Conservare in un luogo fresco e asciutto

Tag: piccole cose Pagina 1 di 2

Pillola del 235° giorno – Dovrei smettere…

Un mio caro amico, quello “che è da fuori che lo vedi” ( * ) mi invita a cliccare mi piace su una pagina…è di un tizio che scrive un diario, ogni giorno e tiene pure un sito…leggo i primi pezzi e fanno cagare, lo stile è pessimo per non dire inesistente, sembra che non abbia idea di come iniziare…ha qualche picco ogni tanto ma si contraddice…è un po’ ipocrita, scostante nelle parole e nei pensieri, uno sbandato e pure la pagina non è pure tenuta granché bene… link automatizzati senz’anima incollati da super-server calcolatori, nessun confronto e nessun dialogo…nessun commento che a sto punto la domanda me la faccio…chissà se legge davvero…la gente…se davvero legge questa roba….la mia roba.

Scrivere ogni giorno è uno schifo. Complicato, perché come dice Charles, si scrive quando stai molto bene o molto male e io spesso mi ritrovo nel mezzo o un poco sopra…o un poco sotto…quindi mi costringo…cosa può uscire di buono da questo? Logorante, i pensieri si moltiplicano e gli occhi appena svegli vanno a scandagliare ogni cosa per immagazzinare che non si sa mai….se va male e alle 23 fissi il soffitto, col vuoto dentro tutti i tuoi spazi, puoi usare il cadavere di quell’insetto morto sul vetro per scrivere di qualcosa, o parlare di quel vecchio caduto dalle scale o il fatto che ami qualcuno di impossibile, sempre che sia di ‘qualcuno’ che tu sia innamorato e non di un ‘qualcosa’ o un ‘perché’ o solo di un ‘quando’. L’ossessione per raffinare lo stile e distinguerti…ti mangia il cervello…vai in giro e leggi e chiunque scriva un po’ bene diventa un nemico, parti con la conta delle righe altrui, media degli articoli, conteggio dei giorni manco avessi il ciclo…come se dovesse fottermene molto di questi, di inesistenti concorrenti…per cosa poi…che premio? Soldi? Folle urlanti? Groupies da monta? Non c’è nulla da conquistare, è solo pura ossessione. Ossessione. Per verbi e ripetizioni, ossessione per licenze poetiche, ossessione per sinonimi e contrari, ossessione su argomenti e giochi di parole, ossessioni per ‘e’ accentate nel modo giusto. Tentativi di tenersi alla larga dei cliché, obbligo di calibrarti per chi ti legge…

“Ci sono sia amici che sconosciuti quindi mai nomi…o dire cose troppo vere o troppo false ma mentire sempre e comunque in un modo o nell’altro”

…tra le ossessioni e i pezzi di carta, che uno pensa che sia la via di fuga perfetta…la carta e la penna, scudo e spada…ma son pareti lisce…senza porte…che poi, tutto sommato, è un po’ com’è la mia vita davvero…pareti, carta e cartone, bianco e vuoto in giro…normale che la scrittura lo rifletta…che se viene da qualche parte lì in fondo, dove nasce tutto questo non è che ci puoi fare molto a meno di non inventarti storie false, di successi che non ci sono, di posti mai visti, persone che non esistono, romanzi mai scritti e amori poi, che manco ci credi all’amore.

Esagero lo so…tranquilli, succede quando non sono nemmeno costretto a stare attento a dove metto i piedi e posso anche solo guardare fisso in avanti finché la macchina non si ferma a destinazione, uno, due minuti dopo…la mente corre e crea catene su catene prendendo il peggio…ci rimbalzo periodicamente in queste serate da insofferenza e quella diventa nervoso e il nervoso fame ed entrando in casa già si mischia con la rabbia…Madre è ancora malaticcia ma come ogni sera prepara da mangiare orgogliosa, saluto e me ne vado di là che sento il diavolo che vuole lamentarsi e dire “cavolo speravo fosse pronto…ho fame cazzo” ma mi trattengo, sarebbe ingiusto ed è una cosa che sto riuscendo a combattere…il buttare addosso gli altri i momenti di estremo me stesso dico, quando divento odioso…quando sono una merda. Mi concentro sulla fame, che a sto punto della storia umana ancora uccide meno della rabbia e dell’ignoranza e penso che voglio la pizza, anche a pranzo era cosi, e a ragionarci, ora che il futuro è il nuovo presente, basta una manciata di numeri e me la porterebbero pure in camera e “Buon appetito monsieur sono seieuroecinquanta”…chissà perché poi, quando penso a qualcuno che parla francese ha sempre il frac, papillon e baffetti del cazzo, anche se fa il fattorino per un pizzaiolo egiziano e viene in motorino, ha una scatola gialla dietro e la gente tenta di investirlo.

“Se volete è pronto!” urlano da di là, che più o meno significa ‘salsiccia con contorno di roba verde e caraffa d’acqua in tavola’ e quest’ultima a proposito, in questi giorni ha un sapore strano del tipo roccia sgretolata, polvere …chissà che ci fanno in quell’acquedotto…è sempre stata buona l’acqua ma d’altronde si può dire pure di persone e amori e vestiti, “son sempre stati buoni-cari-utili prima ed adesso son degli stronzi-merde-stracci”. Mangio, ma senza gusto…eppure tutto è sano, fresco e l’insalata e il maiale c’avevano il GPS, ai piani alti sanno quando sono nate le foglie e quando gli si è arricciato la prima volta il codino alla bestia, sanno che forbici hanno usato per sradicare il fusto e con che cosa hanno tagliato il collo al maialino…è tutto schedato e certificato e “Stanne certo…lo curavamo da tempo quel maiale e quella lattuga…non c’è nulla di strano in quella roba”

Bhe allora sono io. Io che non esco nemmeno stasera. Io che non trovo nessuno che mi entusiasmi. Io che non entusiasmo nessuno. Io che ieri stavo bene e oggi forse penso che fingevo. Io che non avevo fame “mi bastano due cracker” e che adesso “ordino una pizza”…franco-egiziana. Io carico, io depresso. Io confuso ma talentuoso. Io certo di non avere nulla di speciale. Io che non dormo e oggi un’ora di ritardo a lavoro. Io che credo di poter dare ancora tanto ma la sera “dentro non c’è nulla”. Io che scrivo perché amo farlo e io che vorrei cancellare tutto e maledico Murakami, Dick, Asimomov, Bukowski e quella agenda, la penna nera, il web, le poesie…io che vorrei vivere di pensieri semplici e matematica base…i conti facili…senza giochetti, trucchi, segreti, ossessioni, occhi, bozze, fogli di brutta, psicosi da storia, finali da ricercare in ricordi dimenticati, dialoghi, intelligenza, brillantezza…lasciare tutto…smettere di scrivere. Io che vorrei tornare a me…tornare a “Io…”.

( * ) : 116° giorno – Outside

Pillola del 215° giorno – L’uomo del monte

Ero lì che sentivo recitare poesie sul palchetto, bottiglia di sconosciuta acqua tonica sottomarca in mano, cannuccia nera che fa tanto sfigato…non so perché non hanno capito la parte ghiaccio-limone-limone sotto, cosi chiaro e semplice discorso che scandisco a parole slow-motion come quando si incontra uno straniero…parli nella tua lingua tre parole al minuto come se esprimersi lentamente lo aiutasse davvero a capire discorsi in un idioma non suo, anche se non è questo il caso…il barista è del mio circondario, medesima regione, stesso stato, probabili amicizie in comune, all’occhio coetanei, soffriamo entrambi di capelli con eccesso di attrazione gravitazionale verso il centro della terra e peluria facciale, due padiglioni uditivi per ricevere le mie onde sonore scandite con energia e cortesia ma nulla…guarda torvo, parvenza di simpatia ottimamente celata, mi fissa e mi allunga un cilindro…la bottiglia…etichetta old-style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ con su scritto Acqua Tonica e io accetto, malvolentieri ma accetto.

Accetto la sottomarca, la bottiglietta, la cannuccia, l’etichetta umidiccia old-style style ipotizzo ‘Liberty italiano anni ’30 fatta male’ ma la fiducia…la fiducia si, per la fetta di limone risicata al 5% di polpa e ghiaccio chimico in un bicchiere…limone sotto…la fiducia si…almeno in quello, c’era.

