mi sveglio che sento di esserlo, la sera mi ritrovo nel cesso della mediocrità. Devo arrendermi al fatto che in molti giorni i pensieri attraversano la gelatina e arrivano deboli e molli e c’è da arrampicarsi sugli specchi. Quando rileggo il mio creato ben impaginato su libro digitale butterei via metà delle parole. Gli altri scrivono immensamente meglio, gli altri hanno le storie e mondi, vanno a parare da qualche parte. Io parlo di fogli bianchi e di qualche macchia di sporco che ci butto sopra quando scrivo seduto sulla tazza del bagno.

“Io mi levo dal cazzo…”
“Mi sa che vengo pure io” rispondo a Teo.

Ci vado. Costeggio il muro della ditta per andare sul retro, sorpasso il Caterpillar giallo parcheggiato come un’utilitaria e mi infilo in macchina…meno strada da fare con le scarpe umide e il vento contro, meno freddo sullo stomaco, meno stress articolare e consumo di asfalto e suole, strofinamento di pieghe di stoffa per andamento cinetico degli arti.

Voglio tornare a casa prima.

Cado sul letto, blu scuro fuori, tic-tac dei tasti del cellulare, traccia melodica-elettronica indefinibile nei padiglioni acustici…chiedo ad una rossa riccia per la terza o quarta volta, non ricordo, di uscire…è una fissa, una cosa che voglio ma stavolta non mi risponde e non mi risponderà…quindi mi metto al pc e riprendo a trasformare i ricordi in 4:3 di Berlino con fare stanco mentre sticomitie iperveloci di Gilmore Girls si intromettono a frequenze ultrasoniche oltrepassando la barriera del fastidio. Odio quella serie, i dialoghi in cui tutti sembrano dannatamente brillanti e simpatici rispecchiando un mondo teatrale e falso. Odio la cuoca cicciona e la sua farlocca stizza e modi di fare da procione con ghianda in mano. Odio la ragazza giovane e la sua madre vacca più vecchia. Odio la madre-nonna e i suoi vestiti-armatura di seta e la casa…con mobili antichi pitturati crema e tessuto alle pareti. Sopporto il locandiere perché sembra Stallone, il nonno da quando ha i baffi, il pazzo squilibrato che somiglia ad Edward Norton ma con l’insegnante di sostegno…ho sempre tifato per gli sfigati e gli scorbutici, i brutti. Io sono brutto, sfigato e scorbutico e ho sempre desiderato qualcuno che facesse il tifo per me.

Non riesco a vederne più di otto minuti con l’audio attivo ma pare faccia bene al recupero di salute di Sorella, messa a letto da influenza e mal di pancia e curata a pasta bianca, Busco Pan pastiglie, tachipirine da sciogliere, Oki e Tv…Masterchef Usa, Italia, Uk, Algeria e tutto il resto dei paesi e Gilmore Girls appunto. Purtroppo.

Visto che sono già in postazione chiedo a qualcuno che ne sa…Wikipedia, e vado a leggere il finale. La giovane delle ‘girls’ finisce con il biondino e va a fare la giornalista mentre la madre se ne gira trecento o cento volte i soliti tre e dimostra che un po’ troia lo era davvero alla fine.

Mai avuto dubbi.

 

Pillola del 205° giorno – L’importanza di sapersi togliere un maglione in pubblico

C’è una voce al telefono…dice qualcosa del tipo “disattivare il servizio di disabilitazione per poter effettuare la chiamata” senza aggiungere nulla, non un sito o un numero da chiamare che comunque non potrei contattare non avendo disattivato il servizio di disabilitazione.

Forse devo urlare qualcosa verso il cielo, forse è uno scherzo, forse devo implorare l’aiuto di Super Telecom con mantello rosso, forse non so cosa sto facendo, forse posso convincere i miei che il telefono non serve e che piccioni e fumo e pony express sono meglio ma sotto sotto, prego Dio che la regola inglese della doppia negazione venga applicata anche al resto della vita e che ‘disattivare’ e ‘disabilitare’ si annullino…magari già da domani si, appena sveglio.

