Quel gatto dorato agita il braccio e credo che se continuassi a guardarlo mentre saluta, vomiterei per terra.

Il ristorante cinese da fuori sembra un Briko dismesso e forse lo era, non ci sono nemmeno le insegne e non l’ho mai visto prima di oggi. E si che ci sono passato davanti mille volte. Dentro, la classica sensazione “qualcosa non quadra” che da fuori non te lo immagini così grande, così vuoto e pieni di tavoli e cinesi e porcherie ed invece lo è grande, bianco, nero, lungo, largo. Faccio un mischione, unisco pollo, patate, pesce, riso, salse, crostate, gamberi in un sacca, cospargo tutto di vino bianco e rosso e acqua. Sacca agitata prima e dopo l’uso.

A lavoro è un problema, sento gli occhi che quasi si chiudono, lo stomaco che scoppia e lo scaldotto che riscalda e il monitor che bombarda di radiazioni. Riesco a trascinarmi fino alle 17, in qualche modo, per poi uscire, ed è sereno il cielo per una volta in tre settimane. Centro commerciale, 18 passate. Sono dentro per comprare cose ed osservare, come il resto dell’umanità che tanto critico ma da cui non mi riesco ad allontanare. Fallisco negli intenti, non compro nulla e scivolo via da quella folla e quel posto che mi sembrano strani…che anche il mio amico dice “oggi è tutto strano e triste” e non gli chiedo il perché, non serve, non si spiega certa roba. Ci infiliamo nervosi nel bar della piazza, dove mi alleno. La cameriera stavolta è vicina, ci scherzo, ci parlo, noto l’anello nella mano…peccato…forse non è libera. Beviamo e pago. Non le chiedo il nome, dimentico sempre un passaggio.

La storia finisce in un altro ristorante. Nessun gatto ma tavoli di lusso, camino acceso, profumo di qualcosa di indefinito e nostalgico. Sono qua per ordinare una pizza da portare via, anche se non sembra il posto giusto ma d’altronde bisogna pur campare, si sono adattati.  Anche qua, come dai cinesi, è tutto vuoto. Quello che entra a prendere l’ordinazione lo conosco e mi è sempre stato sul culo anche se non ci ho mai scambiato una parola. Mi stava sulle palle per come camminava, per come andava in giro per Varese, per come si vestiva. Me lo ritrovo davanti super professionale con completo elegante e voce gentile, molto cortese, non pensavo lavorasse ma che vagasse nel nulla senza scopo, infelice e stronzo, debole e vuoto. Forse invece è la persona più buona del mondo, è felice, porta avanti quello che ama mentre io…forse sono io la merda.

Quando usciamo con la pizza è tutto molto insolito.

C’è l’odore del pomodoro e del basilico in macchina, e piccoli pezzi colorati in cielo e le sensazioni di quel ristorante, il legno e il camino, le luci soffuse, il buio sulle pareti piene di bottiglie e i tavoli vuoti, cinesi e italiani, il tipo e il gatto d’oro.

Mi sento pieno di spazio e tavoli vuoti, vecchi odori, sedie polverose e un silenzio malinconico.

Mi sento un po’ solo.

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