Brava Giovanna, brava

Tag: solitudine

Pillola del 210° giorno – Meglio di ieri

Secondo giorno da mezzo influenzato…le cose migliorano, l’uovo di struzzo ‘sceso’ e digerito, bombardamento di farmaci che mi ha reso il mal di testa e il mal di gola sopportabile o forse sono le radiazioni dei film a catena continua che metto in TV che mi desensibilizzano il cranio mentre mi faccio del male tormentandomi la bollicina che sta sulla punta della lingua.

Mi sono sparato qualcosa come 4-5 film di fila e per concludere, per parlare di germi, ‘L’esercito delle 12 scimmie’ ora scorre nel suo genio e follia sul tubo catodico Philips anno 1998.

“I germi non esistono, sono soltanto un’invenzione creata apposta per vendere disinfettanti e saponi.”

Sarò breve, non ho voglia di scrivere fuori dal letto, in balia di spifferi provenienti dal cassone della tapparella, dimora di ragni e bestiacce e vento continuo, voglio solo sbomballarmi nel letto e davanti alla TV che oggi ho pure fallito con il tentativo di uscire fuori…c’erano sconti e grosso shopping da fare che per uno come me è motivo di giubilo e di grande carica ma nulla, collassato. Esco solo stamattina, c’era da andare in posta per forza…roba di lettere da inviare urgentemente…mi accompagnano in macchina, prendo freddo giusto qualche minuto e già mi basta per iniettarmi dolore nelle vene del cervello, fitte lancinanti. Poi subito il muro caldo della posta appena oltrepasso la porta a spinta, vecchi che si lamentano, un bambino che gioca con la cordicella di una penna, la tizia allo sportello che senza fare rumore dice e ridice “Non ce la faccio più”…lo leggo dal labiale. Io tossisco e spargo germi di questa nuova malattia nell’aria aspettando il mio turno. Dovranno sicuramente mandare qualcuno dal futuro per fermarmi prima che per il mondo sia troppo tardi, l’epidemia inizierà da qua. Pago 70 centesimi allungando una banconota che a proposito di germi e schifezze, sono la cosa più sporca che esista, sia come igiene che come morale. Mi allontano da vecchi, bambini e sportelli POSTAMAT elettronici, fuori freddo e subito nel Lupo con Sorella che mi aspetta sull’uscio sgasando.

A casa inizio con il pianeta delle scimmie…quello vecchio…dovrei radermi pure io a vedere tutti quei peli farlocchi. Poi continuo con Matrix e cosi via…non misuro la febbre ma credo di averla. Come arriva la sera si sa, sembra sempre peggiorare la situazione…la tosse si fa un po’ più forte, ricevo due chiamate e la mia voce pare uscita dall’oltretomba. Io tutto sommato mi sento anche bene non fosse per la testa pesante, diciamo che ne approfitto…nessuno mi fa domande…nessuno mi rompe il cazzo con lavori…posso starmene schiantato orizzontale una volta tanto…non me lo concedo spesso.

Ora basta…ho Bruce Willis sullo schermo e questa sedia mi ha stancato…devo anche prendere lo sciroppo per la tosse…mi irrita la gola.

Germi del cazzo…anche se non esistono.

Pillola del 203° giorno – Frega sacco

Faccio un macello mangiando un’arancia comportandomi contro tutte le regole di bon-ton e decenza ma frega sacco, che è un modo di dire che mi sono inventato io e quando ero piccolo e felice, giù nel mio paese in Sardegna, avevo inventato anche l’azzerata, che consisteva nel rispondere tono su tono, battuta su battuta ad una provocazione…e se avevi la meglio, avevi “azzerato” l’avversario. Anni dopo, ancora si usa l’azzerata ma nessuno sembra sapere del mio copyright.

Non che mi importi ora, a trent’anni che mangio un’arancia vestito da emarginato da banlieue parisienne di sabato sera.

“Frega sacco” mi viene da dire.

Sto a casa, dopo un pomeriggio tra scaffali di roba trash dal sapore anni ’80 e cartoleria. Sto a casa perché non c’è nessuno stasera, che due se ne stanno a parlare controvoglia di bambini futuri e da spupazzare e giuggy giuggy gne gne gne bla bla bla. L’altro gioca a calcio e ci si vede ogni mille anni. Due li abbiamo persi per strada tra essere troppo grandi e questioni di priorità. Poi gente malata, gente impegnata, gente lontana.