Ne sono convinto, dico a Madre che risolverò tutto domani, che ho un piano il che è quasi una cosa vera e che consiste nello schiantarmi sul letto, dormire e sperare che una qualche sorta di magia operi nei cavi o un folletto operoso che lavora di notte si accorga di anomalie e che sistemi tutto smanettando su tastiere a velocità Jessica Fletcher su macchina da scrivere…ricordate no? Nella sigla della Signora in Giallo dico…all’inizio credo, con la canzoncina che faceva “Dan-Dan-Dan-Dan-Dan…Dan-Dan-Dan…Dan-Daaa..” che poi, quando penso alla Jessica, più che la sfiga che si porta dietro…a volte mi pare di vedere uno scheletro con la falce dietro di lei…mi vengono in mente le vecchie con i capelli cotonati. Da dietro sembrano tutte uguali e tutte sistemate dallo stesso parrucchiere che a sto punto dev’essere milionario visto che le fa in serie peggio degli scaffali IKEA. Hanno questi boccoli e forme cespugliose con colori da mezzo piccione sporco che io mi dico che sarebbero meglio come quelli di mia nonna a sto punto, bianchissimi e pure mezzi-punk. Quello si che era stile.
Ora, io dal giro del parrucchiere mi sono tolto da un po’ e la cosa che mi stupisce, e qua le cose si incastrano in maniera meravigliosa, è che l’altro giorno mio padre mi fa…

“Figlio…orsù prendimi un appuntamento per metà ora dopo la terza di meriggio dal tosatore di chiome”

…e io subito, sul telefono di casa, ancora lontano dal dramma della disattivazione di disabilitazione, con memoria e velocità digito il numero “20-22-64” che forse è l’unico numero fisso che sono riuscito a ricordarmi ed ecco il vecchio parrucchiere dell’ormai infanzia, Massimo, lì che mi parla al telefono e mi chiede cosa faccio, cosa combino e no…non ce l’ho la ragazza..eh in paese non ci sono quasi mai…si la fotografia qualche soddisfazione la tira fuori finalmente.

Lo saluto che alla fin fine lo conosco da vent’anni abbondanti e fa sempre piacere, mi passo una mano sulla testa rasata in memoria dei giorni dei capelli sugli occhi o del gonfiore post-phon o del che bello era tirarseli indietro. Ormai essere pelato non è più un problema, ormai non mi importa ed è incredibile invece, quanti altri mille altri problemi del cazzo mi sono creato per sostituire l’ansia del pelato con mille altre micro ansie da minorato mentale che mi rendono insicuro come un tavolo a due gambe.
Tipo, ieri ero in un locale gonfio di gente e ragazze e drink e simpatia e ipocrisia e vedo un mio amico che si toglie con disinvoltura un maglione.
Ma tu sai quanto volte penso ai vari passaggi quando mi devo togliere un maglione…assicurarmi che la maglietta sia dentro i pantaloni che altrimenti tiri su tutto, mi incastro e mi innervosisco e sudo e porto via tutti quegli elementi di cui mi arredo il corpo tipo catenine-bracciali-orologi e magari hai sotto la camicia e sembro un babbeo del cazzo con una specie di tenda incastrata sul cranio se me lo tiro via e…

…continua cosi a ritmo continuo mentre soffro il caldo e subisco il disagio e il maglione rimane appiccicato sul busto per il resto della serata…e dire che non mi posso neppure spettinare i capelli.

Il mio amico invece…che è pure uno che con gente uomini e donne ci sa fare mica ci pensa, mentre io si…che cazzata.

Cioè, perché stare a pensare due ore come fare quando fare e perché fare certe cose? Se hai problemi a toglierti un maglione in pubblico tanto vale che stai a casa a piangere in un angolo dico,figurati che succede con le cose serie.

A meno che non sia quello il trucco di chi ci sa fare davvero…togliersi il maglione in pubblico è la prova definitiva…non il modo di fare o le parole o i sorrisi, passa tutto dal maglione da sfilare che diventa una specie di interruttore di superpersonalità stile cappellino di Sylvester Stallone in ‘Over the Top’…diceva che quando si girava il cappellino gli si accendeva una specie di interruttore e diventava una macchina da braccio di ferro.

Vabbhè basta.

Che pensieri del cazzo.

Mi spoglio e vado a letto.

Pillola del 191° giorno – Delle canzoni canto solo le parolacce…

…e forse un po’ lo è inopportuno, che spesso ti ritrovi concentrato ad aspettarla la parolaccia nel testo e quasi non ti accorgi che forse se sei ad una fermata del pullman, l’ennesima della tua vita…circondato da vecchie, ragazzi con gli zaini che ci provano, facendo i finti maneschi, con ragazze con gli zaini…non ci fai una bella figura se ti leggono “Fanculo” sul labiale, sentono “Motherfucker” sussurrato e sibili “Cazzo” e “Merda” come un serpente.

