Brava Giovanna, brava

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Pillola del 216° giorno – Quattro mezzi non fanno due interi

È tutto il giorno che controllo se ho in spalla lo zaino…e dire che non ne metto uno da un miliardo di anni eppure…sento che manca qualcosa, mentre aspetto il bus.

Giornata da mezzi pubblici, oggi mi odiano. L’ autobus è puzzolente, non accetta i miei soldi come se derivassero da affari sporchi quando in realtà non sono poi così sporchi. Sedile sghembo, densità di popolazione di otto persone a metro, accessibilità dei pulsanti per prenotazione fermata nulla. Ad ogni stop, famiglie con passeggini, borse della spesa e scatole, aria cosi viziata che quasi preferirei essere nella penultima fila, quella davanti al motore, rumore, biossido di carbonio, asfissia, perdita del gusto e della vista, può avere effetti collaterali anche gravi. Di fermata in fermata, snocciolo santi come alla Via Crucis ma riesco piano piano, lottando con gente in trasloco e fan dei supermercati, ad avvicinarmi all’uscita.

Quando scendo, vorrei ringraziare il Signore ma attendo…tocca alla stazione.

Fila di gente alla cassa che invece di chiedere biglietti si fa consegnare moduli da compilare…e vogliono la penna…e spiegazioni…e i fogli da sotto il vetro non passano comodi, si stropicciano e devi farli passare lentamente…uno per uno e il tempo passa…e i ringraziamenti di prima ora sono bestemmie. Una tizia prende i moduli e si mette sul fianco, turno del tipo davanti, basso e scuro. Sembra uno che punta al sodo…un tipo da andata-ritorno e via ed infatti “vorrei i moduli per l’abbonamento” e vabbè altri dieci minuti, manco si sposta a sinistra e quando finisce nemmeno usa la corsia d’uscita, deve per forza tornare indietro da dove è venuto, sbatterci contro, mostrarci uno scorcio di stupidità ad ogni costo.

Il viaggio fino a Milano lo passo isolandomi il più possibile da una scolaresca eccitata al piano di sotto, in piedi come uno scemo vicino all’unica presa di corrente funzionante del treno che il cell è già scarico e oggi si fa serata ma si sa…qualcosa la devo dimenticare sempre. Se mi siedo sul sedile di fronte, il filo si tende cosi tanto che sembro il PR di una gara di limbo e devo abbassare il cellulare a livello pavimento ogni volta che c’è uno stronzo che deve scendere o passare di lì e quindi “No grazie”, sto in piedi da scemo e guardo il soffitto e quel ciuffo di capelli incastrato sotto una bacchetta di metallo, disgustosi ma resi affascinanti dal mistero irrisolvibile e la domanda inevitabile che uno deve porsi:

“Come cazzo ci sono arrivati lì?”

In stazione dopo un’ora ma per poco visto che mi infilo in un carro bestiame sotterraneo più stipato del cugino ciccione dopo il pranzo di Natale, gente che combatte per un pezzo di cilindro sudicio a cui aggrapparsi o che lotta per uscire nella sua fermata sfigata…che colpa ne ha se ci vive solo lui e si trova incastrato tra turisti cinesi e l’ascella di un bodybuilder alto tre metri. Per fortuna tutto quel circo dura solo qualche minuto perché di nuovo in superficie, mi rilasso a fare lo scemo con un amica fino a che diventa quasi ora di cena…l’accompagno al tram, castello sullo sfondo, lei sopra vicino alla porta, io sotto che per una volta son serio e cerco di formulare discorsi con un senso, artistici e complessi…e quasi arrivo al dunque quando ecco che mi scorre davanti del vetro ricurvo, e plastica e luci riflesse e poi tutto silenzioso si muove inaspettato come il trucco della tovaglia strappata via dove sul tavolo restano immobili piatti e vasi con fiori…rimango li con il castello, il mio discorso a metà, un cappellino in mano, lei portata via e freddo…tanto freddo.

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Pillola del 209° giorno – Meglio ieri

Sono a letto da questo pomeriggio, non sono tornato a lavoro. Sentivo questa fitta sul fianco fastidiosa che non riuscivo a stare seduto…figurati concentrato a lavorare, non ho combinato un cazzo di niente, passava la Capa a dirmi cose…raccomandazioni e scadenze e di tutte quelle parole non ricordo nulla, non ho segnato nulla, troppo preso a ricercare la posizione meno scomoda per sopravvivere fino alle 13. A casa arriva la nausea, subito combattuta con un piatto di fusilli al sugo. Non funziona. Mi imbottisco di farmaci, mi sdraio e accendo la Tv dove trovo Stargate…il film…e io dico “Fico…lo guardo…è una vita che non lo vedo” ma poi quelli della Mediaset sentono l’esigenza di farsi insultare e non mettono mezzo sottotitolo in un film dove il 90% del tempo parlano in antico egizio inventato e questo Dio solo lo sa quanto mi fa incazzare.

