Conservare in un luogo fresco e asciutto

Categoria: Racconti brevi

Il viaggio (fasten seat belts while seated)

Ho un’infinita distesa di asfalto davanti a me, la pista di atterraggio. Lucida di pioggia, un pallido sole che illumina le pozze d’acqua e i mezzi color arancione, fermi, inoperosi, disposti quasi senza cura su quell’enorme manto nero. Attorno a me, gente poco entusiasta attende l’apertura dell’imbarco D10, che in uno sforzo di fantasia spirituale leggo come “Dio” ma che in realtà, è solo un imbuto grigio e giallo che si innesta in una triste torre disseminata di oblò. Manca ancora un’ora alla partenza.

La playlist casuale è spietata anche oggi, sembra scelta apposta per farmi stare male anche quando dovrei essere contento di tornare a “casa”, da chi mi ama, mi ascolta, mi accoglie. Triste non per quello che lascio, ma solo per quello che non troverò, una volta tornato. Arriva altra gente, qualcuno è già all’entrata dell’imbarco, come ad un concerto, per prendere i posti migliori sull’aereo. Dovranno stare in piedi per un po’ ma soprattutto…ne vale davvero la pena? Un’ora in piedi per avere un’ora di finestrino, probabilmente addormentati e annoiati, con gente affianco che nemmeno conosci. No, non credo…

Solo al sole

‘Come poteva farsi notare da lei?’

Era evidente, che oggi fosse distratta, tutte quelle rose…

Ad ogni ammiratore aveva detto di amare un colore diverso, il rosso della passione, il blu del mare, il bianco della purezza. Forse li prendeva in giro, forse amava tutti i colori o semplicemente, adorava far capire alle colleghe dell’ufficio che gli ammiratori erano tanti. Colleghe invidiose della sua bellezza, della sua simpatia, della sua intelligenza.

Cinema Nuovo

La strada che percorro non è delle migliori. Non per il manto, nè per la posizione, ma per i palazzi che la circondano, brutti, vecchi, fatiscenti, con gente poco raccomandabile che ci gira attorno e che ci vive dentro. Litigano, urlano di fronte a bar dal look anni ’70 e negozi chiusi da tempo. Lanciano bottiglie davanti ad un edicola che non ho mai visto aperta in tutta la mia vita, con alberi tristi che osservano tutto. Immobili.
L’insegna del “Cinema Nuovo” brilla di un rosa acceso, incastonata in quell’enorme muro di cemento e quasi rischiara la tristezza che lo circonda.

Ariel

L’aria era densa e irrespirabile.

Carica di acqua, dall’odore di fumo. Sapore salmastro.

“Sto per morire?”

Ariel se lo chiedeva continuamente. Intorno, geyser eruttavano vapore e il caldo si faceva sempre più insopportabile. Le rocce, dure, marroni e affilate le tagliavano i piedi, ormai ridotti a grumi rossi.

Sigh No More: una storia d’amore

I portici sono la rovina di Varese. Migliaia di persone che scorrono, fluiscono e vivono dentro quei confini fatti di negozi e colonne. Asettici come corridoi di ospedale, angusti come recinti di filo spinato.

Se solo la gente vedesse il vero volto di Varese, i tetti, le facciate dei palazzi…

Non vedrebbero lo squallido grigiore che solo immaginano ma i colori pastello, superfici diverse che si intrecciano, ricami, gargoyles di bronzo ossidato, balconi che si lanciano in motivi floreali, mattoni multicolore e alberi…sullo sfondo, lungo i viali, sui tetti stessi. Se fotografassi solo questi particolari, gente che vive in questa città da anni non la riconoscerebbe, perchè ormai non guarda più in alto ma solo per terra, sempre più concentrata sui problemi materiali, sul sopravvivere, sullo stare sotto i portici.

Già fatto?

Mirco si era rimesso in macchina dopo la visita all’ospedale. Gli avevano fatto una puntura sulla chiappa, un ago piccolissimo in mezzo a tutto quel grasso e a quei muscoli, eppure gli faceva male. Era passata un’ora e oltre da quando gli avevano bucato il culo, e ancora gli faceva male.
Nel frattempo si era fatto anche un’ecografia all’addome. Gliel’aveva fatta una dottoressa che avrà avuto la sua età, forse meno, 28 anni massimo. Mirco si sentiva inutile col suo lavoro presso un call-center di aspirapolvere, un lavoro part-time, un part-time a progetto, mentre lei era dottoressa.

Lo strappo

Al mondo esistono due tipi di donna.
Qualche settimana fa ne ho conosciuta una, in un bar, ma non è come pensate voi. Al bar, io, non c’ero mica andato a prendere una birra o a fare l’aperitivo. Al bar io c’ero andato per aggiustare un cabinato. Ve li ricordate i cabinati? Erano quegli aggeggi scuri con dentro un monitor e tanti pulsanti sul davanti che andavano di moda una ventina di anni fa. Andavano di moda quando io ero piccolo, e io per giocarci ci mettevo 200 lire, i vostri figli ci mettono un euro. Se i cabinati stessero nel paniere ISTAT l’inflazione tenderebbe all’infinito.
Dicevo che ero lì per riparare un cabinato, c’era questa ragazza, giocava a Bubble Bobble. Ci aveva messo un euro, quando ci giocavo io ci mettevo 200 lire, e inserivo anche i cheat a quelli più grandi di me, e allora mi sentivo uno molto importante, uno che era piccolo ma sapeva fare le cose dei grandi, anche se non sapevo a cosa servivano. C’erano due codici da fare sullo schermo del titolo di Bubble Bobble, io li conoscevo tutti e due ma non sapevo quello che facevano, così quando me ne chiedevano uno, io dovevo metterli tutti e due. Però loro erano contenti lo stesso e io mi sentivo uno importante che faceva le cose da grandi, anche se per giocare dovevo salire sulla sgabello.