Non sta più bene fare figure, sembrare lo sciroccato del quartiere, quando vai in giro in un primo pomeriggio e di nuovo la pioggia fitta e quell’ombrello che attacco su ogni pezzo di metallo riservando una parte di cervello al ricordo della sua posizione, per non perderlo e farlo finire nel cimitero degli ombrelli perduti che chissà che fine fanno e quante storie potrebbero raccontare i miei ombrelli persi, adesso in mano a ragazze bellissime, a immigrati, killer, barboni, ristoratori cinesi o ragazzini come me da giovane, cartellette sotto le braccia, occhiali, capelli che ti infastidiscono per quanto sono folti e lunghi…una scocciatura che rimpiangerai, o si che la rimpiangerai.

Vorrei due mani ausiliarie per riuscire a controllare tutto simultaneamente…cellulare, libro di Charles con ragazza stilizzata nuda a gambe larghe, rosa messa tatticamente proprio “li” che a proposito di figure chissà che pensano le vecchie, e i ragazzi che ci provano con le ragazze facendo i maneschi per finta quando intravedono quella copertina e la giacca lunga e la faccia e il cappuccio…losco figuro a proposito di figure, come dicevo.

Capita tante volte poi e anche oggi, che mi ritrovi a camminare in giro su marciapiedi sconnessi e neri con il desiderio di essere da solo infilato in una città nuova, scoprire e memorizzare gli angoli nuovi che incontro e tardare agli appuntamenti o proprio non andarci o fare giri più lunghi circumnavigando sobborghi, palazzi e parchi, starmene in giro con musica e parolacce soffiate mentre le macchine cercano di evitarti o di prenderti.

L’essere meditavagabondo è molto simile al sentirsi solo e malinconico, che vedi cartelloni di pubblicità e pensi a quando tutte quelle persone, che su quel cartone di tanti metri per tanti metri di grandezza stanno in riva al mare caricando una macchina di oggetti, saranno scomparse nel nulla e nessuno si ricorderà di quell’immagine e di quel cartellone e di quella macchina. L’essere meditavagabondo è stare ad osservare i volti alle finestre invece di guardare per terra dove metti i piedi, che in questo periodo ci trovi di tutto…i serpenti e gli altri animali escono dai tombini e le persone dormono sui cigli in mancanza di quattro mura…nemmeno quelle di cartone che le scatole delle lavatrici vanno a ruba pure tra i ricchi.

Vedo una ragazza sui trentacinque con i capelli rossi affacciata alla finestra che fuma con lo sguardo triste e penso all’infinità di giorni passati ad affacciarsi su una vista di cemento, asfalto bagnato da pioggia continua, platani morenti e quasi mi viene da piangere. Vago tra concessionarie di auto di lusso in riallestimento e macellerie e cinema chiusi passando tra gente che si arrabbia quando cerco di immortalare un frammento della loro vita in una foto, insultandomi come se facessi un torto nel trovare qualcosa di interessante in un’esistenza che si basa sul mangiare, dormire, riprodursi al minimo sindacabile, acquistare beni, sacrificare sentimenti, stare lontano dal mare, dall’arte, dalle risate come la loro.

“Scusate” dico “…scusate se vi ritroverete un giorno appesi in un istante del vostro passaggio nell’universo in muri di case lussuose o musei o carta patinata ammirati da tutti…elevando la vostra vita normale che non rimarrà scritta in nessun libro ma solo in ricordi che finiranno nel nulla…scusate se vi voglio rendere immortali…pregate il vostro Dio allora se ne avete uno…”

Meditovagabondovaneggio schivando scrosci dal basso e dall’alto per diversi decametri. Un posto asciutto…entro e incontro una conoscente non amica cicciona che è solita attaccare sul posto di lavoro e sugli armadi foto dei figli e del marito ed è tantissimo felice del suo isolotto di sabbia calda e acqua tranquilla che a me sembra tanto bello a pensarci ma se poi vedo una nave pirata mi ci voglio arruolare. A proposito di figure mi chiedo se le faccio quando degli auricolari tolgo solo il destro mentre l’altro rimane appeso che cosi è più comodo…non devo stare ad arrotolare e srotolare sciogliere nodi…imprecare e ripetere a memoria tutte quelle parolacce che sento nei testi delle canzoni ma con un vero motivo. Sembrerò maleducato mi dico, si sentirà la musica mi dico, quando sono li appoggiato, mentre le parlo, ad una mensola in ciliegio finto infilato in mezzo ad anfratti cubici di muratura bianca. Questo mi dico.

Però lei sorride e mi chiede se prendo ancora il pullman per fare foto agli sconosciuti.

“Si” rispondo…e un po’ sono sorpreso…non ricordavo nemmeno di averle raccontato una roba del genere l’ultima volta che l’ho vista…e sarà un anno fa.