Non che avessi particolari voglie o interesse nel vedere qualcuno oltre al mio amico-canarino Microchippy, che sgranocchia insalata e mi guarda curioso, non sapendo che lui è l’essere vivente che più mi assomiglia nel mondo intero…che siamo in gabbia e non riusciamo a spiccare il volo, anche se lui le sbarre le vede…passiamo gran parte del tempo a mangiare, dormire e saltare su sbarre e pezzi di metallo, anche se lui fa pure il mortale indietro quando qualcuno lo osserva da vicino…siamo soli entrambi, anche se per lui le cose cambieranno. Spero.

Destino ha voluto che lo salvassimo e ora…non si può più liberare senza che diventi merenda per cornacchie in tre minuti e a me sta cosa spiace…di vederlo in gabbietta come un matto dico…quindi, ho pensato di comprargli quanto meno voliera e canarina per innamorarsi un po’, che lui farebbe lo stesso per me se conoscesse fighe single umane.

Ho proposto la cosa in famiglia…soliti discorsi “costa troppo” e “serve spazio” e “non è momento di spendere soldi in robe cosi…”

“Niente regali fra di noi…e con quei soldi…voliera e pollastra a Chippy” dico

Frega sacco a me dei regali.

Pillola del 195° giorno – Andiamo a Berlino!

Tipico mio questo, che quando dovrei essere esaltato e trepidante per un qualcosa di nuovo mi scende addosso un’apatica noia e una poltronite acuta che mi tocca affrontare e sconfiggere ad ogni ‘Gate’ o ‘Terminal’ di partenza.

Sto qua, che riempo un mini-trolley quasi da donna di indumenti tra cui mutande calze per completare poi l’opera con un contorno di caricatori per cellulare e macchina fotografica, spazzolino, bagnoschiuma, asciugamani morbidi profumati…e quasi ho l’ansia.
E dire che se me lo chiedi io ti dico che viaggiare e vedere posti nuovi e conoscere gente è la cosa che mi piace di più e fidati che non è il discorso “sei bravo a parlare..:” no no…perché poi le cose me le godo più che posso…è proprio una roba mia…forse scarso spirito di adattamento o di avventura pure…ma non credo. Uno dice “paura dell’aereo” ma io rispondo che nell’ultimo carro buoi con le ali preso, l’unico tranquillo che quasi dormiva, mentre il mondo attorno era di lampi e fulmini e ali che fluttuavano a biscia incazzata, gente in panico, vomito a fiumi…bhe ero io.

Mi succede prima dei capodanni…e nel pre-serate post-doccia sdraiato sul letto che attendi le 22 e pure nelle uscite con ragazze che magari anche mi piacciono.

Ho l’idea che mi viva situazioni del cazzo dentro la mente, inconscia-mente visto che non me ne accorgo. Situazioni che poi nemmeno accadranno. Situazioni paurose o di imbarazzo e di difficoltà in cui io devo tirare fuori gli attributi e fallisco cosi mi abbatto a livello psichico e sono in un limbo in cui preferirei rimanere al calduccio a casa tra le comode mura di una confortevole apatica noia piuttosto che uscire e fare quello che mi piace.

Ma ci sono abituato, lo so che poi cambia anche se io non cambio. Questo me stesso mi ricorda quando Beppe Bergomi, composto, serio, vestito sempre come un geometra in pensione, esplode in un “Andiamo a Berlino!” nella semifinale vinta contro la Germania.

Una frase normale ma detta con carica da bambino esaltato che mai ti saresti aspettato da uno come lui.

Ecco, stessa cosa. C’è solo da aspettare il Gate di domani.

Pillola del 192° giorno – Il camion dei gelati

Stasera mi sento un camion dei gelati. Arrivo bianco lucido e la musichetta che fa ‘Tin Tin Tin’ e il clacson ‘Papparapà’ e un gelato sorridente disegnato sulla fiancata. Dentro, pistacchio e cioccolato, crema, ghiaccioli e lecca lecca e tutti, grandi e bambini escono felici “C’è il camion dei gelati! C’è il camion dei gelati!” urlano. Grida e risate. E Gelati.

Poi tornano in casa e io torno in garage e li è sporco e buio e non c’è nessuno.

