Mal di Testo

Conservare in un luogo fresco e asciutto

Al basso, Giannelli!

Giannelli non era un gran bassista, ma conosceva i locali giusti e soprattutto aveva un furgone. Raccontava che glielo aveva regalato Piero Pelù, tipo che lui una volta era andato a un suo concerto e lo aveva aspettato nel backstage per farsi fare un autografo. Lo aveva seguito fino al T1 che non aveva assolutamente voglia di ripartire. Nella sua storia, Pelù gli aveva lasciato le chiavi dicendogli che se riusciva a metterlo in moto per riportarlo in albergo se lo poteva tenere.

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Salma alla batteria!

L’appartamento di Salma era pieno di sorprese. Come si può conoscere l’età di un albero contando i cerchi nella sezione del tronco, così si potevano conoscere le epoche di Salma in base alle sue passioni, passioni che prima o poi finivano buttate in qualche stanza che, accumula oggi, accumula domani, diventava uno sgabuzzino inaccessibile.
[continua]

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Alla chitarra (e poi al gesso), Sentenza!

Dietro, a far compagnia a Scheggia, Carlo Fibonacci, alias Sentenza. Era stato proprio Scheggia a ribattezzarlo. Stavano vedendo Il buono, il brutto, il cattivo, e all’epoca Carlo diceva la sua su tutto e voleva sempre l’ultima parola. All’ennesima battuta, gli aveva appioppato quel nomignolo e gli era rimasto addosso… https://www.facebook.com/tuttetrannelei/

Vi presento le Interferenze Mentali

Ci siamo quasi!
Il soundcheck non è ancora finito, ma lo spettacolo sta per cominciare. Stanno per salire sul palco le Interferenze Mentali al completo: Scheggia, Sentenza, Salma, Giannelli, e la nuova arrivata Giovanna! Vi consiglio di non perdervi il concerto, ci sarà da divertirsi.
Potete ingannare l’attesa conoscendoli uno ad uno.

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Sono andato a letto presto

Sarebbe questa la risposta perfetta alla domanda “Ehi Moment, cosa hai fatto tutto questo tempo?”.

È un po’ che non ci si legge, ma nonostante MaldiTesto sia rimasto fermo per un bel periodo, l’impegno non si è ancora esaurito. In questi mesi infatti ho avuto modo di partecipare a molti eventi, corsi di formazione e confronti, tanto che adesso so fare una pizza che levatevi.

Torno con un po’ di consapovezza in più e una bella notizia. È prevista per giugno la pubblicazione del mio primo romanzo. Salvo ritardi passeremo l’estate insieme e in compagnia di nuovi amici. Ricordate l’ombrellone, però, che Moment non è indicato per le insolazioni.

Ci vediamo presto in libreria!

Amascord

Tornai ubriaco dalla serata più vuota della mia vita, quella passata a ciondolare in spiaggia reggendo in mano ora una birra ora il telefono, e tentando disperatamente di scacciare la noia, di trovare la gioia e di vomitare la soia della cena cinese.
Mi lasciai cadere su un lettino rimasto aperto sulla spiaggia, a pochi metri dalla battigia, con le onde che di tanto in tanto cercavano di ingoiarlo. Proprio come stava facendo la nostalgia con me, ricordandomi dei tempi passati, quando avevo tutto di fronte, quando ogni cosa era per me.

Guardai al cielo con la testa pesante, e le stelle non giravano per il moto fisico dell’universo ma per il moto del mio fisico avverso, riverso, con i piedi affondati, gli occhi sbarrati e quella sbornia che mette tutto in movimento, l’attenzione, i pensieri, la fantasia. Tutto tranne il mio corpo immerso in quel liquido, che riceveva una spinta dall’alto verso il basso pari al volume di vita spostata.
Mi assalì la nostalgia con tutti i ricordi di infanzia messi in fila come soldatini di piombo a fucili puntati. L’esecuzione era pronta e io ero il condannato.
La malinconia mi spiattellò in faccia i volti di una volta, mise ricordi, le muse, ricordi? Mise una corda intorno al mio collo: misericordia.