“Chi conduce la serata” mi chiedo e subito mi rispondo…gothic girl ossigenata con dipendenze dall’alcol e odio per le parole pronunciate bene, meno comprensibile di Sandra Bullock, attrice classe 1964, Arlington, Virginia, vista poco prima e poco propensa a parlare in italiano corretto soprattutto in un film proiettato in lingua originale al piano di sopra, entrati dieci minuti dopo quindi in ritardo anche se dipende sempre da dove le cose si guardano perché dalla nostra, eravamo in anticipo si, su quel ‘noveemezzadaiandiamo’ pronunciato con troppa sicurezza. C’era l’inghippo, tutta colpa della mia generosità che se c’è scritto nove mi sento in dovere di regalare sempre qualcosa e quindi ‘noveemezzadaiandiamo’ e banchetto vuoto, sala buia e sei euro a testa con un film “iniziato da dieci minuti” ci dice un vecchio. Ma va bene lo stesso, che tanto noi siamo in anticipo, in anticipo sul ritardo.

Ero li dicevo, dopo la Sandra e i suoi detriti spaziali e ascoltavo strofe e pensavo. Pensavo che spesso suonano bene le parole incastrate l’una nell’altra e che formano frasi…come una distesa di rifiuti, ruderi, rottami, reperti, raschiature-di-barili che si aggrovigliano nel centro di un Maelstrom, mischiando fibre colorate di plastica a cadaveri di pesci, calzettoni e mutande di naufragi, assi di legno macchiate e spazzatura uniti assieme che quasi ci vedi un disegno del destino, un super tessuto divino cucito a maglia all’insegna del riciclo, arte vorticosa. Subisci tutto il fascino di vederli ruotare e finire in fondo agli abissi e i versi son lo stesso, cosi aggrovigliati, sembrano complessi e intelligenti.

“Trachiotomia-dell’anima-branchiale”

“Sinapsidi-ultraconnesse-dell’io-apocrifo”

“Semicoscienza-sinusoidale-del-mio-essere-umano-pittorico”

Ero li quindi, e tra i concetti poetici di qualche interesse, ritrovavo queste frasi oscure dal bel suono e nemmeno ti fermi a pensare…non hai scritte davanti…la poesia recitata va tutta a memoria e non ti fermi per capire quello che hai ascoltato, vai avanti, suona bene, basta cosi, non ti fare domande, basta arrivare alla fine come nelle canzoni in inglese che potrebbero dire tutto a volte…che tua madre lavora di notte negli angoli…che sia giusto sputare in faccia ai barboni…che forse è meglio idolatrare Satana come suoi adepti preferiti… ma tanto non ti importa, l’importante è che tutto suoni bene, che tutto fili, che tutto abbia una melodia di base, che il tuo ciuffo penda alla giusta inclinazione in gradi e che il montone sia vero montone, la macchina lucida, conto in banca a sei zeri, scarpe griffate come la maglietta con nomi in evidenza e brillantinati, scintillanti sotto i riflettori della disco nuova aperta in periferia, 30.000 chilometri quadrati underground, ricavata da una fabbrica che confezionava cibi per cani, laser, strobo-sfere, fumi tossici sparati sulle folle, azoto, cocktails e ombrellini, acqua tonica di marca, ghiaccio di marca, fette di limone di marca, serigrafie dell’uomo del monte che a nessuno importa più quello che dice ormai, che abbia detto si, che abbia detto no, non importa, ricorda…basta che suoni bene.

Pillola del 210° giorno – Meglio di ieri

Secondo giorno da mezzo influenzato…le cose migliorano, l’uovo di struzzo ‘sceso’ e digerito, bombardamento di farmaci che mi ha reso il mal di testa e il mal di gola sopportabile o forse sono le radiazioni dei film a catena continua che metto in TV che mi desensibilizzano il cranio mentre mi faccio del male tormentandomi la bollicina che sta sulla punta della lingua.

Mi sono sparato qualcosa come 4-5 film di fila e per concludere, per parlare di germi, ‘L’esercito delle 12 scimmie’ ora scorre nel suo genio e follia sul tubo catodico Philips anno 1998.

“I germi non esistono, sono soltanto un’invenzione creata apposta per vendere disinfettanti e saponi.”

Sarò breve, non ho voglia di scrivere fuori dal letto, in balia di spifferi provenienti dal cassone della tapparella, dimora di ragni e bestiacce e vento continuo, voglio solo sbomballarmi nel letto e davanti alla TV che oggi ho pure fallito con il tentativo di uscire fuori…c’erano sconti e grosso shopping da fare che per uno come me è motivo di giubilo e di grande carica ma nulla, collassato. Esco solo stamattina, c’era da andare in posta per forza…roba di lettere da inviare urgentemente…mi accompagnano in macchina, prendo freddo giusto qualche minuto e già mi basta per iniettarmi dolore nelle vene del cervello, fitte lancinanti. Poi subito il muro caldo della posta appena oltrepasso la porta a spinta, vecchi che si lamentano, un bambino che gioca con la cordicella di una penna, la tizia allo sportello che senza fare rumore dice e ridice “Non ce la faccio più”…lo leggo dal labiale. Io tossisco e spargo germi di questa nuova malattia nell’aria aspettando il mio turno. Dovranno sicuramente mandare qualcuno dal futuro per fermarmi prima che per il mondo sia troppo tardi, l’epidemia inizierà da qua. Pago 70 centesimi allungando una banconota che a proposito di germi e schifezze, sono la cosa più sporca che esista, sia come igiene che come morale. Mi allontano da vecchi, bambini e sportelli POSTAMAT elettronici, fuori freddo e subito nel Lupo con Sorella che mi aspetta sull’uscio sgasando.

A casa inizio con il pianeta delle scimmie…quello vecchio…dovrei radermi pure io a vedere tutti quei peli farlocchi. Poi continuo con Matrix e cosi via…non misuro la febbre ma credo di averla. Come arriva la sera si sa, sembra sempre peggiorare la situazione…la tosse si fa un po’ più forte, ricevo due chiamate e la mia voce pare uscita dall’oltretomba. Io tutto sommato mi sento anche bene non fosse per la testa pesante, diciamo che ne approfitto…nessuno mi fa domande…nessuno mi rompe il cazzo con lavori…posso starmene schiantato orizzontale una volta tanto…non me lo concedo spesso.

Ora basta…ho Bruce Willis sullo schermo e questa sedia mi ha stancato…devo anche prendere lo sciroppo per la tosse…mi irrita la gola.

Germi del cazzo…anche se non esistono.

Pillola del 205° giorno – L’importanza di sapersi togliere un maglione in pubblico

C’è una voce al telefono…dice qualcosa del tipo “disattivare il servizio di disabilitazione per poter effettuare la chiamata” senza aggiungere nulla, non un sito o un numero da chiamare che comunque non potrei contattare non avendo disattivato il servizio di disabilitazione.

Forse devo urlare qualcosa verso il cielo, forse è uno scherzo, forse devo implorare l’aiuto di Super Telecom con mantello rosso, forse non so cosa sto facendo, forse posso convincere i miei che il telefono non serve e che piccioni e fumo e pony express sono meglio ma sotto sotto, prego Dio che la regola inglese della doppia negazione venga applicata anche al resto della vita e che ‘disattivare’ e ‘disabilitare’ si annullino…magari già da domani si, appena sveglio.