Pillola del 188° giorno – Che tanto fra 5 miliardi di anni è tutto finito

Seduto, tavolaccio di legno di un pub, tre luppoli dentro una bottiglia di Bock marrone mentre si discute di donne e moto, giusto qualche giorno fa…
 
Si presenta questo tizio che non conosco…do la mano, lui la stritola e la cosa non mi piace, come se ti prestassi la macchina e me la riconsegni schiacciata sul muso, senza portiere e con un barbone morto sul cofano.

“Grazie…”

“Si prego…però…cazzo…la macchina…”

“Ah si…però grazie eh…”

Ora…vorrei dimostrargli che il parkour serve a qualcosa reagendo con una contromossa che gli demolisca i metacarpi ma si sa come finiscono queste cose poi…una tira l’altra, ripicche su ripicche e finisce che la prossima volta porta un amico pugile da presentarti ed invece di darti una pacca sulle spalle ti gonfia di botte in un angolo.
 
Sapete cosa dimostra tutto questo schiacciare le cartilagini altrui? Dimostra il tipico atteggiamento di ‘cercare di far vedere qualcosa’…che io son forte che ti stringo la mano durissimo…te la presso bastardo, te la spacco quella mano hai capito?
 
Fai come ti pare ecco…mica mi interessa…mi dà solo un po’ di fastidio anche perché poi ci penso ed un sacco di volte nella catena dell’apparenza ci finisco pure io e mi do fastidio da solo.
 
Oggi ad esempio, vado a messa…non per quale strano motivo eh…è che i miei credono che frequenti spesso ma in realtà no ma oggi non avevo alternative divertenti e stare a casa nascosto in un armadio non mi garbava, troppo scomodo e ho il torcicollo. Quindi decido di andarci davvero per una volta, sedermi in fondo ad osservare come il cameramen in un documentario sulle bestie della savana…capire in cosa credono quegli altri lì che in fondo, se ci penso, credere sul serio sarebbe bello e comodo anche per me.
 
Nel trucco dell’apparire ci cado appena entrato, subito a puntare la figa nel coro mentre maledico la mia barba incolta, i capelli non rasati e i vestiti da barbone tossico. Arriva il momento delle offerte e io tiro fuori il portafoglio ma dentro ho solo trenta centesimi e i rimasugli di una SIM. Le vecchie attorno intanto sventolano buste e bigliettoni, sembrano brooker all’apertura di Wall Street, mentre io non so che fare con la mia evidente indigenza.
 
Mi creo un piano subdolo con cui possa cavarmela senza passare in quei terribili secondi in cui sei l’unico che non butta dentro monete e guardi in basso fingendoti distratto o peggio…addormentato.
 
Il trucco che escogito sta nell’infilare la mano dentro il buco sulla stoffa che copre il cestino e ‘lanciare’ le monete nell’angolo più buio. Faranno casino rimbalzando sul resto di quella riserva di Nickel. Sembrerà che abbia gettato una manciata d’oro e l’omino delle offerte non vedrà nulla…che quello lì se lo osservi bene sta sempre a guardare in basso, verso la fossa dei soldi, scannerizzandoti il bilancio bancario con due occhiate.
Eccolo che arriva appunto, completo grigio, leggera protuberanza addominale, camicia azzurrina, occhiali e occhi che osservano. Tutti buttano dentro qualcosa…ed ogni volta mi sembra di notare nell’omino un leggero “Si Si” di approvazione severa fatto con la testa. Quando me lo trovo di fianco uso la mossa dello scorpione…così l’ho chiamata…e lancio le monete.
Forse sarà la più grande dimostrazione dell’esistenza di un Dio burlone della mia vita…non so…sta di fatto che le lancio non so come sopra il cestino…e cadono sulla stoffa. Tutti vedono, tutti fanno ’10 + 20…30′. L’omino non lo guardo in faccia ma di sicuro ha stampato un ghigno di sdegno e scomunica.

Raccolgo dalla stoffa e butto dentro…pure il ‘tin’ è misero.

Con vergogna passo in rassegna gli errori fatti con ‘lo scorpione’ ma qua la fisica non c’entra nulla, semplice beffa divina che comincio a capire il perché gli altri alla fine ‘credono’…certe cose non te le spieghi.