Il mio ultimo desiderio era suonare qualcosa coma facevo da ragazzo, ma avevo scordato la chitarra. Non è che l’avessi scordata da qualche parte, è che l’avevo scordata l’ultima volta che l’avevo suonata… che a pensarci significa proprio che l’avevo scordata da qualche parte. Mi rendo conto che non vi sto affatto aiutando: non l’avevo scordata nel senso che l’avevo persa da qualche parte, ma l’avevo scordata suonandola da qualche parte. E ad essere pignolo non è nemmeno vero che l’ho scordata suonando, quando l’ho lasciata era accordata, è stato il tempo a scordarla. Il tempo, si sa, fa scordare tutto. Comunque mi ricordai della chitarra scordata, la imbracciai e iniziai a suonare. Avevo dimenticato anche gli accordi, già scordati per conto loro. Tesi le corde, due miseri accordi: misericordia. La musica mi salva ogni volta.
L’esecuzione era pronta e io ero l’artista.

Lei

Era appoggiata al bancone del bar che avevo scelto come punto di ritrovo con il solito amico. Col suo solito ritardo. La vedo dal tavolo sul quale stavo sorseggiando un calice di prosecco. Sembra lei ma non ne sono sicuro, in fondo non l’ho mai vista così elegante. Deve aver sentito i miei occhi addosso visto che si gira e mi sorprende mentre la fisso insistentemente.
Abbozzo un sorriso e salvo il salvabile: “Sei la maratoneta giusto?”
“Come scusa?” risponde lei come se stessi parlando un’altra lingua.
“Sì dai, la ragazza che corre sul lungomare.”
“Ah sì…mi ricordo di te…”
“Finalmente tutti e due fermi…Ti prego, siediti, sto aspettando una persona, ma intanto potresti bere qualcosa con me” le faccio mentre mi alzo con la stessa galanteria che i nobili usavano con le dame.
Prova a rifiutare, ma forse per evitare altri imbarazzi demorde quasi subito.
“Solo 5 minuti, però.”

Do i wanna know?

Una macchina che è come me, segnata fuori e dentro…disordinata e caotica…le spie di mille pensieri che si accendono tipo albero di natale…che corre troppo con pneumatici vecchi e usurati, fa rumori a cui non bado, lancia segnali di convergenza da rifare come il mio cervello.

“I’ve dreamt about you nearly every night this week
How many secrets can you keep?
Cause there’s this tune I found
That makes me think of you somehow…”

Repeat. Che le canzoni le spolpo finchè non cado dalla stanchezza…e in macchina i vetri tremano dal volume e le orecchie si intasano di riff spaccatimpano. Mangio vita come la mia macchina mangia olio, un chilo in 2000 chilometri, “dovresti cambiarlo questo rottame” mi dicono ma “No è come me” rispondo…ha tanto da dare e tante strade da percorrere di corsa…come me…con quel cambio quasi distrutto…i freni che fischiano, ogni giorno trovo un pezzo in meno tra i graffi e strisciate che quasi sembra un guerriero. Come me.

10 minuti di pensieri

19:16, che a me tipo non me ne sta fregando un cazzo di un sacco di cose e il malumore va e viene come la corrente in mezzo al temporale e la rete dello smartphone per cui quando non ricevo messaggi posso dare la colpa alla Vodafone e non alla solitudine e che se c’è buio attorno posso dare la colpa a tralicci metallici e cavi di rame e non alla mia anima confusa. Ho le finestre piene di bolle d’acqua e la rete antizanzare che oscilla al vento e io qua che scrivo per quei dieci minuti che mi concedo di pensieri liberi davanti ad un pc intasato nel desktop, intasato nella scrivania che lo circonda, intasato nella camera che mi contiene insieme ai vestiti e letto sfatto, intasato in questo paese pieno di anime perse, intasato in questa nazione di problemi costanti come la marea alta al plenilunio, intasato come questo mondo di persone animali piante cibi malsani torrenti alberi passioni amori che finiscono credenze esoteriche tecnologie malattie sconforti, intasato come questo universo che nemmeno più si capisce quanti siano…2 o 3 o 100 o infiniti come le realtà possibili e piatti e tondi e bivalenti legati storti arrotolati come un nodo margherita su un vascello alla deriva nella tempesta, quella perfetta, quella delle onde alte cento metri che inghiottono città quelle in cui forse ti sentiresti quasi a casa perchè ti circonda lo stesso elemento e la stessa forza che ti senti dentro il cuore…tumulto…paure…pensieri…voglie…che la domanda te la fai sempre…se sei tu il problema o il mondo…o in realtà non esistono problemi ma è solo chimica, formule che si mescolano e non combinano, reazioni energetiche a catena, miscele che non vanno in pari neanche fosse assenzio che galleggia sul gin che ricordate, mai bere dall’alto ma dal basso, al fondo…e dategli fuoco…e infilateci dentro anche zucchero e stateci male e ridete e credete che sia giusto farsi del male ogni tanto…fisicamente dico…che tanto dentro ci si taglia sempre e gratis che è un piacere…e l’ho provato una volta si…il verde, senza fuoco ma verde e intenso, bruciante e dolce che sale e scende contemporaneamente e anche li, dopo, pensieri del tipo “ragionare sul piano D” che tutte le altre lettere te le sei giocate, male come sempre…ed ogni volta ci son sempre meno idee per la lettera dopo, provi il rischio, lo stupore, giochi la sorpresa, cali il tuo tris di 4 visto che le altre carte sono ormai andate, provi a vincere con gli spiccioli, provi il colpo grosso come con l’ultima fiche sul rosso o il nero… la roulette che gira…te che sudi…cerchi di anticipare il numero calcolando tramite formule inventate di fisica-magia dove finirà la pallina…ci credi…rosso…nero…rosso…nero…tac…tac…tac…sudori freddi….rosso…nero…rosso…nero…