Hasty CHRISTMAS

Fra due giorni sarà il giorno del grande CHRISTMAS. Non so cosa esattamente voglia dire, è una tradizione vecchia di migliaia di anni che viene portata avanti con grande clamore. In questo particolare giorno succede che la gente tenta di sorridere agli altri, si fanno regali a chi si vuole bene (o a chi si ritiene abbastanza importante), ma soprattutto, tutti si muovono ancora più veloci. In più, il mio telefono continua a squillare, un sacco di gente vuole rimettersi in contatto con me, perchè è CHRISTMAS, è importante che si mantengano i contatti, che tu possa pensare bene degli altri. Genny a casa è in perenne tensione a causa di questa melodia a 40 hertz, non dorme da giorni. Esco di casa per unirmi anch’io ai preparativi del grande CHRISTMAS, lo festeggerò in maniera molto canonica, facendomi un regalo perchè in questa città ci vivo da poco e io sono l’unica persona di cui sono amico.

L’uomo invisibile

Il signor Samuelsson era amato da tutti. Non un singolo bambino, sacerdote, uomo in affari, teppista, casalinga o pappone del paese provava risentimeno o antipatia nei suoi confronti. Solo benevolenza. Un uomo fortunato si direbbe, anche se con una disgraziata maledizione che gli gravava sulla testa o meglio, sul corpo.

Il signor Samuelsson infatti era un uomo invisibile.

Moon (?)

“Cosi vicina…”

Andrew saltò, balzando sul terreno soffice del satellite. Era un bambino. Indossava dei pantaloncini rossi, una maglietta blu e delle Adidads nere completamente sfondate, vittime sacrificali di estenuanti partite a basket.

“Mare Smythii…Dorsum Cloos…e di là c’è il Babcok!”

Sapeva tutto della luna, collezionava mappe, modellini, foto. Aveva raccolto materiale dai 5 fino ai 13, attuali ed illusori anni. Stava sognando, sapeva benissimo che sulla luna non c’era aria per respirare, che faceva troppo freddo e lui non indossava una tuta spaziale. Era un sogno ma ad Andrew non importava, il realismo era grandissimo. Riconosceva i crateri, la consistenza del terreno, lo slancio inusuale della gravità ridotta…La luna, la sua vera casa; è una cosa che si sente. Quando sei nel tuo paese e la gente ti saluta, sai dare indicazioni ai passanti e conosci gli angoli sconosciuti ai forestieri, sei parte di quel posto e lo senti. Per Andrew quel posto era la luna.

Carestia di binari

Nella mia città c’è carestia di binari.

Non è che se li rubano per farci i cannoni come nella seconda guerra mondiale, e nemmeno ci sono troppi treni su poche rotaie, niente di tutto questo. Semplicemente succede che quando arriva un treno con troppo ritardo, a volte viene fatto partire dallo stesso binario di un altro ed oggi è una di quelle occasioni. Il mio treno parte dal binario 4, direzione Porto Ceresio ma quando spunto dalla scalinata sotterranea mi ritrovo davanti due treni, uno per Milano e il mio. Ci penso un istante e senza nessuna esitazione salgo su quello giusto, mi siedo e aspetto.

Solo il tempo di un bacio

Sarah rientrava dopo la notte passata tra i tavoli del bar. Aveva smontato all’una e venti, all’una e quaranta aveva finito di pulire, e adesso che erano le due si trovava davanti l’ingresso di casa. Infilò la chiave nella toppa e notò che la porta era solo accostata. Era sicura di averla chiusa, si ricordava di aver raccolto il mazzo di chiavi dal mobile e di aver girato due volte. Poi ripensò a tutte quelle volte in cui si era convinta di una cosa sbagliata.

Quando accese la luce e la stanza rimase al buio non aveva più dubbi: qualcuno aveva forzato la serratura. Con gli occhi della memoria aprì senza esitazione il cassetto di fianco all’ingresso e vuotò le tasche. Si girò con la schiena verso il mobile, le mani appoggiate al bordo del piano. Non lo vedeva ma lo immaginava lì, seduto sulla poltrona accostata alla parete di fronte.
“Ciao Sarah.”
“Ciao…” rispose lei.
“Sapevi che ti avrei trovato, alla fine.”
“Lo sapevo…”

La donna di cuori

Ancora i miei occhi su di loro, ancora la mia mano contro le loro. Che poi di mani non me ne sono rimaste neanche tante, di questo passo duro altri tre bui. Guardo le mie carte, tre e quattro di picche.
Passo lo sguardo su ogni giocatore, e quelli che scruto sono sguardi di chi sta guardando assi e kappa. Li sento talmente tanto nell’aria quegli assi e quei kappa che mi sembra quasi di vederli. Quello alla mia destra invece ha una coppia di donne, mi ci gioco tutto quello che mi è rimasto, ovvero niente. Che poi ad avercela una coppia di donne…io mi accontenterei già di una.
Ma è possibile che mi metta a pensare a lei persino in brache di tela?

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