Il problema è che me ne dovrei fregare, fare come la vecchina povera al tempio al tempo di Gesù con l’unico obolo distesa per terra, che mica è di queste cose che devi preoccuparti, fottitene e passa oltre che la vita può finire in un attimo. Una fuga di gas ed esplode tutto, kamikaze iracheni musulmani che entrano con autobomba dalla sacrestia oppure una laserata di onde gamma e plasma che arrivano da una supernova.

A questo non avevate mai pensato eh? Cadere dalle scale…incidente in macchina…ma supernova mai vero?

Una sera di due settimane fa non so come sono finito a parlare di cosmologia avanzata con un mio compare. “Tanto la terra sparisce fra cinque miliardi di anni…inglobata dal Sole che diventerà gigante rossa…” gli dico, fiero e saggio.

Il mio amico ride a squarciapalle…si lo so che si scrive crepapelle…bhe comunque ride e risponde

“Ma te sei folle…a parte che ci saremo già estinti o saremo diventati delle robe alte tre metri senza palle…senza cazzo…senza peli e che si autoriproducono…ma sicuramente prima o poi arriverà qualche cazzo di onda d’urto cosmica di raggi gamma e neutrini che ti riducono tipo Plasmon liofilizzati tempo dodici secondi…”

Si insomma…tu sei li con la tua morosa sulla spiaggia di notte che vuoi trombare mentre lei è li che fantastica dolcemente sul cielo stellato che è vecchio di qualche milione di anni…come vedere diapositive di vent’anni fa…e ti arriva questo fascio di particelle cazzute che ti riduce in carbone e non ti sei manco abbassato la zip.

E’ successo che da qualche parte cinque minuti fa, all’angolo tra la 5° strada stellare e Alpha Centauri una stella è esplosa e nessuno lo poteva sapere. Fuga di gas cosmica. Tutto finito.

C’è da andare in giro spaventati altroché…ti becchi uno davanti che ti vuole rapinare “Dammi tutto quello che hai!” ed ha una pistola in mano. Ci sarebbe da rispondergli “Ma che cazzo fai con quel pistolino…ma non sai che magari ci sta arrivando una pallottola di radiazioni a 800.000° gradi e fra due secondi siamo morti?” Gli prendi la pistola dalle mani e lo abbracci.

Ecco perché sta cosa dell’apparire alla fin fine è davvero una perdita di tempo, un vero spreco. Pensiamo un po’ più semplice.

Ritorno dal viaggetto cosmico di nuovo sulla terra. La messa è alla fine, la figa del coro canta insieme con le altre.

“E quando il sol si spegnerà e quando il sol si spegnerà o Signor come vorrei che ci fosse un posto per me…”

Che vi dicevo? Un Dio burlone.

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Pillola del 173° giorno – Alpha

Inizio a scrivere forse in terza o quarta superiore, era un tema…il commento ad una poesia, il mio primo grosso lamento su carta. Quattro facciate di protocollo, tre righe di commento standard e altre ottantasette sul come mi sentivo quando mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo, di come vedevo riflesso qualcun altro e se parlavo…non ero io a farlo, chissà da dove veniva fuori quella voce.

Torno a casa, a mia madre dico “è andato male”

Quattro giorni dopo prendo nove e i complimenti pubblici della prof., un paio di compagne che mi chiedono di poterlo leggere e io penso che forse è la prima volta che credono che abbia davvero qualcosa di profondo da dire oltre alle battute, alle cazzate, a fare il simpatico…anche se è sempre stato tutto li dentro, fin da piccolo…è sempre stato cosi.

“Posso?”

“E’ un po’ personale…”

“Beh se non vuoi…”

“No dai…tieni…”

Leggo Norvegian Wood di Murakami, passo giornate a parlare con gente virtuale, le uscite con gli amici, inizio a scrivere pensieri, leggo ‘L’Alchimista’ di Coelho dopo un’adolescenza a coltivare sogni di avventure con Cussler, Crichton, Tolkien. Amore…prendo e perdo. Amici…prendo e perdo, come perdo anche occasioni…e perdo colpi…e cado e mi rialzo, ricado, mi rialzo, cado ancora e non mi rialzo più. Stanco, mi infilo in una gabbia di paura e timidezza dove scrivo poesie…un disastro…melense, piene di metafore, immagini figurate, unte e bisunte, grasse, farcite, disgustose. Scrivo cose terribili, sperimento l’andare giù e sentirsi un vero alieno, non esco con nessuno, non rispondo a nessuno, invento scuse, bugie, cazzate e sto nella gabbia, al buio, a lamentarmi, a mangiare ed ingrassare finché dalla porta non riesco nemmeno più ad uscire e scrivere…smetto anche con quello, mangio e ingrasso e basta, ancora e ancora…

Poi mi addormento.