Sto li svaccato che do tregua al fianco ed ecco che si formano delle fiacche sulla lingua non so perché…le torturo masochisticamente con i denti e non so perché…poi è il turno della gola. Deglutisco e fa male…linfonodi che sembrano uova di struzzo…non ho la febbre ma sarebbe il male minore visto che arriva pure mal di testa e mal di denti, premo il naso e mi fa male il dente che sta dopo i canini…non ricordo come diavolo si chiama…John…lo chiamerò John. Premo il naso e mi fa male John e non so perché.

Alle 16 ho già disdetto gli appuntamenti serali che so già come andrà a finire, quando parlo ormai sembro Barry White, tossisco come Clint Eastwood in Gran Torino, nella gola sento un Alien, la testa è ovatta calda fritta in padella, il dente pulsa. Unica nota positiva è che ho trovato inaspettatamente una via per far partire una mia idea fotografica che avevo in mente da tempo, arrivata cosi, dal cielo…come questa mezza influenza-infezione-cistite-checazzoneso presumo e via con un’altro disco effervescente nel bicchiere.

Qualcosa di positivo quindi…certo, non è la figa bella intelligente e simpatica e innamorata pazza di me che andavo chiedendo ultimamente ma in una giornata di merda come questa direi che posso anche accontentarmi.

A ecco…ho finito le tachipririne.

Riflessioni/rifrazioni/direzioni

Sono al telefono con un’amica. Le voglio bene, anche perchè spesso ci ritroviamo nelle stesse situazioni e ci diciamo le cose che vogliamo sentirci dire. Periodo difficile per lei, come per me. Sono risoluto, logico, pragmatico, forse anche duro quando le parlo, ma è quello che al momento le serve ed è anche quello che al momento MI servirebbe, ma con me stesso non riesco ad esserlo.

“I will hold on hope”

Varese. Di nuovo.

Normale vivendoci da 27 anni ma stavolta, nessun elogio a colori o cinema. Oggi parlo di me.
Stato d’animo variabile, come il meteo. Non sereno…in realtà non lo è da un po’, ma anche questo fa parte della vita. Troppo difficile capire le persone, soprattutto quando ti cambiano, insieme agli eventi. Ferite, colpi, carezze, tutto contribuisce.
Di solito amo guardare le persone. Mi interessano e gioco con loro, creando storie, osservando i piccoli gesti del loro muoversi, i tic, gli sguardi. Mi divertivo, una piccola attrazione in quel grosso Luna Park che è la vita, perchè è cosi che la vedevo, fino a poco tempo fa. Un parco divertimenti, in cui non c’è mai nulla da prendere troppo sul serio. Poi però arrivano le persone e gli eventi e il Luna Park chiude, fine dei giochi e ti ritrovi davanti ad un’entrata sbarrata, da solo, cambiato forse per sempre.

Buongiorno!

Succede che stamattina mi sono svegliato presto. Presto per le miei abitudini, anche se da poco più di un mese a questa parte gli orari sono questi. Non ho neanche acceso il notebook per perdere un po’ di tempo. Pillola, una corsa in bagno e via, verso il bar per la solita colazione. C’è il passaggio a livello chiuso, cazzo è sempre chiuso quel passaggio a livello, su un’ora credo che starà chiuso 10-15 minuti massimo, ma ogni volta che lo devi attraversare lo trovi chiuso.
Via cambio disco, che basta Pink Floyd, apro il vano portaoggetti, c’è una pila scomposta di CD, prendo il più comodo, è un masterizzato, non c’ho manco scritto sopra cos’è. Lo metto su lo stesso, che basta Pink Floyd.
Sono i Negrita, neanche ricordavo di averli. Da lì alla seconda traccia il passo è breve.

“Qualche giorno bastardo lo passo da me / rintanato e rinchiuso lo passo così / Così stanco di tutto e di tutti chissà… / questi giorni son giorni che vivo a metà. / E viaggio in un mondo che forse non c’è / tra cent’anni di libri e i miei sogni da star / e un bagaglio di giochi truccati perché / non mi viene la vita che voglio per me.”

Mi sento un po’ preso per il culo, ma la strada verso l’ufficio è corta, è routine, e in un attimo sono davanti alla porta. Qua è tutto chiuso da venerdì mattina, la stanza è fredda come un cadavere, ho anche dimenticato gli occhiali. La consolazione di dimenticarseli è che ci vedi piuttosto bene anche senza, altrimenti non li avresti dimenticati. Accendo la luce, accendo la caldaia.

E 13.

Ma che è stamattina??? Boh la fiamma arde lo stesso, il gas brucia, e i termosifoni si scaldano. Se salto per aria dite ai carabinieri che la caldaia dava errore E13. Mi dispiace solo per chi è rimasto senza sito. Glielo avevo detto che andava alla lunga, ma non immaginavo così alla lunga.
Che poi di lavorare proprio non ho voglia, e infatti sono qui che scrivo testo invece di codice, anche se io non dovrei essere qua prima di un’altra mezz’ora, e allora se perdo tempo non c’è nulla di male. Questo non significa che non lo perderò quando invece, di male, qualcosa ci sarà.

