Michele si ritrovò con una penna in mano, pronto a firmare la sua probabile condanna da schiavo. Non avrebbe mai potuto pagare quella somma, qualsiasi fosse visto che Strozzino non gliel’aveva specificata e sul contratto non c’era scritto nulla. Era una trappola mafiosa in grande stile ma d’altronde Pasquale Ferraciti era noto come Strozzino non a caso.
Pensò alle conseguenza, alla vita di sacrifici e avara di soddisfazioni in quel posto tutt’altro che allegro. Una moglie stanca di un marito sempre succube degli eventi e debole. Un figlio senza futuro.

In quell’istante qualcosa scattò nel cervello di Michele, un moto di ribellione, forse puro spirito di sopravvivenza e voglia di rivalsa. Non poteva…non voleva perdere l’amore della famiglia, il rispetto, anche per se stesso.

“Allora signor Parati…cosa aspettiamo? Il tempo è denaro si sbrighi a firmare” disse incalzante Strozzino.

Michele alzò lo sguardo dal foglio, guardando negli occhi Pasquale Ferraciti. Senza nemmeno pensare alle conseguenze gli lanciò la penna, alzandosi di scatto dalla sedia giusto per vedere che i due scagnozzi del mafioso gli stavano per saltare addosso. Alla cieca tirò un calcio che prese fortunatamente le parti intime di Samuela che evidentemente voleva solo far finta di essere donna. Evitando miracolosamente le grosse braccia nere di Maurice saltò con un balzo Samuela, accasciata a terra dolorante, e si fiondò lungo le scale. Saltava 10 scalini alla volta, rimanendo in piedi quasi sempre per miracolo. Dietro di lui sentiva le urla di Strozzino e i passi pesanti di Maurice e di Samuela che volavano per le scale nel tentativo di acchiapparlo.

Michele riuscì a precipitarsi in strada, l’adrenalina lo teneva ancora in movimento e lo distoglieva dal pensiero che cominciava a formarsi nei recessi della sua mente. Non sarebbe finita cosi. Ma in quel momento voleva solo scappare e tornare a casa, sfondare quella dannata porta chiusa ed andare a dormire con un intossicazione da Valium.

Michele riuscì giusto a fare 4 metri quando una moto si fermò a pochi passi da lui. Era Filippo Riverbi che evidentemente lo stava cercando. Lo sconforto prese possesso di Michele. Si trovava tra i due fuochi. Decise di scappare lungo l’altro lato della strada ma non fece in tempo ad agire che una Fiat 131 gialla lo investì.
La vista offuscata di Michele riuscì solo a distinguere Riverbi che tirava schiaffi a Maurice e Samuela senza nessuna ragione mentre le orecchie non riuscivano a distinguere le loro parole. Poi fu il buio totale.

Michele in quelle due ore di incoscienza sognò soltanto fuochi di artificio e urla strazianti. Quando riaprì gli occhi, la vista sfuocata riuscì solo a identificare un grosso tubo bianco dove si sarebbe dovuta trovare la sua gamba destra. Anche il suo braccio sinistro era infilata in un tubo bianco. Qualche istante dopo Michele si accorse che era circondato da un sacco di persone. C’era un dottore, un’infermiera, la sua famiglia amata\odiata, i quattro cavalieri del fastidio, il tassista che lo aveva investito e con sua grossa sorpresa, Filippo Riverbi.

“Amore ti sei svegliato! Che paura mi hai fatto prendere” disse Marta.

Il bel viso di sua moglie era rigato da lacrime, un misto di felicità e disperazione. Sedeva al suo fianco, Michele avrebbe voluto accarezzarla ma il suo braccio sano stava dalla parte sbagliata. C’era anche Anselmo.
Michele cancellò dal suo libricino nero gli schiaffi da dargli e gli sorrise calorosamente. Anche lui sembrava felice di vederlo sano e salvo.

“Sai papà…che l’abbiamo aperta la porta?” disse Anselmo

“Cosa? Come?” rispose sorpreso Michele

“La zia aveva nascosto le chiavi per uno scherzo”

Michele tirò un occhiataccia alla sorella di sua moglie, la più perfida di tutte, Patrizia.
Era lì, con il suo sguardo finto-dispiaciuto e gli occhi strafottenti. Era stata la sua ennesima dimostrazione di perfidia e non era per nulla rammaricata, convinta che Michele come tutte le altre volte avrebbe lasciato correre passivamente con un sorriso, da uomo debole come lei lo reputava. Ma in Michele qualcosa era cambiato, era scappato da tipacci e mafiosi, si era ribellato a “Strozzino”, il mafioso della città. Era diverso.

“Se per caso rifai una carognata del genere ti prendo a calci finché il culo non ti passa al posto della testa, hai capito stronza?” disse Michele

Lo sguardo di Patrizia si stravolse in un mix di odio e shock mentre quello della moglie sorrise come soddisfatta da quell’impulso di autorità del marito. Anche Anselmo rise. Le sorelle e la madre di Marta uscirono imprecando contro la maleducazione di Michele.

Filippo Riverbi, con il cappello leopardato stretto in mano e il viso dispiaciuto disse

“Scusi per il mio comportamento di prima…e che io non con la gente non ci so comportare…”

Michele era sorpreso di quel lato quasi inquietante di Riverbi

“Oh non si preoccupi..”

“Davvero mi scusi…mi dispiace anche che poi ti hanno investito…e c’erano quei tipi, per farmi perdonare li ho un po’ ripassati”

“Ha picchiato quei due bestioni?”

“Oh si, mezze calzette. Quelli volevano menarla” rispose sorridendo Filippo “quindi volevo farmi perdonare…”

“Ti ringrazio davvero” disse Michele, era evidente che l’aveva giudicato troppo frettolosamente.

Il medico intervenne chiedendo a tutti di uscire per far riposare Michele.
Salutò tutti quanti, quasi commosso, compreso il tassista che l’aveva investito nuovamente e che l’aveva accompagnato all’ospedale per soli 5 euro a chilometro. Fece un cenno ai quattro cavalieri del fastidio che mentre uscivano litigavano sul giusto metodo per ingessare una gamba e infine suo figlio Anselmo, e con un bacio, sua moglie Marta.

Si ritrovò da solo nella stanza, sorridendo. Sulla sua sinistra, una finestra mostrava il sempre splendido cielo azzurro del paese ma stavolta, quei blocchi grigi che tanto odiava e che si stagliavano sfacciati verso quel cielo, gli sembravano meno brutti del solito.