Mi sveglio quando sento che le sbarre mi lasciano segni e fa male, mi rialzo e cerco di uscire ma ci vuole tempo. Aspetto. Ancora tempo. Aspetto ancora e intanto reinizio a scrivere finché la porta non si allarga o forse sono io a stringermi ed esco di nuovo e recupero gli amori, gli amici, la bella scrittura, il mare, le giornate di sole, correre finché il cuore non scoppia, risate, marmellata alle arance, figure di merda, lavoro, università, sbronze, cotte estive, ragazze che pensi siano troppo belle, la gente di merda, le giornate in cui lasci l’ombrello a casa e ti becchi il diluvio e a te non te ne frega un cazzo che l’importante è che ci sia la musica.

Cresco, ormai uomo o almeno credo o almeno cosi mi dicono e continuo a cadere, rialzarmi, cadere di nuovo finché non imparo che cadere e rialzarsi è il succo della vita…è cosi, sarà sempre cosi. Quando mi rialzo lotto, vinco e perdo, conquisto persone e cose, rido, piango, soffro, amo allo sfinimento e mi incazzo, bugie e troppa sincerità, faccio lo stronzo, sono troppo buono, intrattabile, solare, meschino, pazzo, folle, energico, sudato, positivo, a volte in piedi, a volte a terra…in piedi…a terra…in piedi…a terra…ma ormai ho capito la lezione mi dico, le cose cambiano anzi, sono cambiate…d’altronde le strade portano sempre da qualche parte…o almeno credo, o almeno cosi mi dicono.

Poi un giorno rientri in casa, più di dieci anni dopo, stesso specchio di quel tema e non ti riconosci…il riflesso è quello di qualcun altro, parli e quella voce non è tua e quindi, nonostante quello che credo, nonostante quello che mi dicono…cosa è cambiato?

Pillola del 164° giorno – Il gatto d’oro

Quel gatto dorato agita il braccio e credo che se continuassi a guardarlo mentre saluta, vomiterei per terra.

Il ristorante cinese da fuori sembra un Briko dismesso e forse lo era, non ci sono nemmeno le insegne e non l’ho mai visto prima di oggi. E si che ci sono passato davanti mille volte. Dentro, la classica sensazione “qualcosa non quadra” che da fuori non te lo immagini così grande, così vuoto e pieni di tavoli e cinesi e porcherie ed invece lo è grande, bianco, nero, lungo, largo. Faccio un mischione, unisco pollo, patate, pesce, riso, salse, crostate, gamberi in un sacca, cospargo tutto di vino bianco e rosso e acqua. Sacca agitata prima e dopo l’uso.

A lavoro è un problema, sento gli occhi che quasi si chiudono, lo stomaco che scoppia e lo scaldotto che riscalda e il monitor che bombarda di radiazioni. Riesco a trascinarmi fino alle 17, in qualche modo, per poi uscire, ed è sereno il cielo per una volta in tre settimane. Centro commerciale, 18 passate. Sono dentro per comprare cose ed osservare, come il resto dell’umanità che tanto critico ma da cui non mi riesco ad allontanare. Fallisco negli intenti, non compro nulla e scivolo via da quella folla e quel posto che mi sembrano strani…che anche il mio amico dice “oggi è tutto strano e triste” e non gli chiedo il perché, non serve, non si spiega certa roba. Ci infiliamo nervosi nel bar della piazza, dove mi alleno. La cameriera stavolta è vicina, ci scherzo, ci parlo, noto l’anello nella mano…peccato…forse non è libera. Beviamo e pago. Non le chiedo il nome, dimentico sempre un passaggio.

La storia finisce in un altro ristorante. Nessun gatto ma tavoli di lusso, camino acceso, profumo di qualcosa di indefinito e nostalgico. Sono qua per ordinare una pizza da portare via, anche se non sembra il posto giusto ma d’altronde bisogna pur campare, si sono adattati.  Anche qua, come dai cinesi, è tutto vuoto. Quello che entra a prendere l’ordinazione lo conosco e mi è sempre stato sul culo anche se non ci ho mai scambiato una parola. Mi stava sulle palle per come camminava, per come andava in giro per Varese, per come si vestiva. Me lo ritrovo davanti super professionale con completo elegante e voce gentile, molto cortese, non pensavo lavorasse ma che vagasse nel nulla senza scopo, infelice e stronzo, debole e vuoto. Forse invece è la persona più buona del mondo, è felice, porta avanti quello che ama mentre io…forse sono io la merda.