Ne sono convinto, dico a Madre che risolverò tutto domani, che ho un piano il che è quasi una cosa vera e che consiste nello schiantarmi sul letto, dormire e sperare che una qualche sorta di magia operi nei cavi o un folletto operoso che lavora di notte si accorga di anomalie e che sistemi tutto smanettando su tastiere a velocità Jessica Fletcher su macchina da scrivere…ricordate no? Nella sigla della Signora in Giallo dico…all’inizio credo, con la canzoncina che faceva “Dan-Dan-Dan-Dan-Dan…Dan-Dan-Dan…Dan-Daaa..” che poi, quando penso alla Jessica, più che la sfiga che si porta dietro…a volte mi pare di vedere uno scheletro con la falce dietro di lei…mi vengono in mente le vecchie con i capelli cotonati. Da dietro sembrano tutte uguali e tutte sistemate dallo stesso parrucchiere che a sto punto dev’essere milionario visto che le fa in serie peggio degli scaffali IKEA. Hanno questi boccoli e forme cespugliose con colori da mezzo piccione sporco che io mi dico che sarebbero meglio come quelli di mia nonna a sto punto, bianchissimi e pure mezzi-punk. Quello si che era stile.
Ora, io dal giro del parrucchiere mi sono tolto da un po’ e la cosa che mi stupisce, e qua le cose si incastrano in maniera meravigliosa, è che l’altro giorno mio padre mi fa…

“Figlio…orsù prendimi un appuntamento per metà ora dopo la terza di meriggio dal tosatore di chiome”

…e io subito, sul telefono di casa, ancora lontano dal dramma della disattivazione di disabilitazione, con memoria e velocità digito il numero “20-22-64” che forse è l’unico numero fisso che sono riuscito a ricordarmi ed ecco il vecchio parrucchiere dell’ormai infanzia, Massimo, lì che mi parla al telefono e mi chiede cosa faccio, cosa combino e no…non ce l’ho la ragazza..eh in paese non ci sono quasi mai…si la fotografia qualche soddisfazione la tira fuori finalmente.

Lo saluto che alla fin fine lo conosco da vent’anni abbondanti e fa sempre piacere, mi passo una mano sulla testa rasata in memoria dei giorni dei capelli sugli occhi o del gonfiore post-phon o del che bello era tirarseli indietro. Ormai essere pelato non è più un problema, ormai non mi importa ed è incredibile invece, quanti altri mille altri problemi del cazzo mi sono creato per sostituire l’ansia del pelato con mille altre micro ansie da minorato mentale che mi rendono insicuro come un tavolo a due gambe.
Tipo, ieri ero in un locale gonfio di gente e ragazze e drink e simpatia e ipocrisia e vedo un mio amico che si toglie con disinvoltura un maglione.
Ma tu sai quanto volte penso ai vari passaggi quando mi devo togliere un maglione…assicurarmi che la maglietta sia dentro i pantaloni che altrimenti tiri su tutto, mi incastro e mi innervosisco e sudo e porto via tutti quegli elementi di cui mi arredo il corpo tipo catenine-bracciali-orologi e magari hai sotto la camicia e sembro un babbeo del cazzo con una specie di tenda incastrata sul cranio se me lo tiro via e…

…continua cosi a ritmo continuo mentre soffro il caldo e subisco il disagio e il maglione rimane appiccicato sul busto per il resto della serata…e dire che non mi posso neppure spettinare i capelli.

Il mio amico invece…che è pure uno che con gente uomini e donne ci sa fare mica ci pensa, mentre io si…che cazzata.

Cioè, perché stare a pensare due ore come fare quando fare e perché fare certe cose? Se hai problemi a toglierti un maglione in pubblico tanto vale che stai a casa a piangere in un angolo dico,figurati che succede con le cose serie.

A meno che non sia quello il trucco di chi ci sa fare davvero…togliersi il maglione in pubblico è la prova definitiva…non il modo di fare o le parole o i sorrisi, passa tutto dal maglione da sfilare che diventa una specie di interruttore di superpersonalità stile cappellino di Sylvester Stallone in ‘Over the Top’…diceva che quando si girava il cappellino gli si accendeva una specie di interruttore e diventava una macchina da braccio di ferro.

Vabbhè basta.

Che pensieri del cazzo.

Mi spoglio e vado a letto.

Pillola del 195° giorno – Andiamo a Berlino!

Tipico mio questo, che quando dovrei essere esaltato e trepidante per un qualcosa di nuovo mi scende addosso un’apatica noia e una poltronite acuta che mi tocca affrontare e sconfiggere ad ogni ‘Gate’ o ‘Terminal’ di partenza.

Sto qua, che riempo un mini-trolley quasi da donna di indumenti tra cui mutande calze per completare poi l’opera con un contorno di caricatori per cellulare e macchina fotografica, spazzolino, bagnoschiuma, asciugamani morbidi profumati…e quasi ho l’ansia.
E dire che se me lo chiedi io ti dico che viaggiare e vedere posti nuovi e conoscere gente è la cosa che mi piace di più e fidati che non è il discorso “sei bravo a parlare..:” no no…perché poi le cose me le godo più che posso…è proprio una roba mia…forse scarso spirito di adattamento o di avventura pure…ma non credo. Uno dice “paura dell’aereo” ma io rispondo che nell’ultimo carro buoi con le ali preso, l’unico tranquillo che quasi dormiva, mentre il mondo attorno era di lampi e fulmini e ali che fluttuavano a biscia incazzata, gente in panico, vomito a fiumi…bhe ero io.

Mi succede prima dei capodanni…e nel pre-serate post-doccia sdraiato sul letto che attendi le 22 e pure nelle uscite con ragazze che magari anche mi piacciono.

Ho l’idea che mi viva situazioni del cazzo dentro la mente, inconscia-mente visto che non me ne accorgo. Situazioni che poi nemmeno accadranno. Situazioni paurose o di imbarazzo e di difficoltà in cui io devo tirare fuori gli attributi e fallisco cosi mi abbatto a livello psichico e sono in un limbo in cui preferirei rimanere al calduccio a casa tra le comode mura di una confortevole apatica noia piuttosto che uscire e fare quello che mi piace.

Ma ci sono abituato, lo so che poi cambia anche se io non cambio. Questo me stesso mi ricorda quando Beppe Bergomi, composto, serio, vestito sempre come un geometra in pensione, esplode in un “Andiamo a Berlino!” nella semifinale vinta contro la Germania.

Una frase normale ma detta con carica da bambino esaltato che mai ti saresti aspettato da uno come lui.

Ecco, stessa cosa. C’è solo da aspettare il Gate di domani.

Pillola del 191° giorno – Delle canzoni canto solo le parolacce…

…e forse un po’ lo è inopportuno, che spesso ti ritrovi concentrato ad aspettarla la parolaccia nel testo e quasi non ti accorgi che forse se sei ad una fermata del pullman, l’ennesima della tua vita…circondato da vecchie, ragazzi con gli zaini che ci provano, facendo i finti maneschi, con ragazze con gli zaini…non ci fai una bella figura se ti leggono “Fanculo” sul labiale, sentono “Motherfucker” sussurrato e sibili “Cazzo” e “Merda” come un serpente.

Non sta più bene fare figure, sembrare lo sciroccato del quartiere, quando vai in giro in un primo pomeriggio e di nuovo la pioggia fitta e quell’ombrello che attacco su ogni pezzo di metallo riservando una parte di cervello al ricordo della sua posizione, per non perderlo e farlo finire nel cimitero degli ombrelli perduti che chissà che fine fanno e quante storie potrebbero raccontare i miei ombrelli persi, adesso in mano a ragazze bellissime, a immigrati, killer, barboni, ristoratori cinesi o ragazzini come me da giovane, cartellette sotto le braccia, occhiali, capelli che ti infastidiscono per quanto sono folti e lunghi…una scocciatura che rimpiangerai, o si che la rimpiangerai.

Vorrei due mani ausiliarie per riuscire a controllare tutto simultaneamente…cellulare, libro di Charles con ragazza stilizzata nuda a gambe larghe, rosa messa tatticamente proprio “li” che a proposito di figure chissà che pensano le vecchie, e i ragazzi che ci provano con le ragazze facendo i maneschi per finta quando intravedono quella copertina e la giacca lunga e la faccia e il cappuccio…losco figuro a proposito di figure, come dicevo.

Capita tante volte poi e anche oggi, che mi ritrovi a camminare in giro su marciapiedi sconnessi e neri con il desiderio di essere da solo infilato in una città nuova, scoprire e memorizzare gli angoli nuovi che incontro e tardare agli appuntamenti o proprio non andarci o fare giri più lunghi circumnavigando sobborghi, palazzi e parchi, starmene in giro con musica e parolacce soffiate mentre le macchine cercano di evitarti o di prenderti.

