Conservare in un luogo fresco e asciutto

Mese: Aprile 2011

Fuoco e bombe. Si stava meglio quando si stava peggio.

Una nube grigia e pesante copre completamente la cima del Monte Monarco, una collinetta di 400 metri che vedo dalla finestra di camera mia. Da piccolo credevo che fosse un vulcano, per la cima piatta e la forma conica. Poi crescendo ho capito che è solo un ammasso di sassi come gli altri, anche se questa nube lo fa ritornare ai fasti della mia infanzia. Sembra stia eruttando e gettando fumo, pur sapendo che si tratta solo di cumulonembi a bassa quota, carichi di pioggia, intenti a rovinarmi la serata a base di cena fuori, Ron Zacapa 23 e Jazz club.

Ora, oltre al fumo i vulcani sputano fuoco. Si lo so, in realtà è magma e lava, dategli il nome che volete ma in soldoni è roba che brucia, come stava bruciando il server che contiene Malditesto. Che poi in realtà è stato un microincendio in uno stanzino con una scopa, due generatori e tre batterie, nulla di serio, però per un po’ l’idea di perdere tutto quanto e dover reiniziare da zero a scrivere mi è ronzata nella mente. Giornata ricca di pensieri oggi.

Ancora una volta, sono un coglione…

Non fare lo scemo, stai tranquillo, respira, sii sereno, non pensare alla gente dietro di te, a quella di fianco, pensa solo a te stesso. Alla fine è solo chimica, è un rito che fanno in miliardi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Non sei più cosi allenato, non sei davvero un granchè, non hai più cosi tanti capelli come prima, non sorridi quasi mai cazzo, sempre cupo, oscuro, ombroso. Cavolo, la Fra l’altro giorno ti ha confessato di avere paura di te ma ti rendi conto? Che era in apprensione all’idea di passare da casa tua…ma faccio questo effetto alla gente? L’impressione che dò a chi mi conosce poco? Ombroso, cattivo, stronzo, glaciale.
Forse dovrei fissare di meno le persone negli occhi, sorridere di più, quando ti conoscono tutti ridono e stanno bene, non devi sembrare un orco, un duro, che immagine dai alla gente? Al diavolo, non ci devi pensare, respiro profondo e sii te stesso, tranquillo cazzo, la saluti, le chiedi come sta, le chiedi quando è libera. Ma sii sicuro, niente titubanze, sei pure vestito bene, sei sereno, sei tranquillo, ti sei divertito fino a 5 minuti fa, STAI BENE! Questo te lo devi mettere in testa, e agire di conseguenza, devi emanare quest’aura, convincitene, pensa a come presentarti ecco “Ciao, piacere mi chiamo Emanuele, tutto ok?”

La sconclusionata cura per la pazzia \ Nurofen contro Kaufman

Un film mi ha sconvolto. Mi ha fatto pensare ad un sacco di cose in un unico pensiero.

Qualche anno fa mi chiedevo sempre perchè non piangessi mai. Moriva gente cara e non piangevo, soffrivo come un cane e non piangevo, mi sono rotto 15 ossa in una volta e non ho pianto. Mi chiedevo “sono cosi insensibile?” oppure “possibile che non me ne freghi nulla?”. I morti le disgrazie, niente più che un eco lontano. Mi spaventava questa cosa. Ero forse un mostro? Piangevo sui film, per Forrest Gump, per Pearl Harbour. Non per mio nonno o per il mio primo amore, morto a vent’anni. Eppure mi dispiaceva da morire. Poi tutto ad un tratto le lacrime scorrevano anche nella vita reale con gli interessi, dopo anni. Piangevo per mio nonno, per il mio primo amore, per mille cose. Perchè lo scrivo? Non lo so, ma penso che c’entri qualcosa.

< EXIT >

Di nuovo al terminal 2 di Malpensa, ormai è quasi un’abitudine, come se fossi una hostess. Niente sole, sono le 8 ma sembrano le 16 di un pomeriggio d’autunno. Non so perché, ma stamattina mi sono svegliato con un’immagine in testa parecchio curiosa: un bar fumoso e caldo, sò di essere a Marrakesh. Indosso una maglietta nera e bevo un liquore mentre leggo concentrato un piccolo libro scritto in arabo, per nulla disturbato dal sole che inonda di luce le pagine e dal caos di voci e volti che mi circondano. Sarà voglia di evadere? Di fuggire via? Non basta prendere un aereo quattro volte al mese se sai sempre cosa troverai una volta tornato. Desidero il classico biglietto di sola andata, con giusto due euro in tasca, un ipod con la colonna sonora della vita, e spirito di sopravvivenza. Lo dico perchè ho pensato alla mia vita recentemente, ne ho parlato molto, ho chiesto consigli e pareri. Ho tutto; amici che mi amano, una famiglia grandiosa, un lavoro divertente e che mi fa guadagnare bene. Non ho una donna è vero, ma non è il momento, non adesso e forse non è nemmeno quello di cui ho bisogno. Sono seduto sul sedile dell’aereo, cinture allacciate, con lo sguardo fisso sulla scritta EXIT sulla plafoniera. Anche dentro l’aereo sei ingabbiato, rinchiuso senza via di scampo nonostante l’uscita sia ben segnalata. Come si ‘scappa’ quindi? Serve fare quello che vuoi davvero, non basta sopravvivere e basarsi su quello che la società etichetta come conveniente, sicuro, importante. Questa è la mia conclusione. Quindi chiudo gli occhi e penso ai miei desideri, le immagini che mi vengono in mente quando da solo, ascolto il mio cuore. Cosa voglio?