Quando usciamo con la pizza è tutto molto insolito.

C’è l’odore del pomodoro e del basilico in macchina, e piccoli pezzi colorati in cielo e le sensazioni di quel ristorante, il legno e il camino, le luci soffuse, il buio sulle pareti piene di bottiglie e i tavoli vuoti, cinesi e italiani, il tipo e il gatto d’oro.

Mi sento pieno di spazio e tavoli vuoti, vecchi odori, sedie polverose e un silenzio malinconico.

Mi sento un po’ solo.

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163° giorno – Diario di un pesce fuor d’acqua

Sento freddo e oggi qualcosa non ha funzionato nel mio orologio interno: sono le 7:32, sono in ritardo. Avrò minuti da dover recuperare a lavoro, un po’ qua un po’ là. Spero non più di venti. Eppure questa notte l’orologio, in mezzo ad un sogno tormentato, mi ha fatto alzare per andare a pisciare e mi ha rotto il sonno alle 4:52, puntuale come al solito, perfettamente funzionante e io sveglio, in apnea e senza branchie.

Freddo dicevo, tempo di abbandonare le lenzuola leggere e mettere sopra qualcosa in più, almeno uno strato di canottiera e non nudo come mamma mi ha fatto. Tempo di accendere anche lo scaldotto a lavoro, elettrico e da infilare in mezzo alle gambe “cosi diventi sterile…” come dice la mia Capa…e sono le 8:12, meno di venti minuti da recuperare mentre il Senior oggi, pare un inglese di mezza età in procinto di andare a pescare. Quasi tutto beige..gilet beige, maglia beige, pantaloni beige ma cappellino scuro stile basco ma non proprio basco. Non ricordo come si chiama…quel tipo di cappello dico perché lui, il Senior, si chiama Lorenzo, “come Il Magnifico”. Lo dice ogni volta, “Lorenzo…come Il Magnifico!”

“Ma vai a fare in culo…”. Lo penso ogni volta, “A…Fare…In…Culo”

L’altro ‘nuovo’, lo chiamo ‘Warren W.’ perché cosi è scritto sulla felpa, dietro, sulle spalle, ricamata in bianco su sfondo blu, circondata da loghi, bandiere, numeri. Appariscente anzi no…brutta. Sembra il cartellone di un gioco in scatola senza regole. Quando entro, lo trovo stravaccato su una poltroncina a giocare con il suo cellulare e so che andrà avanti cosi fino alle 10 o le 11. Poi, farà finta di chiamare qualche fornitore, perché c’è la Capa in giro e non gli pare bello. Non che faccia male eh…d’altronde è qua da una settimana e nessuno gli ha ancora detto il perché sia stato assunto e non vedo cos’altro potrebbe fare se non vagare come uno spettro nullafacente per la ditta, bere caffè, controllare l’estratto conto gonfio di 30 euro in più ogni ora, andare su Facebook, chiaccherare con qualche vacca. Ha sempre questo cazzo di mezzo sorriso sul viso che lo capisci anche senza conoscerlo che dentro c’è il DNA di una faina. Non ha voglia di fare un cazzo.

Lo odiano tutti.

Alle 12:06 me lo trovo davanti che si mette la giacca. Sta zitto qualche secondo, io lo fisso e lui mi fissa.

“Io faccio quello che se ne và…” mi dice, tirando su il mento, mezzo sorriso verso destra.

“Ecco bravo…vai pure..vai a fare in culo pure te.”

Non glielo dico, ma rispondo “Buon appetito” invece. Esce e rimango da solo…per fortuna.