Poi chiacchero e dico cose e lei sorride, chiacchera e mi dice altre cose…niente di importante…io le dimenticherò al secondo piano di scale in discesa stavolta, verso l’uscita. Lei se le ricorderà per la prossima volta che ci vedremo.

Ed esco…ed è già tutto dimenticato però sono un po’ più contento per quella piccola sorpresa…di qualcuno quasi sconosciuto che si ricorda una tale inezia della tua vita, come quando io faccio le foto delle persone normali che quasi non sembrano lasciare traccia nel mondo ma per me sono come piccoli oggetti importanti da tenere da parte e ammetto che essere quasi sorpreso-contento da meditavagabondo è una cosa nuova per me. Sento quasi, forse…che potrei provare a migliorare un po’ questo mondo triste, cominciando da quella fermata del bus li in fondo, con una tizia che avrà trent’anni, bionda e piccola con lo sguardo triste.

Cerco di non urlare le parolacce che sento e cammino verso di lei, sotto la stessa tettoia e la guardo, a meno di un metro di distanza, lei mi guarda pure.

No…niente…pur contento, ad incrociare uno sguardo sconosciuto e poi sorridere…non riesco.

Beh…come si fa con le diete…inizierò a migliorare il mondo da domani.

Immagine

Pillola del 190° giorno – Tornare indietro

Ho periodi in cui devo allontanarmi da ciò che amo…passioni, persone, cibi e bevande addirittura.

Forse è paura che tutto diventi routine…che la costanza riduca tutto il fuoco in cenere e cosi sarei costretto a cercare nuove cose, ricominciare da capo, ricostruire tutta quella voglia di fare e creare.

Invece cosi, con queste pause di riflessione in cui mi distacco, mi disincanto, mi ritrovo svogliato, incapace, apatico, inadatto, perso…solo…ecco…la brace comincia ad ardere di nuovo, pian piano riscopro che tutto quello che stavo abbandonando è una parte troppo importante per me…sono vivo grazie a queste, mi tengono attaccato alla parte buona di me, quella allegra, che a volte sorride pure.

Ho ricominciato a scattare, camminare tra l’umanità, riprenderla nella mia arte, sorridere quando faccio una foto o quando esploro gli angoli della città. Ho ricominciato a saltare, graffiarmi le braccia, scivolare su muschio e ferro arrugginito, tornare a casa senza riuscire nemmeno a stringere i pugni dalla stanchezza…e mi rende felice.

Smetterò anche di scrivere prima o poi…ma sarà un bluff. Tornerò…perché mi serve, è troppo importante, anche quello parte dell’equazione che risolta è uguale alla mia anima.

Smetterò e tornerò indietro.

Sempre.

Pillola del 185° giorno – Il colore dell’odio

“…e quindi pensavo di scrivere una lettera ai vigili…ma in tono educato…non solo insulti…però poi ci scrivo anonimo…aggiungendo che altrimenti stronzi come sono mi verrebbero a prendere a casa per farmela pagare…”

“Buona idea Teo…” rispondo, anche se non ho ben capito il perché della lettera…sempre che esista un perché.

Ma sono distratto, potrei non aver sentito, cosi preso dal lavoro…distratto dal cazzeggio di routine insomma. Ho di fronte un video fatto con una fotocamera da 30 euro che mi sta facendo parecchio incazzare. L’ho infilato dentro un software da 13.000 euro crackato che ci hanno pure fatto Avatar e quello mi restituisce una schermata bianca e io non capisco cosa stia succedendo. Lotto tra formati, importazioni, filtri ma invece di bombole, ingranaggi e macchine in azione continuo a vedere una simulazione della Siberia in inverno.

Rimango in ditta un’ora in più, esco che sono da solo nel capannone, rispetto a ieri mi sento meglio. Voglio tornare a casa, prendere l’iPod, andare ad allenarmi. Mi preparo con la solita robaccia addosso, prendo il lettore.

Schermo bianco. Cazzo me ne ero dimenticato. Lo resetto quattro volte, lo schiaccio, lo sbatto per terra, lo insulto e lo picchio ma nulla…schermo bianco. Sembra una maledizione.

Aspetto la cena, abbastanza nervoso. Essendo nervoso devo mangiare qualcosa. Per forza. Mi ricordo delle arance in frigo. La sbuccio, sembra gustosa ma quella pellicina attorno alla polpa è come mastice. La tiro e mi distrugge ogni spicchio…il tavolo sembra una sala operatoria. Quando non riesco a staccarla o mi stufo la mangio insieme alla polpa ma è amara al limite del fastidio.

Ancora più nervoso. Dannata pellicina…pellicina bianca.