Un pugno. Due dollari.

Se una giornata inizia male e continua peggio non può che finire in tragedia se la sfiga ce l’ha con te.

Giornata di lavoro intensa, ma con in programma di finire per le 16:00 in azienda e scappare ad un appuntamento di lavoro in centro Varese, cosa che ovviamente salta a dispetto delle buone intenzioni. Alle 18:00 sono ancora in ufficio con il capo seduto affianco, che mi ruba un pezzo di scrivania alla volta, che vuole modificare, tagliare, rielaborare e reinviare. Gli rispiego per l’ennesima volta, almeno la terza in mezz’ora che sono in ritardo per un appuntamento di almeno un’ora e mezza. Esasperato dai miei sospiri di scoramento ad ogni suo “altri 5 minuti” mi grazia e mi lascia andare con riserva, puntualizzando il fatto che è tutta colpa mia che ‘domenica mattina parto e non torno fino a giovedi quando c’è un sacco di lavoro da fare’. Problemi suoi. Esco da lavoro e vado a prendere il pullman per risparmiare tempo, nessuna voglia di tornare a casa, cambiarmi, prendere la macchina e trovare pure parcheggio in quell’inferno di città.

Il senso della vita

Vi è mai capitato di sorprendervi di quello che avete intorno? A me è successo di nuovo stasera, in macchina, mentre andavo verso la superstrada. Mi è successo guardando oltre il campanile della chiesa nuova, da dove ho visto le luci del paese aggrappato alla collina all’orizzonte. Mi ha colpito la solidità dei mattoni, la pendenza perfetta del tetto e il cumulo di luci dei lampioni disposti intorno al paesello in maniera a volte regolare e a volte caotica. La chiesa è costruita precisa uguale ad un centro commerciale, si riesce a distinguerla solo per la croce. Fino al secolo scorso la religione almeno ci lasciava un enorme patrimonio artistico, adesso nemmeno più quello. Oltre la croce comunque, ho avuto la sensazione che tutto quello che mi circondava avesse un senso. Un senso che non riesco a trovare ma che c’è. E sono felice così.

Lettera d’amore

Era una notte di un paio di mesi fa, il giorno non me lo ricordo. Tornato da una serata con un amico, morale sotto i tacchi nonostante del bel tempo trascorso assieme e condizioni meteo perfette. Ricordo che scrissi questa lettera vicino alla finestra del balcone, di notte, con la mia fida e piccola lampada da tavolo nera. Non so perchè non accesi le luci della sala. Scritta a mano, con la mia grafia quasi antica, fitta, due pagine.

L’ho appena riletta tutta d’un fiato, senza pause e non ho dubbi che sia la lettera d’amore più bella di sempre. Avete presente la netta sensazione che le parole non bastino, che quello che volete davvero esprimere sia nella mente e vorreste “lanciare” quell’emozione, quel pensiero nel cuore dell’altro per farle capire tutto in un solo istante? La sensazione di sforzarsi e non riuscire a parlare e la disperazione che ne consegue? L’impotenza di non poter infondere di sangue e lacrime ogni parola che dite, ogni frase che scrivete? Con questa lettera non è cosi. Non potrei aggiungere nulla per migliorarla ne togliere qualche frase. Anche gli errori, con le correzioni a mano lasciate in vista, perchè è scritta di getto, dal cuore, fanno parte della sua poesia.

Punto quarto, contrappasso, pezzo n°75.5 alias “la vendetta del bamboccio biondo del parchetto”

Sono incazzato.

Punto primo, sono un debole, lagnoso, stupido idiota e ci penso continuamente mentre vado verso il campo da basket, con la mente occupata nelle consuete sceneggiature da film scar, montaggio e menzione speciale per i costumi. Scar come cicatrice, non è un errore anche se l’avete pensato tutti quanti, che poi in realtà, la “o” me l’ero davvero dimenticata ma la provvidenza ha voluto che avesse un senso anche cosi.

Punto secondo, domani ho un appuntamento dal dottore in centro Varese, alle 16:50 . Prima era alle 15:00. Stamattina mi chiama, intorno alle 10:50 mentre io cazzeggiavo in studio.