Innervosito…oggi sto stretto. Sto stretto tutto. Oggi il mondo mi sta stretto. Tutto. E le persone e le relazioni che ho, strette. Tutte. E voglio più spazio, voglio allargarmi, voglio di più. Più largo. Voglio amare tutte le donne che conosco. Tutte. E spendere tutti i soldi che ho. Tutti. Correre in macchina fino al limitatore e radiatore in fiamme poi scendere e sentire il ‘TA-TAC’ del motore che si raffredda. Freddo. Più movimento, più emozioni, “Citior Altior Fortior” come i latini…più veloce, più alto, più forte. Di più. Più ‘più’, che oggi tutto è stretto. Tutto. Stretto, dal mondo alle donne, fino ai vestiti. Mi sta stretta questa felpa nera da lavoro e stanno stretti i jeans due taglie più grandi, stretti che li sento appiccicati addosso e io mi sento un ciccione, la pancia larga, il petto largo e sto stretto dentro il mio loculo lavorativo, piccolo come l’abitacolo di una Formula 1 anni ’40 con anche lo scaldotto adesso, infilato li in mezzo con i suoi bottoni, le sue rotelle e il suo calore che non si riesce mai a regolare decentemente. Stretto come un pesce in una boccia di vetro.

Si, mi sento un pesce ora, un pescione…una cernia. Stretto.

“Chissà come si fa saltare a fuori” mi chiedo, ora che sono pesce.

“Anche se ci riesco…” penso “…c’è sempre il problema di respirare…mi risveglierei pesce e desidererei i polmoni…”

“E anche se respiro poi che cazzo faccio…con quelle pinne ridicole…viscido…non mi sposto da dove cado…”

Sono pesce da nemmeno un minuto e già mille problemi, vorrei essere qualcos’altro…e dire che da umano ci ho messo quasi trent’anni a desiderarlo. Ora che sono pesce e nuoto lungo quella curva trasparente, cagando fili, scuotendo pinna e coda, raggiungo il nirvana e mi accorgo che invece di pesce vorrei essere rospo.

“Da rospo potrei balzare dalla boccia e una volta fuori tento la fuga…potrei saltare in giro respirando ossigeno e poi come va va…magari mi becco la principessa con la bocca di pesca e bacio facile. Troia. Oppure tossici leccatori di dorsi. Drogati. O coccodrilli affamati. Probabile…”

Il rischio vale la candela? Avevo vent’anni quando Dave Matthews in Big Eyed Fish cantava di un pesce che saltava fuori dall’acqua perché voleva di più, voleva volare, diventare un uccello.

“Look at this big eyed fish swimming in the sea. Oh how it dreams he wants to be a bird, swoopin’, divin’ through the breeze so one day, caught a big old wave up on to the beach, now he’s dead you see, beneath the sea is where a fish should be…”

Il pesce fa un salto, saltando sopra un onda, ma finisce sulla spiaggia. Muore. Il succo è che per Dave c’è da guardare per bene il verde del nostro giardino che non fa cosi schifo, che è colorato pure quello.

“But oh God under the weight of life…things seem brighter on the other side…”

E chi lo sa chi ha davvero ragione….magari Dave. Magari io. Magari dipende.

Io so solo che quando esco e cammino…con la pioggia che scende e tutto attorno è fango e acqua e non c’è sole, non c’è luce, a casa non c’è nessuno e per mangiare ti dovrai arrangiare e le gambe sono stanche ma domani si ricomincia comunque…ecco…in questi momenti penso che non si ami mai abbastanza, non si osservi mai abbastanza e non si viva mai abbastanza e quello che hai non può bastare..non basta mai…ti sta stretto.

Forse è solo un’illusione della mente, una piccola allucinazione…ma quando in queste giornate penso a queste cose e guardo li in fondo, verso l’orizzonte, noto una specie di curva che sale in alto e l’immagine del cielo un po’ si distorce e anche la luce sembra che si attenui, diventa più opaca e le nuvole sembra che si fermino.

Provo a seguire quei leggeri riflessi e comincio a girare tutto il collo e poi anche il corpo perché quella curva quasi trasparente corre continua e ora la vedo ovunque, distintamente, tutta attorno, circondato.

“Una boccia…”

Pillola del 131° giorno – Credito terminato

Vodafone mi avvisa che ho finito il traffico Internet ma potrei pagarli però, per continuare a farmi i cazzi degli altri e messaggiare. Credo non lo farò, anche se è il 5 settembre e ciò significa altri 9 giorni senza internet sul cellulare.

Potrebbe essere anche un’esperienza interessante.