L’essere meditavagabondo è molto simile al sentirsi solo e malinconico, che vedi cartelloni di pubblicità e pensi a quando tutte quelle persone, che su quel cartone di tanti metri per tanti metri di grandezza stanno in riva al mare caricando una macchina di oggetti, saranno scomparse nel nulla e nessuno si ricorderà di quell’immagine e di quel cartellone e di quella macchina. L’essere meditavagabondo è stare ad osservare i volti alle finestre invece di guardare per terra dove metti i piedi, che in questo periodo ci trovi di tutto…i serpenti e gli altri animali escono dai tombini e le persone dormono sui cigli in mancanza di quattro mura…nemmeno quelle di cartone che le scatole delle lavatrici vanno a ruba pure tra i ricchi.

Vedo una ragazza sui trentacinque con i capelli rossi affacciata alla finestra che fuma con lo sguardo triste e penso all’infinità di giorni passati ad affacciarsi su una vista di cemento, asfalto bagnato da pioggia continua, platani morenti e quasi mi viene da piangere. Vago tra concessionarie di auto di lusso in riallestimento e macellerie e cinema chiusi passando tra gente che si arrabbia quando cerco di immortalare un frammento della loro vita in una foto, insultandomi come se facessi un torto nel trovare qualcosa di interessante in un’esistenza che si basa sul mangiare, dormire, riprodursi al minimo sindacabile, acquistare beni, sacrificare sentimenti, stare lontano dal mare, dall’arte, dalle risate come la loro.

“Scusate” dico “…scusate se vi ritroverete un giorno appesi in un istante del vostro passaggio nell’universo in muri di case lussuose o musei o carta patinata ammirati da tutti…elevando la vostra vita normale che non rimarrà scritta in nessun libro ma solo in ricordi che finiranno nel nulla…scusate se vi voglio rendere immortali…pregate il vostro Dio allora se ne avete uno…”

Meditovagabondovaneggio schivando scrosci dal basso e dall’alto per diversi decametri. Un posto asciutto…entro e incontro una conoscente non amica cicciona che è solita attaccare sul posto di lavoro e sugli armadi foto dei figli e del marito ed è tantissimo felice del suo isolotto di sabbia calda e acqua tranquilla che a me sembra tanto bello a pensarci ma se poi vedo una nave pirata mi ci voglio arruolare. A proposito di figure mi chiedo se le faccio quando degli auricolari tolgo solo il destro mentre l’altro rimane appeso che cosi è più comodo…non devo stare ad arrotolare e srotolare sciogliere nodi…imprecare e ripetere a memoria tutte quelle parolacce che sento nei testi delle canzoni ma con un vero motivo. Sembrerò maleducato mi dico, si sentirà la musica mi dico, quando sono li appoggiato, mentre le parlo, ad una mensola in ciliegio finto infilato in mezzo ad anfratti cubici di muratura bianca. Questo mi dico.

Però lei sorride e mi chiede se prendo ancora il pullman per fare foto agli sconosciuti.

“Si” rispondo…e un po’ sono sorpreso…non ricordavo nemmeno di averle raccontato una roba del genere l’ultima volta che l’ho vista…e sarà un anno fa.

Poi chiacchero e dico cose e lei sorride, chiacchera e mi dice altre cose…niente di importante…io le dimenticherò al secondo piano di scale in discesa stavolta, verso l’uscita. Lei se le ricorderà per la prossima volta che ci vedremo.

Ed esco…ed è già tutto dimenticato però sono un po’ più contento per quella piccola sorpresa…di qualcuno quasi sconosciuto che si ricorda una tale inezia della tua vita, come quando io faccio le foto delle persone normali che quasi non sembrano lasciare traccia nel mondo ma per me sono come piccoli oggetti importanti da tenere da parte e ammetto che essere quasi sorpreso-contento da meditavagabondo è una cosa nuova per me. Sento quasi, forse…che potrei provare a migliorare un po’ questo mondo triste, cominciando da quella fermata del bus li in fondo, con una tizia che avrà trent’anni, bionda e piccola con lo sguardo triste.

Cerco di non urlare le parolacce che sento e cammino verso di lei, sotto la stessa tettoia e la guardo, a meno di un metro di distanza, lei mi guarda pure.

No…niente…pur contento, ad incrociare uno sguardo sconosciuto e poi sorridere…non riesco.

Beh…come si fa con le diete…inizierò a migliorare il mondo da domani.

Immagine

Pillola del 188° giorno – Che tanto fra 5 miliardi di anni è tutto finito

Seduto, tavolaccio di legno di un pub, tre luppoli dentro una bottiglia di Bock marrone mentre si discute di donne e moto, giusto qualche giorno fa…
 
Si presenta questo tizio che non conosco…do la mano, lui la stritola e la cosa non mi piace, come se ti prestassi la macchina e me la riconsegni schiacciata sul muso, senza portiere e con un barbone morto sul cofano.

“Grazie…”

“Si prego…però…cazzo…la macchina…”

“Ah si…però grazie eh…”

Ora…vorrei dimostrargli che il parkour serve a qualcosa reagendo con una contromossa che gli demolisca i metacarpi ma si sa come finiscono queste cose poi…una tira l’altra, ripicche su ripicche e finisce che la prossima volta porta un amico pugile da presentarti ed invece di darti una pacca sulle spalle ti gonfia di botte in un angolo.
 
Sapete cosa dimostra tutto questo schiacciare le cartilagini altrui? Dimostra il tipico atteggiamento di ‘cercare di far vedere qualcosa’…che io son forte che ti stringo la mano durissimo…te la presso bastardo, te la spacco quella mano hai capito?
 
Fai come ti pare ecco…mica mi interessa…mi dà solo un po’ di fastidio anche perché poi ci penso ed un sacco di volte nella catena dell’apparenza ci finisco pure io e mi do fastidio da solo.
 
Oggi ad esempio, vado a messa…non per quale strano motivo eh…è che i miei credono che frequenti spesso ma in realtà no ma oggi non avevo alternative divertenti e stare a casa nascosto in un armadio non mi garbava, troppo scomodo e ho il torcicollo. Quindi decido di andarci davvero per una volta, sedermi in fondo ad osservare come il cameramen in un documentario sulle bestie della savana…capire in cosa credono quegli altri lì che in fondo, se ci penso, credere sul serio sarebbe bello e comodo anche per me.
 
Nel trucco dell’apparire ci cado appena entrato, subito a puntare la figa nel coro mentre maledico la mia barba incolta, i capelli non rasati e i vestiti da barbone tossico. Arriva il momento delle offerte e io tiro fuori il portafoglio ma dentro ho solo trenta centesimi e i rimasugli di una SIM. Le vecchie attorno intanto sventolano buste e bigliettoni, sembrano brooker all’apertura di Wall Street, mentre io non so che fare con la mia evidente indigenza.
 
Mi creo un piano subdolo con cui possa cavarmela senza passare in quei terribili secondi in cui sei l’unico che non butta dentro monete e guardi in basso fingendoti distratto o peggio…addormentato.
 
Il trucco che escogito sta nell’infilare la mano dentro il buco sulla stoffa che copre il cestino e ‘lanciare’ le monete nell’angolo più buio. Faranno casino rimbalzando sul resto di quella riserva di Nickel. Sembrerà che abbia gettato una manciata d’oro e l’omino delle offerte non vedrà nulla…che quello lì se lo osservi bene sta sempre a guardare in basso, verso la fossa dei soldi, scannerizzandoti il bilancio bancario con due occhiate.
Eccolo che arriva appunto, completo grigio, leggera protuberanza addominale, camicia azzurrina, occhiali e occhi che osservano. Tutti buttano dentro qualcosa…ed ogni volta mi sembra di notare nell’omino un leggero “Si Si” di approvazione severa fatto con la testa. Quando me lo trovo di fianco uso la mossa dello scorpione…così l’ho chiamata…e lancio le monete.
Forse sarà la più grande dimostrazione dell’esistenza di un Dio burlone della mia vita…non so…sta di fatto che le lancio non so come sopra il cestino…e cadono sulla stoffa. Tutti vedono, tutti fanno ’10 + 20…30′. L’omino non lo guardo in faccia ma di sicuro ha stampato un ghigno di sdegno e scomunica.