“Signor Emanuele…?” (ma non dovrebbe usare il cognome?)

“…le avevo lasciato un messaggio in segreteria ma evidentemente non lo ha ascoltato..”
(no, non l’ho fatto, ma perchè dovrebbe essere evidente?)

“…le volevo chiedere se per lei fosse un problema venire in studio alle 16:50 e non alle 15:00…” (no, non è un problema…al momento della chiamata)

Confermo. Ringrazia. Non mi cambia nulla. Torno a casa, mangio qualcosa, e proprio al momento di addentare una bella mela verde, ecco un altro “Drin! Drin!” fastidioso.

E alla fine…perchè no? Sì.

Serata strepitosa si, conosci nuova gente si, stai in giro, mezza lombardia in macchina, parli tantissimo, di tutto, stai bene, ti diverti sì. Un tuo amico ti chiama alle 2:43, ubriaco, ha mangiato indiano, dietro la sua ragazza parla con i suoi amici , ti chiede “Dove siete? Stiamo andando via dai navigli, ci vediamo no, forse, facciamo la prossima volta? Sei un grande, ti stimo”. Sì anche a questo.

Insegui una macchina rossa, la guardi da due ore e non capisci che macchina è, loro guidano il trenino, ciao alla bionda e alla mora, ricorderò ancora i vostri nomi domani? Sì..o forse no. Simpatiche sì, ma la macchina proprio non mi piace, ne davanti ne dietro, con il navigatore per i navigli, e ci siamo persi ancora, si. Anch’io ho una macchina si, d’epoca e di Milano, del ’69, bella come la morte ma non funziona, però è bella si.

Ritorno a casa

Sono sul balcone di casa mia, oggi non lavoro. In sottofondo la musica di “Chronos” mi tranquillizza e il sole mi scalda. Chiudo gli occhi e riesco ad associare ogni immagine del film alla sua musica. Adoro “Chronos” perchè riesce a darmi sollievo quando il cervello è pieno dei soliti pensieri che non mi danno tregua.

Al momento, con il sole in faccia, quella musica fantastica e gli occhi chiusi, immagino di volare sopra una città bianca, con le nuvole che scorrono veloci in un cielo azzurro, le ombre delle nubi che scuriscono per qualche istante i marmi bianchi dei grattacieli, quelle strade nere con chiome verdi che spuntano per colorare l’asfalto di tanto in tanto.

La storia delle 4 mollette

Sono fuori sul balcone, una bellissima giornata primaverile. Cerco di stendere un piumone appena lavato, gonfio d’acqua nonostante l’abbia strizzato per mezz’ora, pesante, freddo. Per stenderlo non mi bastano due mollette quindi ne uso quattro.

La parte più difficile è trovare la giusta posizione affinchè tutte e quattro le mollette tengano. Basta un solo cedimento, una sola molletta che si stacchi e il peso non è più controllabile, tutto si sbilancia e anche le altre mollette, anche se messe nel miglior modo possibile, pian piano cedono. Ci metto un po’, diversi tentativi, lo piego e lo ripiego, a volte le mollette sono troppo piccole per lembi cosi spessi, a volte sembra che tengano ma è solo un’illusione; cadono al piano di sotto e non posso fare altro che scendere per recuperarle.
In qualche modo riesco a sistemarlo, le mollette sembrano tenere e la giornata di sole comincia a fare il suo lavoro con costanza. L’acqua evapora, il piumone diventa più leggero e più caldo, il profumo del detersivo comincia a spandersi e le mollette sono forti e fiere del loro ottimo lavoro.

Aspetto, aspetto, aspetto…

La schiena è appoggiata ad un vetro freddo che ogni tanto mi scatena brividi lungo la schiena.

La gente passa, mi guarda, sorride e prosegue veloce, come ne “L’autostrada” di Silvestri…non ho le cuffie altrimenti ascolterei un po’ di musica almeno…
Il calore è quasi soffocante, mi sposto continuamente per cercare un po’ di aria negli angoli bui di questa stanza se non sono occupati da altra gente pensante…e aspetto.
La frenesia è tangibile, la pazienza che lentamente ti abbandona e cominci a pensare a mente libera per non lasciarsi intrappolare da quel ritmo che non ti appartiene. Ripenso alla notte prima…

Ho sognato. Un sogno angosciante e terribile.

Inchiostro antipatico

Sei il ricalco di una pagina strappata, invisibile alla vista e irriconoscibile al ricordo. Non sei altro che le lettere confuse di parole illeggibili scritte senza inchiostro sopra alle righe di una pagina non loro. Parole che non hanno più senso, che evocano solo da lontano la forza che hanno avuto un tempo, parole bianche, trasparenti, innocue. Parole già dimenticate e di cui nessuno si curerà più: né io, né tu. Parole vuote, mancate, rinnegate perfino.

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