Quando penso al mio rapporto con questa tecnologia, lo considero un po’ troppo morboso. Ci sto attaccato troppo, litigo troppo, faccio stalking, importuno persone con questa scatoletta e anche se non voglio, me lo ritrovo in mano pure quando esco con altre persone e sto seduto ad un tavolo invece di chiaccherare e ridere.

Che poi, stasera ero li con due amici, e il credito era già a zero. Cellulare appoggiato li, senza ipotesi di attivazione e solo due cazzate e la mia acqua tonica, ghiaccio e limone e mi è venuto da pensare che con quel coso in mano mi sarei perso un sacco di battute.

Ci preoccupiamo di stare in contatto con mille persone alla volta e spesso non sappiamo godercene nemmeno due.

Pillola del 109° giorno – Morte onirica

Guardo questo soffitto sdraiato su un quadrato di cemento pieno di disegni, vetri, sporco, bottiglie in frantumi. Non so perché lo trovi comodo, forse è perché non c’è nessuno che parla, che mi chiede, che mi sta attorno. Un giorno di un’estate fa, riuscii pure ad addormentarmici qua sopra. Mi sembrò un buon sonno.

Niente si muove, ” sono solo io vivo, qui” mi dico.

In certi momenti la solitudine è d’oro anche se ti senti sempre solo e ne hai abbastanza. È una solitudine diversa questa, non è quella che ti ferisce, che torna appena ti ritrovi circondato da persone, con le loro esistenze così lontane da me, così aliene. È più riflessiva ma meno personale. Tipo che adesso, che non ci sono voci ne pensieri, ho abbastanza spazio in testa per pensare al soffitto.

E se cade? Riuscirei a infilarmi in uno di quei vani, al riparo dalle assi più grosse, quelle che si fracasserebbero per prime? Ma come cadrebbe…dubito che possa precipitare così, perfettamente dritto, come se tutti i sostegni spariscano di colpo. Qualcosa si dovrebbe rompere, penso. Guardo con attenzione la struttura, da vite a vite, da sostegno a sostegno. Poi, riesco ad immaginare tutto quel legno che inizia a cadere quasi a rallentatore per poi accelerare, verso di me, che rimango sdraiato in attesa.

È come negli incubi, non riesci a spostarti.

Quando ancora c’era la stazione, vicino casa mia, sognavo spesso di ritrovarmi con un treno in arrivo, sempre più vicino. Le mie gambe erano insensibili, non si muovevano, svuotate da ogni briciolo di energia.

Mi svegliavo sempre prima dell’urto.

Non sono mai morto in un sogno…

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Pillola del 99° giorno – Prigione

Non so perché poi, il mio vero mondo inizia quando la sera entro nella mia camera e “la sera” entra nella mia camera. Tutto il vissuto di una giornata in pratica sparisce subito, inghiottito. Da chi? Da cosa? Perché quasi non lascia traccia?

C’è un piccolo letto stretto e quella luce ambra troppo debole, una finestra che mostra il blu scuro del cielo, quel legno pesante, libri e riviste, armadio aperto, vecchio ventilatore spento. Nessun rumore attorno.

E nessuno attorno. Solo con la mente. La mia prigione.

Radio Uomo Solo

Benvenuti a tutti, se c’è ancora qualcuno in questo mondo…

Trasmetto nell’ennesima mattina di vuoto. Una scatoletta di carne essiccata per colazione, il mais è ormai quasi finito. Chissà per quanto ancora potrò mangiare.

Il sole si infrange sulle onde, la scogliera marrone brilla per il sale incrostato lungo le sue pareti taglienti. Una bella giornata. Chissà perchè poi. Chissà per chi poi.
Mancano i gabbiani in volo…sono settimane che non ne vedo uno…chissà se anche loro sono spariti come il resto del mondo. Il binocolo mi restituisce l’ennesimo orizzonte piatto..non una nave, una barca, una zattera. Non una luce nelle lunghe notti, quando sul tetto di questo faro ascolto l’unica voce che mi rimane, il vento, cosi freddo, insistente. Forte.
Mi rimane il cielo, mi resta il verde della macchia intricata che cresce orgogliosa tra le fessure di questo scoglio nell’oceano dal blu profondo e triste, questo muro circolare e la sua scala di legno di quercia ormai macchiato dalla salsedine. Mi resta questa radio, questa voce, il fuoco del camino e la speranza che non sia davvero rimasto solo. Ma oggi quella speranza è più debole che mai.

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