Raccolgo dalla stoffa e butto dentro…pure il ‘tin’ è misero.

Con vergogna passo in rassegna gli errori fatti con ‘lo scorpione’ ma qua la fisica non c’entra nulla, semplice beffa divina che comincio a capire il perché gli altri alla fine ‘credono’…certe cose non te le spieghi.

Il problema è che me ne dovrei fregare, fare come la vecchina povera al tempio al tempo di Gesù con l’unico obolo distesa per terra, che mica è di queste cose che devi preoccuparti, fottitene e passa oltre che la vita può finire in un attimo. Una fuga di gas ed esplode tutto, kamikaze iracheni musulmani che entrano con autobomba dalla sacrestia oppure una laserata di onde gamma e plasma che arrivano da una supernova.

A questo non avevate mai pensato eh? Cadere dalle scale…incidente in macchina…ma supernova mai vero?

Una sera di due settimane fa non so come sono finito a parlare di cosmologia avanzata con un mio compare. “Tanto la terra sparisce fra cinque miliardi di anni…inglobata dal Sole che diventerà gigante rossa…” gli dico, fiero e saggio.

Il mio amico ride a squarciapalle…si lo so che si scrive crepapelle…bhe comunque ride e risponde

“Ma te sei folle…a parte che ci saremo già estinti o saremo diventati delle robe alte tre metri senza palle…senza cazzo…senza peli e che si autoriproducono…ma sicuramente prima o poi arriverà qualche cazzo di onda d’urto cosmica di raggi gamma e neutrini che ti riducono tipo Plasmon liofilizzati tempo dodici secondi…”

Si insomma…tu sei li con la tua morosa sulla spiaggia di notte che vuoi trombare mentre lei è li che fantastica dolcemente sul cielo stellato che è vecchio di qualche milione di anni…come vedere diapositive di vent’anni fa…e ti arriva questo fascio di particelle cazzute che ti riduce in carbone e non ti sei manco abbassato la zip.

E’ successo che da qualche parte cinque minuti fa, all’angolo tra la 5° strada stellare e Alpha Centauri una stella è esplosa e nessuno lo poteva sapere. Fuga di gas cosmica. Tutto finito.

C’è da andare in giro spaventati altroché…ti becchi uno davanti che ti vuole rapinare “Dammi tutto quello che hai!” ed ha una pistola in mano. Ci sarebbe da rispondergli “Ma che cazzo fai con quel pistolino…ma non sai che magari ci sta arrivando una pallottola di radiazioni a 800.000° gradi e fra due secondi siamo morti?” Gli prendi la pistola dalle mani e lo abbracci.

Ecco perché sta cosa dell’apparire alla fin fine è davvero una perdita di tempo, un vero spreco. Pensiamo un po’ più semplice.

Ritorno dal viaggetto cosmico di nuovo sulla terra. La messa è alla fine, la figa del coro canta insieme con le altre.

“E quando il sol si spegnerà e quando il sol si spegnerà o Signor come vorrei che ci fosse un posto per me…”

Che vi dicevo? Un Dio burlone.

Immagine

Pillola del 173° giorno – Alpha

Inizio a scrivere forse in terza o quarta superiore, era un tema…il commento ad una poesia, il mio primo grosso lamento su carta. Quattro facciate di protocollo, tre righe di commento standard e altre ottantasette sul come mi sentivo quando mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo, di come vedevo riflesso qualcun altro e se parlavo…non ero io a farlo, chissà da dove veniva fuori quella voce.

Torno a casa, a mia madre dico “è andato male”

Quattro giorni dopo prendo nove e i complimenti pubblici della prof., un paio di compagne che mi chiedono di poterlo leggere e io penso che forse è la prima volta che credono che abbia davvero qualcosa di profondo da dire oltre alle battute, alle cazzate, a fare il simpatico…anche se è sempre stato tutto li dentro, fin da piccolo…è sempre stato cosi.

“Posso?”

“E’ un po’ personale…”

“Beh se non vuoi…”

“No dai…tieni…”

Leggo Norvegian Wood di Murakami, passo giornate a parlare con gente virtuale, le uscite con gli amici, inizio a scrivere pensieri, leggo ‘L’Alchimista’ di Coelho dopo un’adolescenza a coltivare sogni di avventure con Cussler, Crichton, Tolkien. Amore…prendo e perdo. Amici…prendo e perdo, come perdo anche occasioni…e perdo colpi…e cado e mi rialzo, ricado, mi rialzo, cado ancora e non mi rialzo più. Stanco, mi infilo in una gabbia di paura e timidezza dove scrivo poesie…un disastro…melense, piene di metafore, immagini figurate, unte e bisunte, grasse, farcite, disgustose. Scrivo cose terribili, sperimento l’andare giù e sentirsi un vero alieno, non esco con nessuno, non rispondo a nessuno, invento scuse, bugie, cazzate e sto nella gabbia, al buio, a lamentarmi, a mangiare ed ingrassare finché dalla porta non riesco nemmeno più ad uscire e scrivere…smetto anche con quello, mangio e ingrasso e basta, ancora e ancora…

Poi mi addormento.

Mi sveglio quando sento che le sbarre mi lasciano segni e fa male, mi rialzo e cerco di uscire ma ci vuole tempo. Aspetto. Ancora tempo. Aspetto ancora e intanto reinizio a scrivere finché la porta non si allarga o forse sono io a stringermi ed esco di nuovo e recupero gli amori, gli amici, la bella scrittura, il mare, le giornate di sole, correre finché il cuore non scoppia, risate, marmellata alle arance, figure di merda, lavoro, università, sbronze, cotte estive, ragazze che pensi siano troppo belle, la gente di merda, le giornate in cui lasci l’ombrello a casa e ti becchi il diluvio e a te non te ne frega un cazzo che l’importante è che ci sia la musica.

Cresco, ormai uomo o almeno credo o almeno cosi mi dicono e continuo a cadere, rialzarmi, cadere di nuovo finché non imparo che cadere e rialzarsi è il succo della vita…è cosi, sarà sempre cosi. Quando mi rialzo lotto, vinco e perdo, conquisto persone e cose, rido, piango, soffro, amo allo sfinimento e mi incazzo, bugie e troppa sincerità, faccio lo stronzo, sono troppo buono, intrattabile, solare, meschino, pazzo, folle, energico, sudato, positivo, a volte in piedi, a volte a terra…in piedi…a terra…in piedi…a terra…ma ormai ho capito la lezione mi dico, le cose cambiano anzi, sono cambiate…d’altronde le strade portano sempre da qualche parte…o almeno credo, o almeno cosi mi dicono.

Poi un giorno rientri in casa, più di dieci anni dopo, stesso specchio di quel tema e non ti riconosci…il riflesso è quello di qualcun altro, parli e quella voce non è tua e quindi, nonostante quello che credo, nonostante quello che mi dicono…cosa è cambiato?

163° giorno – Diario di un pesce fuor d’acqua

Sento freddo e oggi qualcosa non ha funzionato nel mio orologio interno: sono le 7:32, sono in ritardo. Avrò minuti da dover recuperare a lavoro, un po’ qua un po’ là. Spero non più di venti. Eppure questa notte l’orologio, in mezzo ad un sogno tormentato, mi ha fatto alzare per andare a pisciare e mi ha rotto il sonno alle 4:52, puntuale come al solito, perfettamente funzionante e io sveglio, in apnea e senza branchie.

Freddo dicevo, tempo di abbandonare le lenzuola leggere e mettere sopra qualcosa in più, almeno uno strato di canottiera e non nudo come mamma mi ha fatto. Tempo di accendere anche lo scaldotto a lavoro, elettrico e da infilare in mezzo alle gambe “cosi diventi sterile…” come dice la mia Capa…e sono le 8:12, meno di venti minuti da recuperare mentre il Senior oggi, pare un inglese di mezza età in procinto di andare a pescare. Quasi tutto beige..gilet beige, maglia beige, pantaloni beige ma cappellino scuro stile basco ma non proprio basco. Non ricordo come si chiama…quel tipo di cappello dico perché lui, il Senior, si chiama Lorenzo, “come Il Magnifico”. Lo dice ogni volta, “Lorenzo…come Il Magnifico!”