Rosso? Nero? 19? 26?

Quelli che vivono da malati per morire da sani (oyeah)

È così che mi sono sentito ascoltando questa frase di una delle innumerevoli versioni di questa canzone di Jannacci. Non che non lo sapessi già ma quanto facilmente ne ho coscienza tanto facile me lo scordo. Vivo col freno a mano tirato e questo è un dato di fatto. Che in una gara forse ha pure senso fare così, conservarsi tutto per la fine, lasciare strada agli avversari ingannandoli che siete tutto lì per poi sorprenderli in un finale da campioni. Ma la vita è una gara troppo lunga per questa strategia e nel finale si è già col piede nella fossa. Magari manco ci si arriva a tagliare il traguardo.

Silenzio assenzio

“Ti sento”, si dice quando siamo in sintonia con qualcuno. Sin-tonia, in-tono, non come intonare, ma in tono, unione di toni. Ti sento, è una cosa da dire nei momenti più intimi della giornata, nella reciproca solitudine di una compagnia, occhi negli occhi, mano nella mano, respiro nel respiro. Nel silenzio della notte e nel chiasso dei pensieri o nella quiete del nulla, ti sento. Ti sento in contrapposizione al non sentirsi, al non sentire. Quando smetti di sentire non solo smetti di esperire, ma ti allontani, ti neghi, volti le spalle. Quando smetti di sentire dissenti. È per questo che non bisogna smettere mai di sentire. Quando smetti di sentire diventi singolare, e non intendo dire che diventi insolito o speciale, ma che rimani solo. Quando senti sei plurale, quando non senti sei singolare. Dal siamo passi al sono, e la gravità di questa condizione la si capisce tutta dalla coniugazione. Quando senti dici siamo e quando non senti dici sono.

Le belle ragazze

Io non mi fido delle belle ragazze.
Si sentono come se il mondo fosse il loro campo da gioco, che tutto sia preparato per soddisfare il loro ego.
Io non mi fido delle belle ragazze, credono di potersi permettere tutto, e che tutto quello che fanno possa essere ripianato dalla loro grazia e dal quel sorriso stordente.

Muse

Credo di aver scritto sempre dell’otto marzo, niente di memorabile,  giusto per donare la mia mimosa virtuale nel mazzo di mimose virtuali.
Ricordavo di aver letto che la celebrazione della giornata internazionale della donna avesse a che fare un incendio in una industria tessile,  o giù di lì, che secoli fa arse decine di operaie che lavoravano in condizioni disastrate.
Scopro oggi che non è  vero,  c’è  stato si un incendio,  che tra l’altro uccise anche una percentuale considerevole di uomini ma niente ha a che fare con l’otto  marzo.
Le donne amano così  tanto complicare le cose che ingannano pure sulla loro festa!

Ispirazione

L’ispirazione arriva. Non è una cosa che si cerca, anzi, quando la cerchi facile che non la trovi. I cerchi non sempre quadrano. L’ispirazione non è una cosa che si cerchia.
L’ispirazione ti arriva dentro e scatena qualcosa che deve essere buttata fuori. Ispirazione ed espirazione. Facile come respirare.

Nebbia

La spiaggia stamattina s’è svegliata nella nebbia
e anche libero da gioghi mi sentivo in una gabbia,
in una serra stinta che coltivava rabbia
nel rimpiangere una vita scritta solo sulla sabbia.

Parole guaste, lambite dalla lingua delle onde,
che avanzata su avanzata con la schiuma le confonde.
Resto il ramo rigettato senza frutti e senza fronde
resto terra attraversata dalle crepe più profonde.

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