Che colore del cazzo.

Pillola del 180° giorno – Fuga?

A scrivere il numero, a scrivere ‘giorno’, a mettere il trattino ci sono arrivato…è già qualcosa.

Non basta.

Ho sullo schermo il film di Vallanzasca…non lo sto guardando…ha delle buone musiche, la recitazione mi sembra cosi cosi…ci sono un sacco di belle ragazze dentro…lo so perché quando sento una voce di donna alzo lo sguardo e vedo com’è. Tutte belle.

Le musiche però sono invadenti, te ne accorgi soprattutto quando i film non li stai guardando, senti le melodie che soffocano le parole, troppo alte…e poi urlano tutti, sia buoni che cattivi, mi sembrano tutti incazzati nonostante le donne, i soldi, le macchine, le droghe, la musica nei club.

Ma ci sta, lo siamo tutti incazzati…credo. Un sacco di gente si giustifica ogni giorno, perché ha sbagliato, perché ha perso la testa, perché non sa come comportarsi e combina disastri…perché sono incazzati. Uno che mi dice “no ti spiego…” anche se non mi interessa, una che manco mi risponde e quindi mi incazzo pure io. Sono il primo ad arrabbiarmi. Con gli altri. Con me. Arrabbiato per la donna che non mi vuole, per il conto in banca in picchiata, per le pedine che non si smuovono, per le parole che su carta, quando le rileggi, non sanno di nulla e ti credi davvero sopravvalutato da quel gran sopravvalutato di te stesso. Arrabbiato come tutti gli altri, ricchi, poveri, stronzi, bravi, preti, perbenisti, vicini di casa, invidiosi, ladri come Vallanzasca.

Sta su una nave, millesima volta che lo catturano che io lo capisco a sto punto, che gli rimanga solo la rabbia…é un bello stress. Non so come ma fugge da un oblò prendendo in giro cinque carabinieri, indossa un giacchetto da operaio, si finge parcheggiatore, fugge nel nulla di un porto.

Nelle fughe sono esperto anch’io…ma tanto è inutile…se il problema è la rabbia…quella te la porti ovunque tu vada.

Ma forse c’è da andare davvero lontano.

Non ci sono mai andato davvero lontano.

Pillola del 178° giorno – Weber

Da qualche giorno ho paura dell’acqua calda. Mi siedo nella vasca, in bagno, prendo il soffione e apro l’acqua, facendola scorrere lontana da me. Invece di innaffiarmi come Dio comanda tentenno dubbioso, come se fosse acqua gelata…mi serve prendere un respiro profondo, quasi chiudere gli occhi e puntarmi addosso il getto. Fisicamente mi dà fastidio, sento brividi sulla pelle, spilli emotivi, disagio.

Esco dalla doccia dopo tutte le varie fasi acqua, sapone, risciacquo, seconda passata, asciugamano. Mi metto una maglietta della Weber.

Detta così pare un marchio di lusso, roba di nicchia, da calciatori, da gente coi soldi. La metto perché devo uscire magari…vita sociale, donne, facendo il figo con la maglia Weber.

“Cazzo…maglia Weber…tu si che vai bene…”

In realtà, la Weber fa materiale per l’edilizia…vernici, colle, prodotti di quel genere, per sistemarti la facciata di casa e organizzare cantieri raggruppa-vecchi. È una specie di canottiera con le maniche giallo limone e la scritta ‘Weber Saint Gobain’ sul petto, roba che non terrei nemmeno nel cassetto di un armadio abbandonato in discarica…figurarsi addosso, ma d’altronde, ho finito tutte le altre magliette da letto, che mi hanno detto che alla salute fa male starsene a torso nudo.

“Va bene…ma perché…che mi succede…”

“Fa male…”

“Ok…”

Così, vestito chic, vado in cucina che mi sono ricordato dal nulla che in frigo forse ci sono ancora mandarini. Ci sono…li mangio. Poi metto su Jurassic Park, che quando fuori piove ne ho sempre voglia anche se fa un sacco di rumore Jurassic Park, è un continuo smanettare sul telecomando per fare montagne russe con il volume anche se adesso, forse, la pioggia fuori fa ancora più casino del film.

Oggi, ad allenamento, ho ‘preso’ un sacco di acqua fredda a proposito…con le mani tra pozzanghere e fango, dita rigide su sbarre viscide, la felpa zuppa, piedi fradici, gente che ti guarda come un alieno o meglio, una disgustosa e umida creatura degli abissi.

Bello però, mi è piaciuto…e sempre meglio dell’acqua calda, comunque.

Pagina 1 di 2

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén

%d