“Ma vai a fare in culo…”. Lo penso ogni volta, “A…Fare…In…Culo”

L’altro ‘nuovo’, lo chiamo ‘Warren W.’ perché cosi è scritto sulla felpa, dietro, sulle spalle, ricamata in bianco su sfondo blu, circondata da loghi, bandiere, numeri. Appariscente anzi no…brutta. Sembra il cartellone di un gioco in scatola senza regole. Quando entro, lo trovo stravaccato su una poltroncina a giocare con il suo cellulare e so che andrà avanti cosi fino alle 10 o le 11. Poi, farà finta di chiamare qualche fornitore, perché c’è la Capa in giro e non gli pare bello. Non che faccia male eh…d’altronde è qua da una settimana e nessuno gli ha ancora detto il perché sia stato assunto e non vedo cos’altro potrebbe fare se non vagare come uno spettro nullafacente per la ditta, bere caffè, controllare l’estratto conto gonfio di 30 euro in più ogni ora, andare su Facebook, chiaccherare con qualche vacca. Ha sempre questo cazzo di mezzo sorriso sul viso che lo capisci anche senza conoscerlo che dentro c’è il DNA di una faina. Non ha voglia di fare un cazzo.

Lo odiano tutti.

Alle 12:06 me lo trovo davanti che si mette la giacca. Sta zitto qualche secondo, io lo fisso e lui mi fissa.

“Io faccio quello che se ne và…” mi dice, tirando su il mento, mezzo sorriso verso destra.

“Ecco bravo…vai pure..vai a fare in culo pure te.”

Non glielo dico, ma rispondo “Buon appetito” invece. Esce e rimango da solo…per fortuna.

Innervosito…oggi sto stretto. Sto stretto tutto. Oggi il mondo mi sta stretto. Tutto. E le persone e le relazioni che ho, strette. Tutte. E voglio più spazio, voglio allargarmi, voglio di più. Più largo. Voglio amare tutte le donne che conosco. Tutte. E spendere tutti i soldi che ho. Tutti. Correre in macchina fino al limitatore e radiatore in fiamme poi scendere e sentire il ‘TA-TAC’ del motore che si raffredda. Freddo. Più movimento, più emozioni, “Citior Altior Fortior” come i latini…più veloce, più alto, più forte. Di più. Più ‘più’, che oggi tutto è stretto. Tutto. Stretto, dal mondo alle donne, fino ai vestiti. Mi sta stretta questa felpa nera da lavoro e stanno stretti i jeans due taglie più grandi, stretti che li sento appiccicati addosso e io mi sento un ciccione, la pancia larga, il petto largo e sto stretto dentro il mio loculo lavorativo, piccolo come l’abitacolo di una Formula 1 anni ’40 con anche lo scaldotto adesso, infilato li in mezzo con i suoi bottoni, le sue rotelle e il suo calore che non si riesce mai a regolare decentemente. Stretto come un pesce in una boccia di vetro.

Si, mi sento un pesce ora, un pescione…una cernia. Stretto.

“Chissà come si fa saltare a fuori” mi chiedo, ora che sono pesce.

“Anche se ci riesco…” penso “…c’è sempre il problema di respirare…mi risveglierei pesce e desidererei i polmoni…”

“E anche se respiro poi che cazzo faccio…con quelle pinne ridicole…viscido…non mi sposto da dove cado…”

Sono pesce da nemmeno un minuto e già mille problemi, vorrei essere qualcos’altro…e dire che da umano ci ho messo quasi trent’anni a desiderarlo. Ora che sono pesce e nuoto lungo quella curva trasparente, cagando fili, scuotendo pinna e coda, raggiungo il nirvana e mi accorgo che invece di pesce vorrei essere rospo.

“Da rospo potrei balzare dalla boccia e una volta fuori tento la fuga…potrei saltare in giro respirando ossigeno e poi come va va…magari mi becco la principessa con la bocca di pesca e bacio facile. Troia. Oppure tossici leccatori di dorsi. Drogati. O coccodrilli affamati. Probabile…”

Il rischio vale la candela? Avevo vent’anni quando Dave Matthews in Big Eyed Fish cantava di un pesce che saltava fuori dall’acqua perché voleva di più, voleva volare, diventare un uccello.

“Look at this big eyed fish swimming in the sea. Oh how it dreams he wants to be a bird, swoopin’, divin’ through the breeze so one day, caught a big old wave up on to the beach, now he’s dead you see, beneath the sea is where a fish should be…”

Il pesce fa un salto, saltando sopra un onda, ma finisce sulla spiaggia. Muore. Il succo è che per Dave c’è da guardare per bene il verde del nostro giardino che non fa cosi schifo, che è colorato pure quello.

“But oh God under the weight of life…things seem brighter on the other side…”

E chi lo sa chi ha davvero ragione….magari Dave. Magari io. Magari dipende.

Io so solo che quando esco e cammino…con la pioggia che scende e tutto attorno è fango e acqua e non c’è sole, non c’è luce, a casa non c’è nessuno e per mangiare ti dovrai arrangiare e le gambe sono stanche ma domani si ricomincia comunque…ecco…in questi momenti penso che non si ami mai abbastanza, non si osservi mai abbastanza e non si viva mai abbastanza e quello che hai non può bastare..non basta mai…ti sta stretto.

Forse è solo un’illusione della mente, una piccola allucinazione…ma quando in queste giornate penso a queste cose e guardo li in fondo, verso l’orizzonte, noto una specie di curva che sale in alto e l’immagine del cielo un po’ si distorce e anche la luce sembra che si attenui, diventa più opaca e le nuvole sembra che si fermino.

Provo a seguire quei leggeri riflessi e comincio a girare tutto il collo e poi anche il corpo perché quella curva quasi trasparente corre continua e ora la vedo ovunque, distintamente, tutta attorno, circondato.

“Una boccia…”

Pillola del 153° giorno – Pasqua

Stravaccato su una poltroncina con rotelle e tessuto verde mentre attendo che la stampante RICOH multi-accessoriata con scanner, caricatori multiformato, tamburi e slot colori singoli ad innesto rapido sputi fuori risposte cartacee ai miei input annoiati.

“Sai perchè ti sei sempre infilato in situazioni impossibili e complicate? Perchè hai paura di innamorarti davvero di una persona facile da raggiungere…è una cosa inconscia la tua” mi dice la segretaria con voce severa

“Sarà…magari è quello…e poi chissà se mi sono mai innamorato davvero…” rispondo, mentre gioco con una chiavetta USB piena di pezzi della mia vita.

“…quando ci penso…non ne sono davvero sicuro…” continuo.

Stravaccato su una poltroncina con rotelle e tessuto verde nel terzo giorno di pigrizia di fila, con un po’ di dubbi e di pensieri mentre gioco con puzzle a tinta unita che mi fanno uscire di testa. Devo concedermeli ogni tanto, tre giorni cosi, come faccio per l’insonnia che mi distrugge l’esistenza. Capita, a fine mese, che per tre giorni dorma come tutti gli esseri normali. Capita che dopo un mese di allenamento intenso, mangi pizza per tre giorni di fila. Capita e mi tiene sano di mente ricordarmi che a volte la forza di volontà, l’impegno, la sicurezza, le idee chiare si ritrovino disperse in un banco di nebbia, perse in un bosco, per tre giorni.

Negli ultimi istanti di lavoro, stavolta di giù, lontano dalla super stampante, fisso lo schermo svogliato e uccido un po’ di zanzare tigre. Mi passo la mano destra sui capelli da tagliare, sulla barba incolta e sento quel dolore che morsica il polpaccio. Penso che tanto manca poco alla mezzanotte e che da domani si ricomincia con un paio di pile nuove, cancellando le ultime settantadue ore e i lamenti dei muscoli e i puzzle e i pensieri.

Si, tre giorni di fragilità vanno bene.

Se li è concessi anche Gesù.