La mattina è cominciata dal verso giusto comunque, poteva cominciare in milioni di modi peggiori, e visto che le nove si avvicinano, e visto che l’ufficio si sta scaldando, e visto che anche senza occhiali le scritte mi sembrano più definite del solito, io mi levo il cappotto e mi preparo ad un’altra settimana di niente.

Buongiorno anche a voi!

Escursione. Termica?

Corro e sento freddo.
Va bene, posso capirlo i primi minuti…anzi che dico, secondi…ma dopo 28 minuti sentire freddo? No no, c’è qualcosa che non va. Attivo il mio sistema di biocontrollo, una specie di check up del sistema.
I polpacci? Sono ok.
Le gambe? Sono ok.
Le scarpe? Sono ok. Ho pure evitato tutte le pozzanghere, cosa rarissima per me.
La testa? No, ok pure quella, o almeno, dal punto di vista della temperatura, perchè dentro c’è un macello.
Alzo lo sguardo e osservo il cielo, nessuna goccia sul viso.
Stasera non piove e la felpa è asciutta. Ieri pioveva e la felpa era bagnata.
Avevo freddo? No.
Non è che il freddo è dentro? Controllo. Un po’ di malumore, un po’ di buonumore, un sano equilibrio che mi invidiano a naso circa 2-3 miliardi di persone. Quindi non è dentro. Quindi è ok.
Provo a correre più veloce, magari son troppo lento. Nulla, sempre quel freddo.
Faccio un giro diverso e imbocco il salitone, qua faccio fatica a questo ritmo, non posso avere freddo.
Invece ho freddo.
Mi giro, guardo se c’è un tizio in nero, con mano scheletrica e falce a meno di un metro da me.
No, non c’è nessuno.
Ma allora cos’è? Arrivo alla discesa, il passo si allunga e solo allora capisco.
“Cazzo…mi si sono strappati i pantaloni!”

Dislivelli

Vi odio.

Un odio da fastidio, di quelli che durano 3 minuti ma in cui ti incazzi a morte. Una serie di eventi, conseguenze di eventi ed altri eventi conseguenti che si trasformano in due semplici ma mortali parole.

Vi odio.

So che state già facendo nomi, ipotesi, congetture, magari anche confetture e in questo caso ricordate, adoro quella di arance amare ma nulla di tutto questo, non ci sono nomi, luoghi, torti subiti, amori mancati, nè multe ingiuste nè punizioni giuste. Io odio i dislivelli. Semplicemente.

Sono in una posizione comoda, sdraiato mollemente sul fianco sinistro, il mio profilo più comodo e guardo la TV. Di solito odio anche la TV ma stasera sono stanco, stanchissimo e decido che una chance di redenzione gliela dovrò pur dare. Ora…prima di sdraiarmi, come potete ben intuire ero in piedi. Entro in camera, accendo decoder di Sky e TV con il telecomando, spengo la luce e mi sdraio. Un lampo bianco e immagini confuse mi fanno capire che la televisione è pronta a mettersi all’opera. La luce del decoder si ravviva e da ambra diventa verde, anche lui è pronto a ballare.

Il nero smagrisce. Il grigio confonde.

Parcheggio sotto un platano che ancora non è convinto che sia autunno. Sicuramente è l’invidia di quel parcheggio, l’unico ancora ben carico di foglie mentre gli altri attendono fermi e stempiati che arrivi l’inverno. Mi allontano dalla macchina, una punto tra mille punto. Unendo le punto chissà che figura ne uscirebbe, forse è uno dei passatempi di Dio…chi lo sà.

Out of Memory

Esco a trovare un po’ di amici. 5 euro dentro il portafogli e la carta bancomat. Apro il portone e la strada è bagnata, la luce dei lampioni rivela una pioggia finissima ma insistente. Salgo in macchina, direzione banca. La solita dove vado a fare bancomat anche se non è la filiale dove mi servo. Secondo me là dentro hanno la mia foto con su scritto “WANTED”. Saranno 5 anni che faccio regolarmente bancomat lì e non ho mai visto la faccia di un impiegato. Ci sono andato anche la settimana scorsa, quando ho ritirato 50 euro senza problemi. Infilo la tessera, guardo il tastierino e solo una frase nella testa: “e adesso quale cazzo è il codice?”

Mi ha abbandonato anche lei

Questo è un mese nero per i miei affetti…sarà la primavera…

Stavamo andando a cena, solo un po’ in ritardo, ma niente di preoccupante. Eravamo arrivati a più di metà tragitto, e proprio usciti dalla superstrada, dopo aver dato la precedenza all’incrocio, lei si mette a titubare e singhiozzare, non sa cos’ha. Lì per lì credo di aver fatto qualcosa che le ha dato fastidio, ma niente, non era colpa mia. Provo a riprendere da dove eravamo rimasti, ma nulla…lei singhiozzando mi fa capire che non ce la fa più, che non può più andare avanti in quel modo. Mi molla lì…proprio in mezzo alla strada. Non avevo la minima idea di come confortarla, di come prenderla, toccarla. Fermo, lì, abbandonato, in mezzo alla strada.

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