Pillola del 137° giorno – L’abito del monaco

Mentre confeziono nella noia degli ultimi minuti di lavoro un cuore fatto in filo di stagno, mi ritrovo a pensare a come io appaia alla gente, quando mi incontra. Di certo non sembro uno che confeziona cuori di stagno abitualmente, questo è sicuro.

Quando ieri camminavo tra la gente del corso, provavo ad immaginare di incontrarmi per caso sulla strada per vedere un po’ che impressione faccio, cosi, dall’esterno, a me stesso.

Ha senso?

Indosso una maglietta che mi sta diventando piccola, perchè da quando la spalla sinistra collabora un di più riesco ad allenarmi ogni giorno e questo mi fa sembrare ancora più grosso. Ci sto dentro a stento. Da fuori, un sacco di gente potrebbe pensare che occupo due-tre giorni alla settimana in palestra a pomparmi, per questioni di apparenza, per sembrare grosso e cattivo e far paura alla gente e provarci con le tipe sui tappeti da corsa. Potrei sembrare un tipaccio, uno psicopatico, “non ti conoscessi non ti vorrei mai incontrare da solo in un vicolo” mi dice un amico. Ma loro non sanno che ogni giorno, anche se stanco dal lavoro, mi ritrovo in una piazza, con la gente che prende l’aperitivo e che mi guarda come fossi uno scemo, a sudare e a resistere alla fatica e alle gambe che bruciano, alle braccia insensibili, appeso a sbarre, a muretti, a correre, saltare, ruotare le articolazioni anche quando piove, quando c’è freddo e la neve per terra, quando esco dalla ditta e il sole è sparito da due ore e tutto questo solo per amore del movimento.

Mi incrocio mentalmente sul pavè della piazza e penso che mi vedano serio, che non sorrido mentre cammino dritto e tutto questo riflette la prima impressione. Per loro è un “stanne alla larga” istintivo, ho la faccia di uno da non far salire in macchina se mi trovano a bordo strada che faccio autostop. Uno che non scherza perchè non ama scherzare, inutile farmi battute, sono un duro, cuore di pietra, anche se ne confeziono di stagno. Ma loro non lo sanno, la realtà è che non sanno che non sorrido solo perchè la mia faccia non mi piace cosi tanto quando mi viene da ridere. Non sanno che penso sia cosi anche per gli altri. Magari sbaglio, ma io mi vedo strano, mi sento strano, quasi un po’ forzato quando sorrido. Se mi dicono “ridi che facciamo una foto” ne esce un mezzo ghigno. Poi, bastano due minuti e mi metto a diffondere gioia per ogni stupidaggine mentre ne sparo una ventina pure io. Mi serve qualche minuto per carburare quella parte del cervello.

Mi osservo guardondomi dritto negli occhi e anch’io mi osservo, guardandomi negli occhi mentre mi passo a fianco. Ho lo sguardo tagliente.

Ha senso?

Capisco quando dicono che tiro occhiatacce, credo che da fuori sembra che io odi la gente, che sia costretto ad attraversare fiumane di persone per me insignificanti e che guardo con disprezzo. In realtà osservo tutto, fin nei minimi dettagli ed è perchè scatto mentalmente, come se avessi la mia Fuji sempre in mano. Ogni scena di vita per me è inquadratura, ogni dettaglio insignificante può nascondere del bello, e tutti quei dettagli e i gesti minimi, diventano anche le storie che leggete qua sopra. Non disprezzo, amo.

Se tiro le fila del discorso, ne viene fuori che io sembri davvero una brutta persona da fuori, da sobborgo di Caracas, che nasconde il ferro e fa affari loschi, picchia i bambini, maltratta le donne, pensa solo a se stesso, psicopatico.

La realtà è che faccio il designer, il fotografo street, lo scrittore, ogni giorno. Amo Bukowski e Murakami, mi commuovo con i film, non riesco nemmeno a schiacciare gli insetti che trovo in casa, devo riportarli fuori. Amo fare regali agli altri, ho bisogno degli altri. Adoro il mare, il rumore del fuoco, la luce che rimbalza sugli oggetti, ridere.

Ho sentito un sacco di giudizi riportati, sentendo voci, su di me. “Sembra uno stronzo” “egoista” “egocentrico”. Tutto da gente che mi ha visto una sola volta.Credo di essere abbastanza disastroso alla prima impressione.

Purtroppo la gente è davvero stupida mi dico. Però poi, penso a me stesso e a quante volte anch’io finisca per fare la stessa cosa.

Vorrei davvero provarci d’ora in avanti a non mettere mai più una persona in uno schedario dopo i primi quattro minuti.

Che alla fine anch’io quando sono ‘la gente’ sono stupido.

IMG_20130911_160343~01

Pillola del 131° giorno – Credito terminato

Vodafone mi avvisa che ho finito il traffico Internet ma potrei pagarli però, per continuare a farmi i cazzi degli altri e messaggiare. Credo non lo farò, anche se è il 5 settembre e ciò significa altri 9 giorni senza internet sul cellulare.

Potrebbe essere anche un’esperienza interessante.

Quando penso al mio rapporto con questa tecnologia, lo considero un po’ troppo morboso. Ci sto attaccato troppo, litigo troppo, faccio stalking, importuno persone con questa scatoletta e anche se non voglio, me lo ritrovo in mano pure quando esco con altre persone e sto seduto ad un tavolo invece di chiaccherare e ridere.

Che poi, stasera ero li con due amici, e il credito era già a zero. Cellulare appoggiato li, senza ipotesi di attivazione e solo due cazzate e la mia acqua tonica, ghiaccio e limone e mi è venuto da pensare che con quel coso in mano mi sarei perso un sacco di battute.

Ci preoccupiamo di stare in contatto con mille persone alla volta e spesso non sappiamo godercene nemmeno due.

Pillola del 129° giorno – 100 Hz

“Mi aiuti a togliere la tv dalla macchina, dopo il lavoro?” mi fa un amico
“Si” rispondo.

Esco da lavoro, 17:30, entro in macchina con lui e andiamo a casa sua.

Tutte le domande precedenti, del tipo “ma ha davvero bisogno di aiuto per una stupida televisione?” oppure “ma avrò capito male?” svaniscono dal cervello come macchie trattate con il Vanish. Si, era un messaggio sponsorizzato, comprate Vanish Oxi Action.

Svaniscono perchè quella che credevo fosse la testata del motore posteriore, appena entro nella sua ‘Saxo’, in realtà si rivela essere un tremendo ed enorme televisore Panasonic 36 pollici che occupa tutto il retro e assetta la macchina peggio di una enduro in impennata. E poi la ‘Saxo’ il motore ce l’ha davanti.

Arriviamo a casa del mio amico, che sta in affitto dal mio capo.
Ora, il mio capo è geniale, simpatico e bravo, ma è completamente pazzo e disorganizzato e questa sua casa rispecchia l’architettura della sua mente. Vedete, la televisione dobbiamo metterla al piano terra, dove c’è la camera da letto, solo che non c’è nessuna porta per entrarci. Infatti, bisogna andare al primo piano, dove c’è la cucina, aprire una porta, scendere delle scale a chiocciola mezze metallo e mezze plastica rubate sicuramente ad un ospedale croato ed infine accedere alla camera.

Una cazzata, se dovessimo spostare un moderno LCD, ma questo, è un CRT ricavato da un panzer della seconda guerra mondiale. Appena lo afferriamo dall’unico appiglio plausibile e lo tiriamo su dal portabagagli, le vene negli occhi tipo esplodono, la schiena urla pietà, gli avambracci si tirano a fionda e capisco subito perchè il mio amico voleva una mano.

E’ un fottuto macigno, e si che sono allenato.

Lo rimettiamo giù con terrore. Per arrivare al bordo della finestra, che è ovviamente altissimo, dobbiamo portarlo oltre l’altezza delle spalle e lì diventa culturismo, senza contare che dobbiamo fare rotazioni kung fu per riuscire a metterci in posizione.

Tentiamo un paio di volte ma quel robo ha la stabilità di un monociclo bucato guidato da una castoro ubriaco e che si è appena lasciato con la moglie e per qualche istante, la TV sembra voglia tentare il suicidio fracassandosi per terra, ondeggiando pericolosamente.

Di nuovo giù.

Dopo cinque minuti decidiamo di appoggiarlo almeno sul bordo, utilizzando la tecnica “incliniamolo, appoggiamolo e tiriamolo su”, cosa che ci costa tre avambracci e sei ernie ma dopo un paio di tentativi ecco che quel suo culone grigio di plastica si appoggia sul marmo.

Fatto.

Ora, scappo al primo piano di corsa per poter scendere in camera, mentre il mio amico tiene in sospeso quella follia sul davanzale. Quando arrivo, capisco che non sarà una cazzata neanche il passaggio dopo.

Sposto il divano che c’è sotto e prendo il lato destro del televisore cercando di metterci più forza possibile per alzarlo oltre la struttura della finestra. Appena la TV si appoggia con il suo peso sopra quei 3 millimetri di alluminio ecco che si sentono lamenti e sfrigolii come se un fulmine avesse appena centrato una vecchia in sedia a rotelle.

“Questa cosa non s’ha da fare”

Prendo i cuscini del divano. Con sforzi enormi, riusciamo a sollevare quei 36 pollici di terrore sul davanzale, utilizzando leve svantaggiosissime in cinque millimetri di spazio e a infilare due cuscini sotto, riuscendo a tirarla in dentro, con la speranza che le finestre si riescano a chiudere ancora e che gli infissi non siano da rifare.

Ora, è il mio amico che corre su per scendere giù, che tutta sta storia pare un livello di Super Mario, sapete no, quando entra nei tubi verdi.

Con le ultime energie in corpo, portiamo dentro il mostro e lo sbattiamo in un angolo.

Stremati e con il fiatone ci sdraiamo sul divano, in silenzio, per qualche minuto. Poi, da una mensola, il mio amico prende il manuale d’istruzioni della TV e inizia a cercare.

“Cosa cerchi?”
“Il peso…eccolo…”
“Sarà almeno 60 chili…”
“Pesa 82 chili…”
“Cosa?”
“82 chili…”
“Cazzo pesa quanto me…ma c’è dentro un nano morto per caso? Non ha senso!”

Rimaniamo in silenzio ancora un po’

“Però è bello, consuma come una puttana ma è a 100 Hz” mi dice
“Il mio vecchio era a 60 Hz” gli rispondo

Certo che 40 Hz in più pesano un sacco.

 

IMG_20130903_185323~01

Pillola del 94° giorno – Casa dolce casa

Sdraiato sul letto a non fare niente che per me è strano non fare niente, che non ci sono più abituato, come se avessi perso quella parte di cervello che ti dice “reeeeelaaaaaaxxx” con la voce suadente di un Barry White.

Sarà che il primo giorno di vacanza è sempre pieno di tensioni emotive perché rivedo dopo mesi persone speciali e rivivo i luoghi della mia infanzia estiva da un giorno all’altro, senza acclimatarmi, gettato di colpo in questo paese, nelle partite di calcetto, la maglietta blu a strisce bianche vecchia, larga e brutta ma che non potrò mai buttare e poi, il mettersi le scarpe in garage dove se le infilava anche mio nonno e arrivare tardi a pranzo a cena, le docce alle 23 per uscire con gli amici, il mare.

Una vita alternativa…

Se me ne sto sdraiato qui, tornano i pensieri e ricordi, nostalgici e malinconici come se si fossero nascosti per un anno, magari sotto il copriletto o nel cassetto del comodino e finalmente liberi, decidono di attaccarti come zanzare, pungendoti, entrandoti in bocca o fischiando veloci vicino all’orecchio.

A volte è piacevole, a volte fa male.

A volte fanno il rumore di persone che se ne sono andate, o di mobili spostati. A volte hanno il sapore di abbracci sinceri, di partite a pallone. A volte sanno di macchinine perse, gomme bucate, alberi morti, nuove nascite, incidenti, amori persi.

È normale che il cervello non si spenga mi dico. Lascio che tutto scorra e passi, come si fa con le tempeste che ascolti sbattere violente sulle finestre.

A certe cose tanto, è inutile resistere.

Pillola del 92° giorno – Cassa veloce

Ennesima volta che cado vittima dei cartelli. Leggo ‘cassa veloce’ e subito mi immagino una cassiera con casco racing integrale che copre una chioma bionda, di cui rimangono piccoli boccoli che spuntano da sotto e che si addormentano sulle spalle. Lei, ticchetta sul registratore di cassa mentre imbusta e ci prova pure con me fissandomi con i suoi occhioni blu, che la visiera l’ha tirata su. Cavolo, è pure figa.Ma quando raggiungo il cartello, finisce la fantasia e di casse veloci ne trovo ben due ma senza fighe. Subito mi fiondo su quella di destra visto che non c’è un cazzo di nessuno e “chissà perché…” mi chiedo.

Ma in questo mondo un perché c’è sempre.

All’inizio non capisco bene la situazione, mi sembra un classico problema di carta senza disponibilità o numero sbagliato, con una vecchia megera che sbraita. Poi, le tinte fumose di quella vicenda si fanno chiare appena la vecchia si sporge dal lato del cassiere per spiegargli cosa deve fare, armeggiando con i comandi mentre la gente dietro non ne può più.

“Non va! Non va!” Urla il cassiere impazzito mentre cerca di allontanare la vecchia, che si comporta come uno zombie famelico.

Il nostro eroe però, invece di un fucile a pompa prende un quaderno da sotto la cassa e comincia a tirar fuori fogli su fogli che consulta e legge con ferocia. Poi, spunta una cartelletta viola con elastico da cui emergono schemi e documenti manco fosse il progetto per un astronave.

Dieci minuti dopo, sono ancora fermo nello stesso punto che aspetto l’evolversi del siparietto, perché mica puoi cambiare fila, che fa brutto, che sembri scemo, che forse non hai capito subito la situazione perché non sei sveglio. Si aspetta li con la serenità di chi non viene toccato dal tempo che passa anche se dentro “cazzo gli darei fuoco” , ti dici.

“Ora va…” proclama quasi sconfitto dopo la lezione privata del tutor-cliente-vecchiaccia, completamente fuori dai gangheri e che se ne va offendendo il genere umano peggiore, quello degli incapaci.

Lo stato di confusione totale del cassiere non sembra migliorare con il cliente dopo che, povero lui, ha comprato qualcosa di ingombrante e grosso e al commesso la cosa non piace perché suda mentre gira quell’oggetto incellophanato alla ricerca del codice a barre del tesoro. Tenta di chiamare al telefono per farsi dire il prezzo ma Dio oggi è misericordioso o s’è rotto le palle pure lui di questa tragedia e glielo fa trovare, anche se dopo diversi minuti, con calma, che tanto al telefono nemmeno gli rispondono, che probabilmente ha pure sbagliato il numero.

Batte sul registratore il codice…sbagliato. Ci riprova mentre impreca un paio di volte…sbagliato. Lo azzecca alla terza quando la cassiera donna alle sue spalle gli indica qualcosa, forse spiegandogli cosa sono i numeri mentre lui ormai, è costantemente in piedi, sudato, con movenze da pinguino morto e che cerca conforto parlando con i clienti ma che lo ignorano visto che siamo lì da 15 minuti, visto che sul cartello c’è scritto “cassa veloce” ed invece, ci ha sorpassato a destra pure una mandria di scout con 5 carrelli e due autotreni di roba.

La collega gli dice “Stefano stai calmo, sembri tarantolato” e lui gli risponde con uno “Stai zitta!” al sapore di zolfo e acido, proprio mentre arriva il mio turno.

Tre oggetti, totale 32.39

Mi chiede se ho 40 centesimi, con il tono di un barbone in cerca di spiccioli.

Ha la faccia stravolta, un sorriso nervoso, un telefono in una mano che non si sa perché. Con l’altra mano, tremante, tiene dei bollini che nemmeno mi spettano.

Attimi di tensione, in cui il terrore è dipinto sul suo volto, quasi stringe gli occhi per non vedere, mentre apro il portafogli…

Gli do 40 centesimi, lui sorride.

Mi sento come se avessi salvato la vita a qualcuno.

 IMG_20130728_105805

Pagina 1 di 2

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén

%d